CORSI
DI
GLOTTOLOGIA.
DATI
NK
KLLA REGIA ACADEMIA SCIENTIFICO-LETTERARIA DI MILANI»
G. I. ASCOLI.
VOLUME PRIMO.
FONOLOGIA COMPARATA DEL SANSCRITO,
DEL GRECO E DEL LATINO.
Puntata prima: Pag. i-xvi, 1-240. -Prezzo: L. 7.
WVKRTKXZA. I primi fascicoli àeWArchivio (jloltolorjico italiano e il secondo vo-
lume degli Studj crìtici, che ripetutamente si citano nella presente puntata,
saranno pubblicati nel corso di quest' anno.
TORINO E FIRENZE,
ERMANNO LOESOHER, LIBRAJO-EDITORE.
1870.
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PURCHASED POR THE
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY
FROM THE
CANADA COUNCIL SPECIAL GRANT
POR
LINGUISTI CS
CORSI
GLOTTOLOGIA,
DATI
NELLA EEGL4 ACADEMIA SCIENTIFICO-LETTERARIA DI MILANO
DA
G. I. ASCOLI.
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VOLUME PRIMO.
FONOLOGIA COMPARATA
DEL SANSCRITO, DEL GRECO E DEL LATINO.
TORINO E FIRENZE,
ERMANNO LOESGHER, LIBRAJO-EDITORE.
1870.
LEZIONI
DI
FONOLOGIA COMPARATA
DEL SANSCRITO, DEL GRECO E DEL LATINO,
DATE
NELLA REGIA ACADEMIA SCIENTIFICO-LETTERAEIA DI MILANO
DA
G. I. ASCOLI.
TORINO E FIRENZE,
ERMANNO LOESCHER, LIBRAJO-EDITORE.
1870.
Riservato ogni diritto di proprietà e di traduzione.
MILANO, COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI.
GEROLAMO PICCHIONI
TESSERA
DI AFFEZIONE REVERENTE
PREFAZIONE.
Lie lezioni di Fonologia comparata del sanscrito, del
greco e del latinOf che si conterranno in questo volume,
formano il primo dei quattro Corsi glottologici che ora mi
accingo a pubblicare. Saranno i tre altri: la Introduzione
generale alla morfologia , la Morfologia comparata del
sanscrito, del greco e del latino, e la Fonologia irana.
Vincoli molteplici stringeranno naturalmente fra di loro
questi diversi miei saggi; ma ciascun d'essi potrà stare
tuttavolta di per sé.
Le lezioni di fonologia indo-italo-greca furono primamente
tenute nel primo semestre dell' anno academico 1861-62.
I diretti sussidj , ai quali ip era allora limitato , si ridu-
cevano, in parte per mia volontaria e pensata astinenza,
alla Grammatica comparata del Bopp, alla prima edizione
vili
delle Indagini etimologiche del Pott, e ai primi dieci vo-
lumi del giornale di Kuhn. Più tardi, com'era mio debito,
tentai di far mio prò di quante altre scritture risguardanti
la fonologia si sono pubblicate , e prima e poi , nell' in-
dustre Allemagna ed altrove , insieme continuando in-
torno ad esse l'opera mia propria. Ma il disegno e gl'in-
tendimenti e il metodo delle mie lezioni , sono rimasti
invariati.
Ricantare le lodi dei bei nomi alemanni che rifulgono
sopra questo campo, ormai può parere omaggio superfluo.
Tutti sanno, quanto debba al genio del Bopp anche la fo-
nologia comparata, sebbene la creazione del grande mae-
stro si abbia piuttosto a dive morfologica ; tutti ancora co-
noscono, come il Pott, r oltrepotenza del cui ingegno si
accoppia ad un'attività che è miracolosa, sapesse estendere
all' intiera famiglia indo-europea quell'opera di ricostruzione
fonetica che la mente sovrana di Giacopo Grimm ha com-
piuto per le favelle dei Germani. A tutti è noto, del pari,
come anche in questo campo abbia stampato profondissime
orme quel robusto antesignano di piìi schiere che è Teo-
doro Benfey; e anche tra noi ormai si ammirano, a buon
dritto , r assetto dottrinale di cui alla mano maestra di
Augusto Schleicher andrà perennemente debitrice la no-
stra disciplina, e l'opera geniale, sicura, fecondissima di
Giorgio Curtius, e la dotta e cauta mole dei lavori fon-
damentali di Guglielmo Corssen. Né gli studj del Kuhn,
dì Leone Meyer, e di molti altri che non nomino, in ispecie
tra i cultori, anche non alemanni, di altre provincie che
IX
la indo-italo-greca non sia, hanno bisogno pur essi degli
elogi di tale, che mostra e dice cosi di frequente la uti-
lità che ne ha tratto.
Men superfluo, per avventura, il toccar con brevità de-
gli intendimenti e delle considerazioni, che hanno in ispe-
cie regolato quella parte dell'opera mia, alla quale metto
in fronte queste parole.
L' ideale era questo : condurre chi mi seguiva, capo per
capo, dai primi elementi in sino alle ultime squisitezze del
sapere, senza fargli provare alcuna scossa, senza che la
lucidità venisse mai meno, senza che la esposizione dis-
dicesse a quella continuità naturale che è ne' molteplici
svolgimenti dei germi primitivi. Imperocché, dall' un canto,
il confesso, io sento un certo orrore pei compendj di fo-
nologia comparata. Se in generale si può dire che una
qualsiasi disciplina non si raccorci senza sformarsi, della
nostra si può, mi sembra, a dirittura affermare, che nel
restringersi ella affatto si snaturi. Così in ordine alla en-
tità del suo subietto, come rispetto alla quantità del suo
progresso, la fonologia comparata mal si afferma per quello
scarso numero di risultanze che si possano con brevi pa-
role enunciare; il quale, scarso come pur è, o deve, per
artificiale sobrietà, nascondere ciò che ancora resti in lui
di problematico, oppure, se non si vuole scompagnare da-
gli scrupoli della scienza, apparisce chiazzato di dubbj,
per modo che non dia un congruo concetto di quella vasta
altezza che i conquisti sicuri hanno ormai conseguito. I
continui avanzamenti, dei quali il nostro studio si ralle-
gra, potranno forse, col tempo, render molto più agevole
la composizione di tali compendj che riflettano in giuste
proporzioni l'intiero corpo della dottrina; ma per ora siamo
a questo, che trattandosi di scienza nuova, e da pochis-
simi posseduta per intiero, chi si arrischia ai transunti
ahbia le mosse tutt' altro che sicure, cosi che spesse volte,
quando egli raccorcia o tace, non ceda già in questo, con
libero giudizio, ai riguardi della opportunità didattica, ma
ceda piuttosto alla paura che è in lui di smarrirsi per via.
Dall'altro canto a me pareva, che delle parti più ardue
della nostra indagine, alcune già fossero mature per una
esposizione sistematica, e più altre si potessero, con qual-
che raggio di energia , portare anch' esse a maturanza
uguale. Ma pur le nozioni facili e volgari dovevano, nel
mio concetto, rassodarsi ed esser poste in miglior luce
per virtù di quella maggior copia d' argomenti che si è
venuta sparsamente accumulando. Quindi il proposito del
trattato compiuto, nella presunzione che le cose facili non
avessero a tediare i provetti, perchè svecchiate, né le ar-
due a stancare chi incomincia, perchè la salita non fosse
punto scoscesa. L'ampiezza delle proporzioni mi sembrava
anche desiderabile affin che lo studio della cronologia e
dell'istoria naturale delle evoluzioni fonetiche s'incomin-
ciasse a vedere nella sua interezza, e affin che il discorso
intorno al sanscrito si potesse finalmente provare a tutto
quello sviluppo ond' è capace, principalmente per quanto
concerne l'intima istoria dell'individuo indiano per sé me-
desimo, e le sue attenenze con Tirano. E una larga ven-
XI
tilazione delle difficoltà e dei dubbj, ed una serie di sva-
riati riassunti, non si potevano, a mio giudizio, escludere
da chi volesse porgere un quadro veritiero dello stato,
dell'importanza, della mirabile efficacia di questa disciplina.
Per la qual via si doveva eziandio ottenere, che non riu-
scisse mutilo, 0 dissonante dal sapere complessivo, il ra-
gionamento che per necessità di scuola riduce il suo sub-
ietto principale a scarso numero di lingue; e insieme si
dovevan fare di comun patrimonio molte percezioni che si
stavano appartate e quindi non avevano ancora sviluppato
tutta la loro efficacia, molte notizie che sempre ancora si
andavano quasi susurrando fra gli adepti, anziché essere
introdotte in un perspicuo inventario, che rendesse facile
a chi ci segue il superarci. E se, dall' un canto, la cau-
tela più scrupolosa non dovea mai così venir meno, né ad
autorevoli sentenze altrui sostituirsi mai tacitamente quella
dell'autore; questi, dall'altro, doveva porre l'opera propria
in ogni parte, non lasciare intentata alcuna vena, e ac-
cennar senza paura, dalle cime superbe dei colli ormai
posseduti, alle terre promesse dell'avvenire.
Io parlo del mio ideale, come già dissi, e non del mio
libro, del quale ben so quanto grandemente rimanga lon-
tano da quello, comechè ad esso naturalmente s'informi.
Ma lo stesso ideale era assai rimoto, alla sua volta, dal-
l' assunto ben più cospicuo che la fonologia comparata si
potrà un giorno prefiggere, tal che in essa tramontino,
per molta parte, quegli ardui problemi morfologici, la cui
soluzione è da altri oggidì cercata su per le balze del r^-*
XII
ziocinio vago o della fantasia. La discussione de' quali pro-
blemi, che io dapprima contessevo, prò virili parte, alla
Morfologia comparata del sanscrito, del greco e del la-
tino, fini per fare corpo da sé in quella che ora chiamo
Introduzione generale alla morfologia. Lo studio, all'in-
contro, delle evoluzioni istoriche delle singole favelle, come
mi condusse a considerare gli idiomi neo-greci e i neo-la-
tini, e con naturale predilezione i secondi, così mi portò,
sin dal principio del mio insegnamento (1861-62), a trat-
tare, in separate lezioni, sì degli sviluppi medievali e mo-
derni della favella degl'Irani, e sì di quelli della parola
ariana dell' India. Delle indagini intorno alla prima, darà
saggio la Fonologia irana; ma la scarsità dei sussidj mi
ha impedito di portare lo studio degl' idiomi pracritici a
quella maturità che io sperava. Poiché l'Italia nuova ha
bensì istituito, con una larghezza che la onora, molti in-
segnamenti glottologici ed orientali; ma i reggitori della
pubblica istruzione, distratti da cure più urgenti, non si
sono forse peranco fermati al pensiero, che le nostre ca-
tedre, senza doviziose biblioteche ad esse speciali, sono
altrettanti istituti astronomici cui manchino le specole od
i telescopj. E d'altronde, siccome quel cielo, a cui si ri-
volgono i nostri sguardi, non ha bisogno di essere con-
templato da punti diversi della penisola, così si potrebbe
forse ancora chiedere perchè non si concentrino queste
catedre ed insieme i loro sussidj, sì che senza maggior
somma di sacrifizj s' accresca a molti doppj la stentata at-
tività delle forze sparte.
Ma, senza più dire della penuria degli ajuti, pur sulle
altre difficoltà e sulle incertezze onde io era circondato,
in parte attenenti alla mia persona ed in parte a cause
generali, io non mi sono per vero mai fatta illusione. Il
doppio assunto di giovare nello stesso scritto, nella stessa
lezione, nella stessa pagina, agli incipienti ed ai provetti,
così com'è stato per me una voluttà continua e il proprio
incentivo d'ogni mia attività letteraria, cosi ne è stato per
avventura l' inciampo più grave. Se però questo doppio
assunto già per buona parte si legittima, com' ebbi di so-
pra ad accennare, dalle condizioni nelle quali versa per sé
medesima la nostra disciplina, esso ancora si può dire, io
credo, naturai conseguenza dell'essere noi italiani venuti
gli ultimi su questo campo, e quindi sentirci bramosi di
presto imprimere qualche orma nostra nel ricalcare le al-
trui. La latitudine insolita, che mal misurando le forze ho
voluto dare alle mie indagini, è anch'essa effetto di causa
non diversa; poiché dove son pochi che lavorano, e l'o-
pera pare urgente, la distribuzione delle parti non può
esser quella dell' officina in cui gli artefici si accalcano.
Alla avidità naturale pur si aggiungeva il desiderio di ri-
spondere in modo condegno all' invito e al pensiero di Te-
renzio Mamiani, iniziando sopra larga base gli studj a me
demandati nella nostra Academia. GÌ' intendimenti della
quale si sono poscia mutati, senza cessare per questo d'es-
ser nobilissimi; ma io, per la mia parte, dopo avere spie-
gato troppe vele, ho dovuto ammainarle quasi tutte; e così
la pubblicazione de' miei Corsi, che è forse un simbolo
XIV
di speranze redivive, è insieme un testimonio di speranze
mancate.
Nella Germania, che si può dir madre e altrice di que-
sti studj, essi incontrano tuttavolta una certa opposizione
fra i cultori delle discipline classiche , e quindi tra' reg-
gitori delle scuole. Della quale opposizione molti però par
che si facciano, fuor di Germania, un'idea non poco^ dis-
forme dal yero. Pochi sono naturalmente quei filologi te-
deschi, se pur ve ne sono, che neghino verità e impor-
tanza alle discipline comparative, le quali hanno ormai
fatto rivivere lingue e nazioni, sepolte da lunghi secoli
nell'oblio; oppure che si illudano per guisa, da stimar che
la micrologia ermeneutica abbia a pesare nella bilancia
dello scibile quanto l'istoria scientifica della parola, che
è l'istoria scientifica della natura umana, delle nazioni e
della civiltà. Ma l'opposizione, in quanto non derivi da
semplice paura del nuovo, proviene dall'apprensione, non
punto illegittima, che irrompa nelle scuole, con danno
della severità degli studj, la pericolosa presunzione dello
scoprir facilmente, del potersi valere con facilità di tali
strumenti, che non sono impunemente adoperati da chi
non abbia lungo esercizio e molto vigore. La efficacia e
insieme la cautela dei buoni procedimenti comparativi, la
loro utilità razionale e pratica, vengono però vincendo le
spassionate resistenze, mano mano eh' essi rassodansi in
libri dottrinali e sieno principalmente sperimentati sopra
gl'idiomi ed i vernacoli natii; né v'ha, del restante, scuola
0 paese, che non si debba finalmente inchinare alla ve-
XV
rità. Intanto i glottologi italiani, sia ventura o sia sven-
tura loro, di simili opposizioni, ufficiali o didascaliche, non
ne incontrano affatto. Le indagini che discorrono per am-
pia distesa di tempo e di spazio e di cose, quali appunto
sono le comparative, qui si rallegrano di favore grandis-
simo, e nelle alte e nelle basse sfere, e le porte della scuola
sono largamente ad esse aperte. Ma quanto e qual frutto
si vede di tanto favore? Non deve egli parere talvolta, che
noi ci studiamo di dare ragione a coloro, i quali insistendo
sulla inopportunità di ammettere gli studj comparativi nelle
scuole, sui pericoli de' sùbiti entusiasmi e delle applica-
zioni temerarie, accennano appunto al paese nostro, e in-
sieme aggiungono, con restrizione ancor più dolorosa, che
del resto non sia il caso fra noi di una disciplina che
disturbi l'altra, e che pur fuori della scuola non si vegga
alcun nobile rigoglio degli studj che tanto ammiriamo? È
egli proprio tutta calunnia, se dicono invalsa tra di noi
la presunzione che il lavoro si abbia quasi a ripartire fra
i popoli per modo che all' uno tocchi sudare a innalzar la
piramide e all'altro spetti la più squisita gloria di arzigo-
golare intorno ad essa? Di certo, anche gli studj italiani
furono calunniati; ma pur non ama la gioventù nostra
chi non la mette in guardia contro a quell' abuso della
prontezza de' nostri ingegni, pel quale non di rado noi
sembriamo intenti a farci agili sempre più , anziché a
renderci vie più robusti. Ma 1' agilità delle squadre, per
quanto grande e mirabile, non basta di certo a espu-
gnar le fortezze: e per chi non si appaga d'illusioni, v'ha
XVI
nella regione in cui versiamo, e in più regioni attigue,
una intiera serie di quadrilateri da conquistare, prima
che stia autorevole e rispettata la indipendenza del pen-
siero italiano.
Se i miei libri potranno, nella sfera in cui si muovono,
contribuire pur in minima parte al conseguimento di que-
sto scopo supremo, io mi terrò ben pago della mia sorte.
E se ancora una parola mi è qui concessa, dove già me
ne son fatte lecite di troppe, questa sia di gratitudine
pei fidi amici e pei discepoli, che mi accompagnarono be-
nevoli sullo scabroso cammino. Perchè ad essi principal-
mente io devo, che mi sia rimasta una qualche fiducia in
me medesimo ; devo ad essi d' aver potuto assistere con
animo impavido, tuttoché attristato, a qualche deserzione
ingenerosa.
Milano, 27 febbrajo 1870.
G. I. A.
FONOLOGIA COMPARATA
DEL SANSCRITO, DEL GRECO E DEL LATINO.
LEZIONE PRIMA.
Cenni preliminari/
Per grammatica comparata suolsi intendere l'analisi com- § 1.
parativa dell' organismo di due o di più favelle, che si dimo-
strino derivate da una fonte comune.
La fonologia, che è la dottrina de' suoni onde si costituisce
la parola; la morfologia, che è la dottrina delle forme e quindi
pur della funzione potenziale della singola parola; e la sin^
tassi, che è la dottrina della funzione che la parola assume nel
discorso, sono naturalmente le parti costitutive di ogni gram-
matica comparata, cosi come il sono di ogni grammatica
speciale.
Ma l'analisi comparativa trae con sé di continuo anche lo
studio delle intime ragioni, vale a dire dell'intima istoria, de-
gli elementi ch'essa viene sceverando.
Se nel contrapporre al sanscrito àgù- (veloce) l'equivalente
òkii- (owj-) de' Greci, consultati molti altri riscontri indo-elle-
nici e i termini corrispondenti di altre favelle della famiglia ,
riusciremo a determinare che vi abbia equivalenza tra g san-
scrito e k greco, noi avremo per questa parte esaurito lo stretto
compito, che si potrebbe dire il compito etimologico, di una fo-
nologia comparata. Ma noi saremo inoltre condotti quasi inevi-
tabilmente a scrutare pur la ragione istorica e fisiologica di
questa equazione {k ^v. = q sscr. ) , la quale non ci era affer-
mata per identità fonetica od acustica.
Ascoli, Fonol. indo-it.-gr. 1
2 § 2. SUBIETTO DELLO STUDIO.
Così, se col soccorso- di numerose o di continue analogie
avremo trovato, che d^ii- (ojxu-) consti di due parti, l' una
principale 0 radicale [ag = ah, ok), l'altra accessoria-' od asci-
tizia {-u), od avremo avvertito, che questa voce, cosi nel san-
scrito come nel greco, si munisca, aflSne di esprimere il no-
minativo mascolino al singolare, dell'aggiunzione finale che
suona 5 {àgii-s, ókù-s), il ristretto compito di una morfologia
comparata, cioè il compito che si potrebbe dire descrittivo,
sarebbe per questa parte esaurito. Ma noi saremo ancora quasi
irresistibilmente portati a tentar l'istoria di simili aggiunzioni,
anzi delle radici stesse; imperocché gli studj che concernono
la genesi della parola, se pur non sieno di esclusiva spettanza
della grammatica, comparata, son però sempre da questa effica-
cemente-promossi- e grandemente agevolati.
Nella prima serie di queste Le;sio7ti esporrò comparativa-
mente la fonologia del sanscrito, del greco, antico e del latino,
le quali tre favelle rappresentano tre sezioni assai cospicue di-
quel nobilissimo sistema di lingue, che variamente si addi-,
manda: ariano, indo-europeo , sanscritico , e men corretta-
mente: indo-germanico. Questo sistema di lingue comprende,
com'è notorio, oltre al gruppo indiano, aìV ellenico e adV ita-
lico, anche Virano o medo-perso, il celtico, il germanico e
^1 liiu-slavo *. ,
. Lungi però dal rinserrarmi rigorosamente entro ai ristretti
limiti delle tre favelle che ho indicato, mirerò di continuo, per
la provincia italica , pure alle reliquie diciferate dell' osco e
dell'umbro, e agli idiomi neo-latini o romanzi;- non dimenti-
cherò il greco moderno; e mi permetterò inoltre di toccare
anche le altre regioni del mondo ariano, quante volte ciò mi
* Ulteriori particolari intorno al sistema indo-europeo, si hanno
negli Studj orientali e linguistici, pag. 263-67. Del lituslavo si pos-
sono fare due gruppi distinti, il lituano e lo slavo; rimane però, che
tra lituano e slavo passi un'affinità assai piìi stretta, che non tra
ciascuno dì essi e un altro qualsiasi dei gruppi indo-europei.
§ 2. SUBIETTO DELLO STUDIO. 3
parrà utile ed opportuno alla illustrazione di quelle tre' che
più specialmente sono a noi assegnate. Per greco, o per un
determinato ^m^^^^o greco senz'altro, intenderemo l'antico; e
diremo vedico, o ò^' indiano arcaico, un fenomeno peculiare a
quell'antico dialetto ariano dell'India, che ci è conservato nei
Vedi, laddove diremo sanscrito, senz'altro, un fenomeno che
sia comune al linguaggio vedico e a quello della letteratura
seriore, o un fenomeno, che pure essendo peculiare al linguag-
gio della letteratura seriore, il quale si suole addiraandare
sanscrito classico (e ammette alla sua volta la distinzione tra
V epico e il veramente classico), non richiegga che di questa
particolarità, la quale, a rigore, sarebbe implicita nello stesso
termine di sanscrito, sia qui per noi fatta menzione *.
* Io pronuncio, come sempre per l'addietro tutti hanno pronunciato
in Italia: sanscrito (e pracrito), coli' accento sulla penultima. Oggi,
all'incontro, sembra prevalere fra gli studiosi italiani il vezzo di dire
sanscrito {e prdcrito) coli' accento sulla, terzultima; la quale pronuncia
a me pare stortamente affettata, per le ragioni che ora mi permetto
di addurre. 1.^ Vero è bensì che sàskrta, nel suo proprio significato
di ^confectus', 'ornatus', ha l'accento sulla prima sillaba, volendo la
regola generale che passi sul prefisso {sàrs) l'accento che nel parti-
cipio in istato semplice è sul suffisso (-td', krtd). Ma nell'accezione
sostantiva di 'lingua sanscrita', il vocabolo saskrta avrebbe potuto o
anzi dovuto essere a dirittura ossitene (sasAr^a), poiché il participio
in -td conserva il suo proprio accento pure unito a' prefìssi, quando
assuma una significazione individualo; e così, restando al verbo che è
in sàskrta^ avremo niskrta (disposto, ecc.) coU'accento sulla terzultima
nella mera significazione participale, ma all'incontro nelle funzioni di
nome neutro (niskrtd, luogo determinato, ecc.) lo avremo coU'accento
sull'ultima; ed anzi dello stesso sàskrta ricorre la pronuncia ossitona
in un luogo del Veda {rgvaida,Y, 76, 2 = sdmavaidat.il, 8, 3, 15, 2),
dove il Benfey traduceva imprima: 'sagrificio*, poi: 'l'ornato', e il
Lessico di Pietroburgo, malgrado l'accento sull'ultima, parrebbe non
altro scorgere se non la mera accezione participale (v. Benfey, Voll-
stàndige sanskrit-grammatik y § 647, Sdma-Veda, pag. 48, 188, 291,
4 § 3. METODO.
§ 3. Ad altre considerazioni preliminari ci chiama ora il metodo
generale che la trattazione avrà a tenere.
La scienza comparativa delle lingue ariane è a tal sogno
progredita, che può ricostruire, con sufficiente sicurezza, molta
parte della favella antichissima e perduta, onde esse tutte ri-
petono origine. I suoni, i vocaboli, le flessioni, i costrutti del-
l'idioma fondamentale, che l'opera induttiva della scienza fa
cosi rivivere, vogliono rappresentarci questa favella unitaria
nell'ultimo grado che il suo sviluppo abbia raggiunto; vogliono
cioè rappresentarcela nelle condizioni che le eran proprie in quel-
l'età, che è immediatamente preceduta alle segregazioni per le
quali si è venuta a rompere l'unità degli Arj. Il sanscrito gru-dhi
(ascolta!), a cagione d'esempio, e l'equivalente klù-thi del gre-
co, rimonterebbero così, per vie normali, come a loro sorgente
comune, alla forma kru-dhi; la quale però, alla sua volta,
potrebbe non avere ancora esistito, od avere esistito sotto a
sembianze diverse, in età più rimote che non sia quella, in
BoEHTLiNGK-RoTH, Sanskrit-wurteròuch, s. niskrta e ^ar + saw). Del
rimanente, sàskrta per 'sanscrito' non occorre mai ne' libri accentati;
a anche nel linguaggio seriore, pur dove essa voce viene a significare
l'eloquio sanscrito, è sempre piuttosto il participio 'adornato', che non
propriamente il nome della lingua ( sàskrta-bhdsd^ sàskrta vdkjam) ;
cfr. A. Weber, Akademische vorlesungen uber indiscke literaturge-
schichte, p. 168, Indische streifen^ H, 52-3; Boehtlingk-Roth, o. c,
II, 98. L'accento poi di pràkrta^ che deriva dal nome astratto prakrti
(natura, ecc.), non va confuso con quello di sàskrta, che deriva imme-
diatamente dal verbo kr (kar). — 2."^ Il vocabolo 'sanscrito' avendo
ormai veste e cittadinanza italiana, non si vedrebbe, ad ogni modo,
perchè dovesse mantenere un'accentuazione così ingrata {..dnscr..),
se pure questa per so fosse corretta. Nessuno, io credo, vorrà dire, a
cagion d'esempio, Bratninó o Bramano, coli' accento sull'ultima, ben-
ché sia tale l'esclusiva accentuazione del sostantivo sanscrito che
in questo vocabolo italiano è riprodotto (brdhmand), A chi final-
mente pronuncia dmrita (ambrosia) e sanscrito perchè « ripugni alla
natura del r l'appoggiarvi l'accento », basterà il sapere, che appunta
in amrta l'accento è sul r.
§ 3, METODO. 5
cui SÌ riunificano le due differenti favelle. Addiraandasi varia-
mente: lingua fondamentale indo-europea o indo-germaniea,
lingua proto-ariana, lingua del periodo unitario, questa fa-
vella, antichissima e perduta, che si venne a rifrangere, per
l'infinita serie de' secoli, in varietà cosi innumerevoli; e dicia-
mo quindi indo-europeo, o proto-ariano, od anche originario,
un fenomeno qualsiasi, che rappresenti inalterata la esistenza
di lei.
Avutisi chiari i precipui contorni di questo protof/po ariano, si
potè felicemente tentare di farne a dirittura il termine fondamen-
tale e costante della trattazione comparativa. Il continuo punto
di partenza diventa in questo caso la favella proto-ariana. Si
procede ad esporre quali riflessi ritrovino i singoli suoi elementi
nelle diverse lingue che ne sono provenute ; e dalle particolari at-
tenenze che passano tra la favella fondamentale e ciascuna delle
derivate, risultano, più o men direttamente, pur quelle che in-
tercedono fra r una e 1' altra di queste. È metodo che racco-
mandasi pel suo rigore logico, per la perspicuità che seco trae,
per la brevità che permette. Ed è bella e invidiabile gloria della
nostra disciplina, di questa nuova specie di anatomia compa-
rata, l'avere siffattamente ricostrutto l'individuo pre-istorico,
che questo agevoli ed assicuri l'indagine intorno a tutte quante
le varietà isteriche che ne sono rampollate. Nessun' altra disci-
plina potè forse ancora vantare, come questa fa, che sia quasi
un procedere dal noto all' ignoto il muovere da una sua propria
creazione alla migliore intelligenza del reale.
Ma non si può d'altra parte negare, che, in primo luogo,
simil metodo importi come un rovesciamento del naturale pro-
cesso dell' indagine, così che gì' inesperti ne debbano andare
alquanto sgomentati. E metodo, che in realtà rappresenta un
secondo periodo di studj , nel quale si ripercorre a ritroso la
via che si è misurata nel periodo antecedente. Il confronto
delle diverse lingue superstiti ci fece imprima rimontare, per
induzione, alla sorgente proto-ariana, dalla quale ora si scen-
derebbe a ricomporre, per via deduttiva, l'istoria di quei sin-
(5 § 3. METODO.
goli idiòmi. Ma 'a Voler-e che il principiante éi abbia a innoverà
,di primo tratto in questa seconda direzione, si viene quasi ad
•imporgli dogmaticamente una risultanza di cui siam chiamati a
-capacitarlo, e si contravviene a quel procedere guardingo che
-ci è ingiunto, anche per la parte espositiva, dalle non facili
condizioni in cui versa ancora la nostra disciplina.' Agli scru-
.poli in ordiae alla opportunità, altri poi se ne aggiungono in
ordine all'accertamento scientifico di questa continua ricostru-
izione proto-ariana. Imperocché , i varj rami dell' albero indo-
europeo non escono dal comun tronco né tutti ad un tempo
■né tutti ad un modo. Il sanscrito, a cagion d' esempio, e lo
zendo (che è idioma paleo-irano) rampollano, per comune con-
senso, da una favella, che ebbe vita distinta e individua dopo
che l'arianità europea già era divisa per intero dall' asiatica,
e che però viene a rappresentarci il periodo da noi addimandato,
■con uno di que' termini che mancano di assoluta esattezza ma
hanno per sé la piena evidenza, il periodo dell'unità indo-
irana.D'i un fenomeno, che sia esclusivamente proprio al san-
scrito è allo zendo, o alle favelle indice ed irane che risal-
gono ad essi, che sia, vale a dire, esclusivamente indo-irano,
noi potremo dunque bensì argomentare, ricorrendo alle leggi ge-
nerali che le analogie ci hanno fatto riconoscere, quale avrebbe
dovuta esàere la sua figura proto-ariana, cioè la figura che gli
sarebbe stata propria nel periodo originario, se egli vi si fosse
effettivamente manifestato; ma è chiaro, che non potremmo già
per ciò affermare che questa manifestazione sia in realtà av-
venuta. Ora supponiamo, per limitarci ad uno solo tra i casi
di men facile decisione, che si tratti di fenomeno il quale sia
comune al sanscrito, allo zendo ed al greco, ma estraneo alle
altre favelle indo-europee, come appunto sarebbe quello della
seconda persona imperativa in -dhi, -di, -^'■, che in sul principio
del discorso ho voluto addurre. Per inferirne con piena sicu-
rezza, che la rispettiva figura proto-ariana (kru-dhi) abbia
realmente esistito nel periodo della generale unità indo-europea,
e chesimil forma imperativa sia quindi stata perduta da quella
§ 3. METODO. 7
parte della famiglia che più non ce la mosftra, converrebbe po-
tere affermare, il che nell'attuale condizióne dell'indagine nes-
suno sicuramente può, che non vi abbiano dipartenze dal comun
tronco, le quali risalgano ad epoca più remota che non sia
quella in cui il greco e l'indo-irano si stavano ancora tra di
loro indistinti; poiché, altrimenti, si potrebbe trattare di tal
forma, che si fosse sviluppata nel tronco' indo-ir ano- greco dopo
che già erano avvenuti quei più riraoti distacchi. E pure quando
siamo ad elementi, od a forme, la cui esistenza nel periodo
della generale unità ci sia attestata dal necessario complesso di
prove isteriche, rimane spesse volte qualche dubbio, più o raen
lieve, circa il preciso modo in cui si abbia a fissare la loro figura
primordiale; dubbj che l'ardito proposito della integrale rico-
struzione del prototipo può facilmente indurre a troncar con
sicurezza un po' soverchia. Le quali obiezioni concernono bensì
più specialmente il vero e proprio vocabolario e la morfologia,
che non il sistema fonetico per se stesso; ma à questo pure,
come a' rispettivi luoghi potremo avvertire, non sì rimangono
già estranee. INè vuoisi infine tacere, venendo al caso partico-
lare, che la nuda trattazione sinottica, e la sistematica seve-
rità della generale economia, punto non si confanno all'as-
sunto delle nostre Lezioni. Le quali aspirano per certo anche
•esse a formare un insieme lucido e metodico, e tanto più vi
aspirano, quanto è minore, ed anzi è nulla, la speciale prepa-
razione ch'esse suppongono in chi le segue; ma vogliono piut-
tosto essere larghe esposizioni, atte a persuadere e ad invo-
gliare, che non raccolte di canoni, le quali sono insufficienti
per tutti e non sogliono parlare abbastanza efficacemente se
non a chi è già bene addentro nel subietto.
Noi dunque non ci faremo a dedurre sistematicamente il ter-
mine sanscrito, il greco, od il latino, dal rispettivo termine
proto-ariano-, ma, nel confrontare tra di loro quei tre termini
istorici, non lasceremo però mai di spingere la nostra indagine
in sino al loro generatore comune; né ometteremo di riunire,
in luogo acconcio, i raa,teriaU : :clie avremo a mano a mano
g § 3. METODO.
messo in serbo per la ricostruzione paleontologica a cui si al-
lude. Ragion poi vuole, che quando l' analisi comparativa abbia
rinunziato a far del termine pre-istorico il suo continuo filo
ordinatore, essa prenda regola alle proprie mosse da quel ter-
mine superstite, il quale, nel suo complesso, meglio e più com-
piutamente ritragga l'archetipo, e sarà il sanscrito. La qual
veneranda favella àeW India ariana dee bensì cedere, in molti
incontri , il vanto dell' antichità maggiore , cioè della miglior
conservazione, all' una o all'altra delle lingue che le sono sorelle,
e quindi pure, ed anzi in ispecie, alla greca o alla latina; ma è
tale tuttavolta, veduta nel suo insieme, che a volerle anteporre,
nell'opera comparativa, il greco od il latino o un'altra qualsiasi
delle favelle ariane dell'Europa, a volersi cioè valere d'una di
queste lingue come di un mezzo continuo per illustrare pur l'or-
ganismo del sanscrito medesimo, si adopererebbe in modo poco
Riverso da chi possedendo due esemplari della stessa medaglia,
l'uno logoro, l'altro d'impronta ben conservata, volesse muovere
dal primo alla dichiarazione del secondo. Né l'Asia ha alcun' al-
tra favella che possa competere col sanscrito nell'ufficio di rac-
costare all'unità primiera le disformi apparenze che si sono ve-
nute producendo nel tempo e nello spazio. Imperocché lo zendo,
che è il linguaggio delle scritture attribuite a Zoroastro, e il
perso, che è la lingua ricavata dalle iscrizioni cuneiformi per-
siane, vale a dire la lingua persiana del periodo degli Ache-
raenldi , si trovano bensì in tali condizioni , che grandemente
•si accostano a quelle del sanscrito ; ma , dall' un canto , non è
vero , comechè sempre ancora tra noi si ripeta , che spetti a
questi idiomi paleo-irani una qualche generale preminenza in
confronto del sanscrito, anzi è vero, in significanti proporzioni,
il contrario; e dall'altro, se la preminenza qualitativa del san-
scrito non è di assai grande rilievo in confronto de' due idiomi
iranì , è all' incontro rilevantissima la sua preminenza quan-
titativa, scarsi essendo i monumenti letterarj donde quelli ci
•parlano, dovechè sono abondanti, come ognuno conosce, quelli
onde si raccoglie il tesoro della lingua sanscrita. Se ci man-
§ 3. METODO. 9
cassero gli antichi rappresentanti indo-ìrani della nostra fa-
vella, la palma toccherebbe al greco, il quale, in ordine al
grado di conservazione, dista molto meno da quelli, che non
faccia da lui la parola italica, per non dire delle altre sorelle
europee, tutte inferiori di grado alla italica stessa; sicché il
greco per vero ci appare quasi una ripercussione meraviglio-
samente genuina della favella ariana dell'Asia. Il latino non
avrebbe pure diritto a capitanare il gruppo italico, poiché Tosco,
quanto è al grado di conservazione/ lo supera; ma sta per la
lingua di Roma quella preminenza che testé dicemmo quanti"
lativa. Del rimanente, la nostra similitudine dei due esemplari
di una stessa medaglia più ben si adatta, generalmente par-
lando, e ove in ispecie si prescinda dalle assai splendide con-
dizioni della flessione greca, ai rapporti vicendevoli delle gram-
matiche propriamente dette, vale a dire al rapporto morfologico
tra il sanscrito e gli idiomi ariani dell' Europa, che non a quello
dei singoli loro suoni, che è la parte fondamentale della fono-
logia comparata. Ma pure in questo campo è sufficientemente
spiccata la superiorità complessiva del sanscrito, perché ci sia
dato di riuscire, con bastevole facilità, a buon fine, prendendo
in esso a guida il sistema fonetico che a quella lingua é pro-
prio. Ed anzi osserveremo, tuttoché senza rigore soverchio,
l'ordine stesso che ci é offerto dall'alfabeto sanscrito; il quale,
oltre al renderci, in grazia delle prerogative della favella a
cui serve , infiera ed intatta ( sebbene accresciutasi per pro-
dotti seriori) la serie de' suoni originar j od indo-europei, - il
che non possono farò l'alfabeto greco od il latino, - è altresì il
solo, che porti in sé medesimo una distribuzione sistematica
de' suoni.
Ridotto a caratteri latini , V alfabeto sanscrito è questo che
ora porgo e brevemente illustro.
Vocali.
Vocali brevi:
«,
.*"'
u,
r.
l
Vocali lunghe:
a.
«',
Ùf
f>
ì.
Dittonghi:
ai,
au.
di,
àu.
10 § 4. !
SISTEMA FONETICO
DEL SANSCRITO.
Consonanti. "
-Gutturali:
k, kh.
g>
gh, n.
Palatihe:
n, nh,
ff,
gh , n.
Linguali:
t, th.
d,
dh, n.
Dentali:
t, th,
d.
dh , il.
Labiali:
p, ph,
&,
bh, m.
Semivocali:
i» ^^
l,
V.
' Sibilanti e aspi-
' razione:
?, s,
s,
h.
Anusvara
: ~ (esempio
> di
applicazione; a).
Visarga:
s (esempio
. di
applicazione: as)
Vi abbiamo dunque imprima le tre vocali brevi : a, i, u, che
dicono fondamentali, accompagnate dalle rispettive lunghe: d
iy ù. Vengono poscia una vocale r, e una vocale Z, che tra-
scriviamo: r, l, pur queste accompagnate dalle rispettive lun-
ghe: f, l. La vocale r, come a suo luogo ampiamente si dimo-
stra, surge per contrazione di un complesso fonetico, costituito
della consonante r e di una vocale che la preceda o la segua;
il più frequentemente, per contrazione di un originario ar
(p. e. mffó, morto, da marita). Così la vocale l, che non
compare se non nella conjugazione del verbo kalp, è, alla sua
volta, contrazione di al. La lunga f non si vede, in realtà,
se non in pochi accidenti della declinazione dei temi in -ar,
che in altri ci danno alla loro uscita la breve r (p. e. pitrUf
patres, acc. pi., pitr-bhjas, patribus; tema pitàr). È fenomeno
analogo all'allungarsi che fanno negli stessi accidenti le brevi
a, i, u all'uscita del tema (p. e. nàvàn, novos; tema nàva)\ e la
lunga r si addimostra assai più recente che non sia la contra-
zione per la quale surge la breve *. La lunga l sta poi nell'alfa-
* V. BoEHTLiNGK, Bemerkungen zur 2. ausgabe von Bopp^s krit.
gramm. der sanskrita-sprache in kùrz. fassung, St. Petersburg {Bul-
letin historico-philologique, T. Ili), 1845, pag. 8-9-, Benfey, Orient
und occidente III, 2.
§ 4. SISTEMA FONETICO DEL SANSCRITO. Il
beto per semplice ragion di simmetria, poiché nella, realtà della
lingua non si ritrova mai. Seguono i dittonghi: ai {è),.au {ó),
ài, àu. I due primi si trascrivono solitamente, e nell'India si
pronunciano: è eà ò; ma noi preferiamo di riprodurli con quella
trascrizione (ai, au) che rende manifesti entrambi gli elementi
dei quali in realtà essi constano. In favore della quale tra-
scrizione si può eziandio allegare il fatto , che la metrica del
Veda ancora esige in più incontri la dieresi, ossia la pronuncia
bisillaba, pur di questi dittonghi *; e siamo quindi ad un caso,
che non è dissimile da quello dell'ai greco, è in pronuncia se-
riore, ed ai in antica dieresi. La vocale breve conta per
una mora; la lunga e il dittongo per due more; e uno 'stem-
peramento' indiano (la pluti), che non interessa la compara-
zione, porta a tre more le vocali e i due dittonghi ai ed. aur
e a quattro more i dittonghi ài ed àu **.
Arriviamo alle consonanti, che imprima ci danno cinque serie
parallele: la gutturale, la palatina, la linguale (detta ezian-
dio, per interpretazione erronea del termine indiano: la cere-
brale), la dentale e la labiale, con cinque lettere per ciascuna»
quattro delle quali rappresentano suoni che secondo la nomen-
clatura delle vecchie grammatiche si direbbero consonanti mute
e dalla disposizione dell'alfabeto sanscrito prendono altresì, il
nome di consonanti ordinate, e sono: la tenue {k, U, t, t, p)^
la tenue aspirata {kh, Uh, th, th, ph), la media {g,g, d, d, b),
e la media aspirata {gh, gh, dh, dh, bh); a cui tien dietro
la ìiasale dell'ordine rispettivo (n, n, n, n, m). Le aspirate,
sono suoni doppj, che si potrebbero anche dire dittonghi-con-
* V. Benfey, Die hymnen des Sdma-veda, einleitung, lui; Kuhn
Die herabkunft des feuers (Berlin, 1859), 139, Beitràge zur ver^
gleichenden sprachforschung, IV, 188-94, 203-4, e consulta l'Indice
del presente volume, sotto Assimilazione. Bisillaba s'incontra nel
Veda pur la pronuncia delle vocali lunghe, in ispe^ie : aa = à', circa' il
valore istorico della quale, si possono vedere gli Studj critici, II , 24.
** V. BoEHTLiNGK, Commentar zum Panini, 6; Benfey, Vollstàn-
dige grammatik der sanskritsprache , pag. 2-3.
12 § 4. SISTEMA FONETICO DEL SANSCRITO.
sonanti. Per testimonianza della storia e dell'attuale pronuncia
indiana, esse constano del suono della rispettiva tenue, o della
rispettiva media, seguito da uno spirito aspro, ossia da un' h
tedesca, ben distinta (§ 30). Quindi si spiega, a cagion d' esempio,
come il sanscrito kath (kathaj), narrare, si riduca, nel pracrito
e nell'indostano, a kah, o il grahh vedico, pigliare, si faccia grah
nello stesso sanscrito, gali indostano; e si ragguaglia chiaramente
la iniziale aspirata del pracrito dh-idà, figlia, col duh- della
Corrispondente voce sanscrita : duhitd (tema duhitàr). I suoni
rappresentati per K e per g corrispondono pressappoco alle nostre
palatine in lercio, urge (cfr. § 25 in n. e § 38). Le linguali
si potrebbero a un di presso definire, considerato esclusivamente
il loro efietto acustico, per dentali turbate ; e riserbando ad altro
luogo (§ 42) migliori informazioni intorno ad esse, qui ci limi-
tiamo ad avvertire ancora la strettissima somiglianza che è fra
la media della serie linguale e il suono l\ locchè ci porta a un
succedaneo vedico di questa media, e quindi del primo elemento
della rispettiva aspirata, il quale succedaneo ricorre quando essa
media, semplice od aspirata, sia tra vocali, ed è espresso per
un carattere che noi trascriviamo
l, e combinato coli' aspirazione : Ih.
La nasale della serie dentale (n) è la nostra schietta n, per
esempio in no. La nasal gutturale (n), la palatina (n), e la lin-
guale (n), sono all'incontro altrettante varietà della n, che par-
tecipano, nella loro formazione, delle corrispondenti esplosive, e
di solito son determinate dalla vicinanza di suoni oraorganici
(esempj : -nk-\ -ng-\ -gn-', -nd-, vàrna, marana, usana; v. p. 17-19,
i §§ 38 e 55, e Assimilazioni). I suoni indiani che rappresen-
tiamo colle lettere seguenti: k, g, t, d, p, b, 7n, non differiscono
dai rispettivi suoni latini od italiani; ma il g sarà naturalmente,
qualsiasi vocale esso preceda, sempre il nostro g di gatto, gola,
e g sarà sempre ia. leggersi come il nostro g di urge.
. Cosi non ci domanda, per ora, alcun particolare commento la
pronunzia di quelle quattro lettere che incontriamo di poi nel-
l'alfabeto sanscrito (;, r, l, v), e vanno comunemente sotto il
§ 4. SISTEMA FONETICO DEL SANSCRITO. 13
tìòme di semivocali. Per j s'intenda il suono iniziale del no-
stro jeri. Succede V ultima serie, che si compone delle tre
sibilanti {(;, s, s), e àeìV aspirazione {h). La terza sibilante [s)
è la nostra schietta s di sette, sera. Le altre due ({?,«) poco
0 punto tra di loro differiscono nell'attuale pronuncia brama-
nica, e a un di presso si ragguagliano all' inglese sh, o al nostro
so in scevro, scena *. Ma istericamente sono tra di loro ben di-
verse; e anche dal lato della pronuncia (pur tacendo della qua-
lità di lingicale che spetterebbe a s; v. p. 17 e i §§ 42,43), più
ragioni inducono a stabilire, avere un giorno differito lo s (che
noi denominiamo scia secondo pronuncia italiana, = francese
cha) ben più che lo g {ga) non facesse, dalla schietta sibilante s
(sa). Così gli odierni volgari sanscritici dell'India spesse volte
rispondono allo s del sanscrito con la loro tenue aspirata kh, per
«sempio dikh indostano = visa sanscrito, ^veleno', ma non mai
rispondono in questo modo allo g sanscrito, al quale anzi di regola
contrappongono la schietta sibilante s, come p. e. nell' indostano
szng (ma nello zingarico: sing) = grhga sanscrito, ''corno' (v. la
Lez. XIV); e analogamente nell'Irania, i moderni continuatori
di quei suoni che nello zendo corrispondono ai sanscriti s e g,
sono di regola s per il primo e s per il secondo; esempj: vus-
ter, curdo, ''cammello' = ultra sanscrito, ultra zendo ; ma ^es
curdo = 'pagu sanscrito e zendo, ''bestiame'. Rimane, ultima,
r aspirazione h^ che si pronuncia come un' h inglese o tedesca.
Ma le ragioni etimologiche di questo suono c'inducono a sta-
bilire, che, nella maggior parte de' casi, s'abbia in esso l'al-
terazione indiana di uno zh o z {z =j francese) del periodo
indo-irano (§ 3); e cosi, a dare un esempio, verremo a rico-
noscere, a suo luogo, un originario migh, 'spandere acqua ',^
* Secondo il Colebrooke, la prima (g) si accosterebbe allo sh in-
glese, la seconda sarebbe un suono congenere, più aspro; cfr. Hoefer,.
Zeitsclvtift fUr die wissenschaft der sprache, II, 180; Trumpp, Zeit-
schrift der deutschen morgenlàndischen gesellschaft ^ XV, 700, 718;
Whitney, Journal of the American Orientai Society^ Yll, 353, 355;
Lepsius, Standard alphabet, sec. ed., pag. 71.
14 § 4. SISTEMA FONETICO DEL SANSCRITO.
3»[j.'tj^_e'tó, che, pel tramite di un miz h' o miz ìnào-ìrano, si riduce
a miz zendo e a mih sanscrito. Il posto clie spetta in gram-
matica all'attuale aspirazione h, secondo la distribuzione dei
suoni sanscriti in sordi e sonori, alla quale non tardiamo
ad arrivare, è qual si addice all'anteriore sua fase, testé ad-
ditataci dall' etimologia *.
Troviamo finalmente Vanusvàra e il visarga. La vocale cui
si sovrappone Vanusvdra (^suono accompagnatore') è nasaliz-
zata, vale a dire è seguita da un elemento nasale; il quale,
quando gli tenga dietro una semivocale, una sibilante o h, è
ifievole e turbato; e quando all'incontro gli sussegua una con-
sonante de* primi cinque ordini, suona identico alla nasale del-
l' ordine rispettivo. Avremo quindi 1' elemento nasale fievole e
turbato, quale a un di presso è quello del francese entrer e
simiglianti, negli esempj che ora seguono: ganu si, nom.-acc-
pi. di ganiis, nascita, creatura ; trigàt, trenta ; masjàti (ver-
bo man + sja-ti), reTj^xxterà,, jasjàti {yerho Jam. + sja-ti), costrin-
gerà, correggerà; a'has, angus-tia; vavamjàtai, terza
sing. pres. intensivo di vam, vomitare; ta gagàpa {tam e
gagdpa), lo maledi; ma' Jung anti {mdm e junganti), jungunt
me. E all'incontro: tà' dadarga [tam e dadarga), lo vide,
ma' pàti [màm pàti), mi protegge, ma' Hakarsa [mdm e Ha-
karsa), mi trascinò, si leggeranno cosi come se fosse, e può
essere scritto: tàn dadarga, mdm pdti, m,dn Jiakarsa. Il
visarga rappresenta uno spirito poco o punto sentito, a cui
secondo determinate regole, si riducono, di solito alla uscita
della parola, i suoni s q r. Così àgva-s, a cagion d'esempio»
nominativo singolare del tema àgva, cavallo, darà, combinan-
dosi con pibati, beve: àgvai pibati, equus bibit; e gù", nomina-
tivo del tema gir, invocazione, discorso, farà in pausa: ^f; **.
* Consulta l'Indice, sotto h] e v. nel secondo volume degli Studj
critici j il § IV del secondo Saggio italico.
■ ** Qui pregcindiamo daW anundsika ('accompagnato di suono na-
sale'), segno che indica esser turbata di suono nasale la vocale o la
§ 4. SISTEMA FONETICO DEL" SANSCRITO. 15
Tre diversi accenti, o meglio quattro diversi gradi della to-
nalità sillabica, si distinguono nel sanscrito;' e noi ne tocche-
remo con brevità, limitandoci a considerarti, pressoché esclu-
sivamente, nella singola parola, h'uddtta (Inalzato'), vale a
dire Vacuto, è il solo vero e pròprio accento. La sillaba àtona
{an-udàtta, che .non ha Vuddtta), oppure, al principiò dèi di-
scorso 0 del verso, la serie, di sillabe, àtone, che preceda alla
sillaba coli' acuto, si fa più bassa della tonalità ordinaria, di-
venta, cioè, anuddttafara (an + udàtta-tara, 'più che mancante
di accento che l'alzi'), e un particolar ségno, quasi un accento
negativo, indica questa sua condizione*., La sillaba, final-
mente, che sussegue àlF acuta, ài\ enta. smriia f tonica'), o, in
altri termini, assume l'accento svarila, che alcuni grammatici
europei (poco felicemente, per quanto a me pare)' hanno inti-
tolato: cit^conflesso; locchè viene a dire, ch'essa ha una to-,
nalità più alta dell'ordinària, ma non così alta com'è quella
della sillaba coll'acuto.- Diamo, ora, con qualche ulteriore schia-
rimento, alcuni eserapj , rendendo V uddtta col nostro acuto,
mentre per lo svarita ricorriamo al segno del grave, e una
lineetta ■ sottoposta e' indica la sillaba che è, allo stato di an-i
uddttatara :
1. ajmV^,ajippoTo;, immortale; - acuta la sillaba di mezzo; l'àtona
che la precede, è abbassata; e la terza, di mezza. altezza;
2; pradaksinit (al principio del verso), 'per ipodo di offrire il lato
destro'; abbassate, almeno in grammatica, tutte e tre le àtone
che precedono l'acuta;
consonante cui s'applica; e dai due ardha-visarga ( ''mezzi-visarga',
così detti dalla forma del segno che negli scolj a Panini è .comune
ad entrambi; Boehtlingk, Commentar zum Panini iladex)^ 414, Be-
merkungen zu Bopp's gramm.^ 11). . .
* Questa condizione corrisponde a.ìV anuddtia dei Pratigakhja; al
praRaja-svara de' quali viene dal canto suo a ragguagliarsi il sem-
plice anuddtf a della, nomenclatura addotta dal testo.
1(5 § 4. SISTEMA FONETICO DEL SANSCRITO.
3. pradaJisinlt (nel mezzo del verso), la stessa voce di prima, ma
con le due prime sillabe nella tonalità ordinaria, abbassandosi
quella sola, che immediatamente precede all'acuta;
4. nàvjà, navigabile, bhmigjà, godìbile, mangiabile; sillaba àtona
abbassata, innanzi a sillaba di mezz'altezza (swari^a); il qual
tipo si concilia colla regola di sopra enunciata, quando sì con-
sideri nella sua condizione anteriore: navià, bhougià*^ che
non è diversa da quella di amftà ( n.*' 1 : anudattatara, udatta,
svarìta).
Sono pochissime, nel sanscrito, le parole àtone ; e nella siifrS>
gola parola àtona , vale a dire nella parola àtona isolata-
mente considerata, si adopera il segno di anudattatara a in-
dicare semplicemente l'atonia (quindi non più la condizione
inferiore all'atonia) della sillaba o delle sillabe di cui essa
consta ; per es. tm-s {tvas)^ 'l' uno', 'taluno', la qual sillaba ri-
sulterà semplicemente àtona per es. in vi mìmita u tvas, 'que-
st'uno (quest'altro) regola'.. Ma di molte parole sanscrite, la
scienza europea non conosce l'accento, limitata siccom' è agl'in-
segnamenti dei grammatici indigeni ed alle scritture vediche,
la sola parte della letteratura in cui degli accenti sia fatto
uso. Per r uso nostro, il segno dell' anudattatara si rende
superfluo, eccetto il caso di singola parola àtona, e cosi si rende
superflua l'indicazione dello svarìta^ tranne i casi in cui sia
diventato, com'è in nàvjà, il solo e vero accento della parola.
§ 5. Distribuendo pur le vocali, e le due serie dì consonanti che
vengono ultime nell'alfabeto (§4), secondo l'organo a cui at-
tribuiva il posto (sthana) della loro produzione, la grammatica
indiana venne eziandio all'ordinamento dei suoni sanscriti che
* V. la Lezione duodecima, e cfr. Bohtlingk, Ein erster versUch
Ì4,ber den 'accent im sanscrit (Mém. de l'Acad. impér. des sciences de
St. Petersb., VP sèrie, T. VII), § 4; Roth, Nirukta, lxii; Ben-
FEY, Vollstànd. gramm. d. sanskritsprache, pag. 11, Kurze sankrit-
gramm., pag. 7; "Whitney, 1. e. (Atharva-Veda Pratigakhja), p. 489
(o Bopp, Vergléichendes accentuationssystem, pag:. 12-13, 158).
§§ 5-6. SISTEMI FONETICI. 17
ora segue, e anch'esso importa alla nostra indagine*. Ci limi-
tiamo, per le vocali, alle prime cinque.
li, Rh, (/, (jhy n, j, f.
*, ih, <l, (Ih, n, r, s.
t, th, d, dh, w, ly s,
Gutturali :
a,
Palatine:
i.
Linguali:
T'
Dentali :
/'
Labiali:
M,
M, py ph, b, bh, m.
Ma la diligente osservazione degli Indiani è altresi riuscita
a un'altra distribuzione de' suoni, che è d'alta importanza così
per la fisiologia come per la grammatica, e non è mai ben riu-
scita ai grammatici greci od ai latini, ed anzi, comechè poggi
su d'una distinzione, avvertita dal Kempelen sin dallo scorcio
del passato secolo, non s'ebbe familiare fra i dotti europei se
non per merito degli studj fisiologici e grammaticali che tenner
dietro alla divulgata cognizione del sanscrito. Seppe dunque
distinguere la grammatica indiana i suoni che si conseguono
per sola emissione di fiato da quelli che richiedono emissione
di suono **^; distinse, cioè, a parlar più correttamente coi mo-
derni fisiologi, i suoni, nella cui produzione l'aria passa per la
glottide bene aperta, e quindi a corde vocali ben disgiunte,
da quelli, nella cui produzione le corde vocali si raccostano
per modo, che son pronte a vibrare. I primi {k, t, s, ecc.) noi
diciamo sordi, i secondi {g, d,j, ecc.) diciamo sonori; ed ecco
divisi i suoni sanscriti per queste due categorie:
Sordi: /c, A/i; R, Rh; t, th] t, th\ p, ph; g, s, s; ;.
* Qui si dà lo schema paniniano (Scoi, a Panini^ ed. Bohtlingk,
pag. 2-3); per le cui divergenze dagli schemi dei Pràtigàhhja si
vegga Whitney, 1. e, p. 351-59. Alla produzione di ciascun suono,
concorrerebbero due organi; il raen mobile de' quali, quasi il passivo ,
ò detto il posto (sthàna), e il piti mobile, quasi l'attivo: lo stromento
produttore (karana); ib. 35L
** V. i §§ 34 e 44, e la Lez. XIV.
*** Nelle consonanti sorde, l'emissione è fiato {gvdsa), nelle so-
nore (e nelle vocali), è suono (nàda); Rg-Veda Pratiyàkhja,
Ascoli, Fonai, indo-it.-gr. 2
18 §§ 5-6. SISTEMI FONETICI.
Sonori: Le vocali (brevi, lunghe, dittonghi); le nasali e Yanusvàra;
le semivocali; h (v. § 4); ff, gh; r/, gh; d, dh; d, dh; b, bh.
Né a questo si è limitata la sagacia indiana; ma ancora di-
stinse quelle consonanti, per la cui produzione si forma nella
bocca un contatto precludente, da quelle per la cui produzione
il contatto è imperfetto, o manca. Poco, o pressoché nulla, resta
cosi da aggiungere agli avvertimenti indiani, per ottenere e
dichiarare la seguente ripartizione delle consonanti sanscrite,
la quale, comeché faccia alcune concessioni all'uso ed alla uti-
lità pratica, risponde tuttavolta alle esigenze dell'odierna fìsio-
logia.
Espi
osive.
1
Nas-ali.
PYicative.
1
1
Sorde.
1
Sonore.
1
Sorde.
1
Sonore.
Gutturali :
k, hh;
^' gh;
n;
[h*].
Palatine (v. §
38) :
n, Uh;
Ù, i/h;
n;
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Linguali :
t, th;
d, dh;
n;
s;
r **.
Dentali :
^ th;
d, dh;
n;
s;
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Labiali :
p, ph;
b, bh;
m;
r
Nelle esplosive, o momentanee (e qui naturalmente non con-
sideriamo pili la sola lingua sanscrita, ma si indistintamente
una lingua qualsiasi), il contatto, formatosi in una determinata
parte della bocca, per modo che l'uscita dell'aria resti preclu-
sa, si proscioglie ad un tratto, sì che il suono quasi esplode^
e riesce istantaneo, tale cioè che non si può continuare. Per
le fricative, all'incontro, formasi, in una determinata parte della
bocca, non più una chiusa o un contatto, ma si una stretta,
per la quale l'aria si versa, producendo come un suono di sfro-
fìnio, che può indeterminatamente continuare**. Le fricative
perciò diconsi anche continue, e noi pure verremo cosi chia-
edito dal Regnier, Journal asiatique, avril-mai 1858, p. 291, 301-2,
Atharva-Veda Praticakhja, edito dal Whitney, 1. e, p. 347.
* V. la n. ** della pag. precedente, e la n. *** della susseguente.
** La r, consonante tremula, farebbe, a rigore, classe da sé.
§§ 5-6. SISTEMI FONETICI. 19
mandole *. Ma questa denominazione è meno propria dell'altra,
perchè son continue anche le nasali, di cui facemmo una se-
zione intermedia. Si ottengono le nasali (tutte sonore) facendo
il contatto come per le corrispondenti esplosive, ma senza pro-
scioglierlo, e aprendo all'aria la via del naso, la quale, nella
produzione delle esplosive e delle fricative, le è all'incontro in-
terchiusa dal velo palatino **.
Le consonanti greche, e le latine, si distribuirebbero alla lor
volta, secondo le norme testé accennate, nel modo che segue:
Esplosive.
1
Nasali.
Y(inYX,ecc.);
v;
Fricative.
1
* 1 1
*• Sorde. Sonore.
1 Gutturali: x, x; y,
ti
^ Linguale :
1 Dentali: t, ^^; o;
1 Labiali : w , 9 ; p ;
1 i
Sorde. Sonore.
spirito aspro ***.
Q***.
J' (labiodent.e)
*• Gutturali: k{c,q)', g\ n(inaw^o,ecc.
* Palatale :
;! Linguale:
^ Dentali:
t'-,
d-,
5 Labiali :
P'->
à',
m;
s (di septem); s (di rosa); l.
labiodentali.
* Quelle fricative che stanno in frequente connessione etimologica
con le aspirate {]i = eh guttur. ted., p = th sordo ingl., f, e pur h la-
tino, che in realtà più non è una vera consonante) addimandiamo
eziandio: spiranti (v, §§ 30, 31, 32).
** La nasale è continua ^ per la manifesta ragione che gli organi
rimangono nel suo proferimento, e possono indeterminatamente rima-
nere, nella stessa disposizione in cui sin da principio si mettono. Erra
quindi Max Mììller, Lectures on the science of languoge, sec. ser. ,
p. 152, ponendo le nasali tra le esplosive. Nasali ed esplosive hanno
bensì comune tra di loro il contatto', ma gli è il proscioglimento di
questo, che determina l'esplosiva; e per la nasale, all'incontro, il
proscioglimento non avviene affatto.
*** Circa X, ^, 9, vedi il § 31. Lo spirito aspro e il latino h
non possono passare per vere consonanti (BrUcke, a p. 8 dell'opera
20 §§ 5-6. Slh'TEMl FONETICI.
Le te7iui delle vecchie grammatiche sono dunque tutte con-
sonanti sorde, e le medie di esse grammatiche son tutte con-
sonanti sonore; ma vi hanno consonanti sorde all' infuori di
coteste tenui, e consonanti sonore all' infuori di cotesto medie.
Le vocali greche (k à, t i, u u, s v), o w) e le latine {a à, i i,
u ù, e è, 0 ò), cosi semplici, come abbinate, si descriveranno
riunitamente quando sarà discorso delle loro attinenze etimolo-
giche, e si passeranno allora in rassegna anche le vocali u m-
bre eie osche. Ma delle scritture e dei sistemi fonetici del--
r umbro e dell'osco, gioverà sin d'ora notar qualche particolare.
I resti che abbiamo dell'umbro e dell'osco, parte sono nelle ri-
spettive scritture nazionali, parte in caratteri latini. Dell'osco
c'è pure qualche iscrizione in lettere greche. L'alfabeto umbro
non ha un carattere per l'o; e quindi si confondono, nelle iscri-
zioni in cui esso è adoperato, l'o e Vu (servendo per amendue
il segno v), che si distinguono nell'umbro a caratteri latini,
comechè meno antico. L'alfabeto osco, all'incontro, dà un v
munito d'un punto (che noi trascriviamo: ù) per l'o dell'iscri-
zione osca a caratteri latini, ed ha ancora un suo i parti-
colare, che noi trascriviamo i, riserbandoci di toccare a suo
luogo della probabile sua pronuncia. Cosi l'alfabeto umbro,
come l'osco, distinguono per diversi caratteri il v dall' m, distin-
zione che va perduta nei monumenti a lettere latine. Quanto
è al sistema delle consonanti, paragonato al latino, mancano
imprima all'alfabeto umbro il ^ e il e?; ma che non mancas-
sero alla lingua, ci è attestato dall'umbro a caratteri latini.
Due consonanti particolari all'umbro, e rappresentate nell'alfa-
beto nazionale da speciali caratteri, sono quelle che noi scri-
viamo: {? e r; la prima delle quali è trascritta, nelle tavole
citata al § 30). Lo C ha il valore prosodico di due consonanti, e il
suo valore fonetico si addimostra per noi quello di i (= ^ frane.) dop-
pio o rafforzato; cfr. lo z di zio nel prospetto delle consonanti italia-
ne, e v. V Indice, sotto C, ed il terzo Saggio greco nel secondo volume
ùagVi Studj critici. Lo 5 (x + c) e lo -]/ (Tt + d) naturalmente non
compajono in questo prospetto. Non facemmo posto allo z tra ie(
consonanti hxtine. Circa la fisiologia di p, r, v. la n. ** di p. 18.
J5.^ 5-0. SISTEMI FOXF/nCI. 21
eugubine a carattei*i latini, per una s con sopravi un'apice,
distinzione, tuttavolta, che di frequente è trascurata (quindi
spesse volte la semplice s latina anche pel p della scrittura
nazionale), e la seconda per rs. Della loro' ragione etimologica
si discorre a suo luogo {Lez. II e VII). Perchè sempre si
distingua senz'altro, nella nostra trascrizione, l'osco o l'umbro
a caratteri nazionali (che è il più antico), dall'osco o dall'um-
bro a caratteri latini, adopereremo il corsivo solo per questi,
come già altm hanno fcitto *.
Proviamoci, finalmente, ad aggiungere una ripartizione delle § 0,
consonanti di nostra lingua, secondo le norme fisiologiche alle
quali abbiamo obbedito nel distribuire le consonanti indiane, le
greche e le latine **; e potremo eziandio toccare, in questo in-
contro, di alcuni elementi fonetici, proprj a varj nostri verna-
coli 0 ad idiomi romanzi non italiani, chiarendo insieme il va-
lore di alcune lettere di trascrizione che in sino ad ora non
ci sono occorse.
* V. ancora, per lo z umbro ed osco, le note 9 e 11 al prospetto
delle Consonanti italiane, a cui tantosto arriviamo. I dati, che
in questa Lezione si porgono, varranno poi, in generale, anche ad
assicurare sufficientemente la trascrizione e la pronuncia degli esempj
irani e litu-slavi, che nel corso della nostra trattazione ci avverrà
di addurre; solo si aggiunga, circa i primi, sin d'ora, questo av-
vertimento: che lo zendo ha due consonanti assai affini allo s san-
scrito, l'una delle quali io trascrivo s (= s del Justi e del Lepsius)»
e l'altra: s {= sh del Justi, s del Lepsius); p. e. khsvas, sex.
** Sono notevoli, massime se si consideri la data a cui risal-
gono, i tentativi che intorno al nostro sistema fonetico ha il Lam-
BRUSCHiNi nella sua Guida dell' Educatore, anno secondo (1837),
pag. 298-310, 355-78. Ma il Placgi (Sul meccanismo della pronun-
cia mila lingua italiana, osservazioni del doti. Giuseppe Placet M.
F., professore di fisica nel regio liceo di Fermo, Vicenza, 1809), di
cui egli si giova, onorandolo di molte lodi (anno primo, pag. 315,
secondo, pag. 298), altro non fa che riprodurre il Kempelen [Le mé-
canisme de la parole, suivi de la descript ion d'une machine parlante,
Vienna, 1791); e del plagio singolare e impudentissimo non bastano
•di certo a scusar costui le dichiarazioni che egli preraetie (p. 13).
§§ 5-0. SISTEMI FONETICI.
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24 §§ 5-6. SISTEMI FONETICI.
Quanto a vocali d'idiòmi romanzi, qui ci limitiamo alle se-
guenti trascrizioni:
e, la vocale rumena che è per esempio in ved (vedo), e suona come
un' e oscurata; -
u, la vocale rumena (che è per es. in Romun, Rumeno), rappresen-
tata dal juss dell'alfabeto cirilliano, e di pronuncia cosi turbata,
che se ne trovano trascrizioni stranamente fra di loro diverse; -
o, la vocale lombarda, ligure e piemontese, che ricorre per es. in
oju (genov.), olio, ot (piem.), otto, ov (piem.), uovo, mod (mil.),
modo, e suona come Veu dei francesi ;-
u, la vocale lombarda, piemontese e ligure, che suona come I'm fran-
cese.
Nel riferire esempj che spettino all' italiano, allo spagnuolo,
al portoghese, al provenzale ed al francese, noi di certo non
ci permetteremo alcuna innovazione ortografica; ma nel ridurre
a caratteri latini le voci del rumeno (che si suol servire del-
l'alfabeto cirilliano), e negli esempj romanci e di vernacoli no-
strali, adopereremo con rigorosa costanza le lettere di trascri-
zione che testé offerimmo *, riserbando ulteriori proposte a più
opportuno luogo. E ora non parrà, per avventura, superfluo il
vedere riunite, con l'accompagnamento di qualche esempio, le
lettere di trascrizione che abbiamo testò adottato per alcune
consonanti nostrali, rumene, e romancio:
e (selce): cine rumeno (cinque), car friulano (carro), dite friulano
(tutti), cave veneziano (chiave), noe milanese (notte):
ff (argento): Unge rumeno (leccare), gal friulano (gallo), gat engadi-
nese e friulano (gatto) ;
z ( = ^ francese): zenoli friulano (ginocchio), oze veneziano (voce),
averze veneziano (apre), drzola sardo** (aja, areola);
'* Quando, mi rimanga qualche dubbio, aggiungo, tra parentesi,
la ortografia de' miei fonti; e talvolta anche l'adduco perchè il lettore
si faccia ben sicuro del nostro sistema di trascrizione.
** Per sardo, senz'altro, s' intenda sempre il dialetto del Logudoro,
§ 7. AVVERTIMENTI TECNICI. '2^)
i (=j francese): zoo rumeno (gioco), r/risu genovese (grigio; v. la
n. 8 al prospetto che precede), asdid romancio (Bassa finga-
ci in a), aceto;
/(scemo): te.sti rumeno (è), summa napoletano (fiamma), .ni geno-
vese (fiore);
/ (ira^^era): tare rumeno (terra);
VI, (a^wolo): guadaTi milanese (guadagno): 7i,ot friulano (notte).
Resta che ora aggiungiamo alcuni pochi particolari di ordine § 7,
tecnico, rimettendoci pei restanti alla intelligenza di chi ci
segue, 0 alle dichiarazioni che tornerà più acconcio d'inserire in
altri luoghi. Saremo costretti a qualche novità, trattandosi di
studj nuovi; e se non saranno novità felici, io mi arrenderò
volontieri a chi le proporrà migliori. Vi ha dunque im-
prima, che dovendosi qui considerare, di solito, non le let-
tere dei varj alfabeti, ma bensì i suoni ch'esse rappresentano,
già sarebbe strano, per ciò solo, che adoperassimo, a indicar
questi, i nomi di quelle; e si aggiunge, che, volendo pur così
adoperare i nomi delle lettere, saremmo, da un lato, costretti,
0 a inutili e tediose ripetizioni (per es. la emme italiana e il mi
greco), 0 a confondere le differenti serie di nomi (per es. la emme
greca o sanscrita), e, dall'altro, non riusciremmo per questo
ad evitare modi nuovi, poiché, a dirne una, ci mancherebbe
parte dei nomi anche pei suoni di nostra lingua, non essendoci,
a cagion d'esempio, una maniera accettata e facile di nomi-
nare quel suono che occorre per primo nella voce scemo {s).
Il rigore scientifico e il bisogno di un modo uniforme, perspi-
cuo ed agevole, ci inducono a denotare una qualsiasi conso-
nante, senza far distinzione tra lingua e lingua, per un mo-
nosillabo mascolino, il quale consti della consonante stessa,
susseguita da un a breve. Scriviamo quindi: un p, un m, uno
th, lo s, uno i, ecc., intendendo che si legga: un pa, un ma,
uno tha, lo sa (scià), uno za {ja frane), e così via via. Di-
remo iniziale quel suono od elemento onde la parola incomin-
cia; finale o all'uscita quello per cui si chiude; e mediano ogni
suono od elemento che stia fra questo e quello. Nello
26 § 7. AVVERTIMENTI TECiNlCI.
scrivere isolatamente i singoli elementi della parola, distinguia-
mo V iniziale per una lineetta che gli facciamo succedere (per
es. &-); il finale, od uscente, per una che gli precede (-&); e il
mediano, con una lineetta per parte (-&-). Le figure teoriche,
vale a dire le voci o parti di voce, che la scienza ricompone,
ma che più non occorrono nella realtà del linguaggio, si fanno
precedere, quando si possano temere equivoci, da un asteri-
sco*. Un'alterazione generale, che intacchi un'intiera serie
di suoni, chiamiamo tralignamento. Cosi v'ha, a cagion d'e-
sempio, il tralignamento della media originaria in tenue go-
tica (got. kniu = gnu ganu, ginocchio, ecc.); così la media
aspirata originaria (gh, dh, bh) traligna o tralinea in tenue
aspirata greca (greco v^'cpo; = nabhas, ecc.). Elemento asci-
tizio chiamiamo quello che si aggiunge al radicale, ed è suf-
fisso se a questo succede, prefisso se gli precede, infisso se
vi penetra. Dei nomi, o adduciamo il nominativo singo-
lare (ed è, quando si tratti di aggettivi, il nominativo masco-
lino 0 il comune a più d'un genere), oppure il nudo tema, che
si distingue , quando non coincida col nominativo, per una li-
neetta finale (p. e. ferent- latino, nominativo: ferens); e dei
verbi sanscriti diamo, di regola, il complesso radicale e la terza
persona singolare del presente attivo (che esce in -ti; p. e. hhà-
ra-ti, fert) o del medio (che esce in -tai', p. e. gài-tai, xsT-xat)
traducendoli per l'infinito italiano o latino.
* Per altre notazioni tachig-rafiche, y. Vindice.- Al quale Indice
accennano tutti i rimandi che si troveranno chiusi tra parentesi e
preceduti dal vedi (p. e.: v. ji'-; Assimilazione; v. gv\ v. a/'); e
'àXV Indice medesimo vorrà sempre ricorrere chi desideri la serie com-
piuta degli esemplari, che da questo volume sì possano raccogliere
per un determinato fenomeno che sia in esso descrìtto. — Un nu-
mero, senz'altro, cita la pagina; due o più numeri, il primo dei quali
seguito da virgola e l' altro o gli altri dal punto, citano il paragrafo
ed uno o piti tra gli esempj che spettino ad esso (p. e. : 10, 4. 5. = § 10
n.« 4 e 5).
LEZIONE SECONDA.
Le due sezioni della fonologia. — La tenue gutturale.
Si considerano distintamente, nella fonologia comparata, § 8.
due diversi ordini di fatti. L'uno di essi è la serie dei paral-
leli etimologici; dalla quale si ricavano le norme ed i modi,
per cui i singoli elementi dei sistemi fonetici delle diverse lin-
gue si corrispondono etimologicamente tra di loro, e variamente
continuano il sistema primitivo, al quale essi tutti risalgono.
Cosi, il ragguaglio del greco hup- (67:-; utt-vo-; sonno) col la-
tino soip- (sop-or), e col sanscrito svap {svàp-na-s, sonno),
entrerà fra gli argomenti, pei quali riusciamo a stabilire, che
il p greco e latino sia la continuazione normale del p origi-
nario, e il 5 latino e lo h greco sieno in siffatta congiuntura
i normali continuatori dell' originario s. E comechè per simi-
glianti ragguagli si vengano ad avvertire, pur quando si tratti
dei più nobili idiomi, non pochi fenomeni di assoluta decadenza,
tra i quali starebbe, a cagion d'esempio, quello del h greco
dirimpetto al s originario (hup = sup = svap), si può dir tutta-
volta, che queste operazioni ragguagliative concernano, gene-
ralmente parlando, lo stato sano, 0 meglio fisiologico, degli
organismi idiomatici. I fatti dell'altro ordine, all'incontro, co-
stituiscono le serie parallele degli accidenti patologici di questi
organismi; le quali ci portano a scrutare quelle cause di alte-
razione, il cui effetto, più 0 men frequente, più 0 men profondo,
si produce in modo uguale od analogo, ora su questo or su
quel suono o complesso di suoni originarj od antichi, ed è spesse
28 § 8. LE DUE SEZIONI DELLA FONOLOGIA,
volte deleterio, sì che essi ne vadano snaturati e distrutti. Cosi'
restando all'esempio di prima, Vu del hup- greco ( = svap, sop-ì
si manifesta essere una contrazione del complesso originario va,
non estranea pure al sanscrito {sup-tà, che ha dormito), della
quale contrazione si tenterà l'istoria; e il p della stessa ra-
dice (sop-), imbattutosi in un n, si altera, nell'Italia, prima
nel m del latino som-no- (*sop-no -tm-w^ svàp-na; assimilazione
parziale), poi nel n dell'italiano son-no (assimilazione totale),
e infine tramonta del tutto nel ,s'ono dei Veneziani; dove l'India
seriore, quasi ad impedire il lavoro assimilativo, aggiunge alla
sua volta un elemento anorganico tra radice e suffisso (pra-
crito sib-i-na- = sscv. svàp-na-), e quindi ha un'alterazione che
intacca la parola, e non più, almen direttamente, alcun sin-
golo suono di essa.
Lo studio del primo ordine di fatti , costituisce naturalmente
la prima e più importante sezione della fonologia comparata.
E la sezione comparativa o ragguagliativa per eccellenza, e
potrebbe dirsi: dei continuatori etimologici de' suoni originarj.
La seconda sezione, in cui si considerano i fatti dell' altr' or-
dine, e si potrebbe dire: dei fenomeni patologici o degli ac-
cidenti, ha anch'essa la sua diretta importanza nell'opera
riunifìcatrice, sia perchè pur v' ha un certo numero di questi
accidenti che risale a periodi anteriori alle divisioni, sia per-
chè non pochi ragguagli etimologici si ottengono od almeno si
assicurano sol per lo studio di questi fenomeni medesimi; ma
la sua principale utilità consiste in ciò, eh' essa ci offre Visio-
ria com,parativa dei detrimenti fonetici, ai quali le antiche
figure vengono soggiacendo nel tempo e nello spazio. Non è,
del resto, sempre agevole il riconoscere il confine che separa
l'una sezione dall'altra, né sempre è agevole od opportuno il
religioso rispetto di questo confine. La prima sezione anticipa
quasi inevitabilmente, e in misura non iscarsa, sull'opera della
seconda; anzi, a rigore, si potrebbe dire, che quella usurpa
su questa anche tutta la molta parte dei continuatori etimo-
logici , in cui non s' abbia una continuazione inalterata dei
suoni primitivi.
§ 9. ORDINE NKI.LO STUDIO DEI COSTIJS'UATUIil ■ '2\)
Venendo ora senz' altro allo studio dei continuatori etimo- ^ 0.
logici, considereremo imprima le consonanti, e poscia le vocali.
La dissonanza tra lingua e lingua, se pur non sia minore»
riesce di certo, in generale, men sensibile rispetto alle vocali
che non rispetto alle consonanti; ma appunto per questo, torna
più logico, in una trattazione come la nostra, che il ragguaglio
delle consonanti sia mandato innanzi a quello delle vocali. Im-
perocché, ove si tenti per primo il ragguaglio di queste, s'in-
contrano di continuo difficoltà soverchie nella parte non ancora
studiata, cioè nelle consonanti che si accompagnano alle vocali
nelle parole che si vengono tra di loro comparando. Cosi, a dir
di un esempio, importa di considerare il latino /?r-mo- ( = dhar-ma)
tra i casi di / latino per a radicale originario; ma il parallelo
fir = dhar non avrà alcuna evidenza per chi non abbia ancora
appreso a ricondurre il /"latino all'originario clh. Se, all'incon-
tro, senz'avere ancora riconosciuta l'equazione i lat. = «orig., ci
varremo del lat. fir- di firmo-, cioè di fir = dhar, tra gli esempj
pei quali si dimostra l'equazione f- lat. = dh- orig., la dissonanza
non ancora chiarita {i = a) qui manifestamente nuocerà assai
meno all'evidenza del riscontro.
La prima consonante che ci occorre nell' alfabeto sanscrito, § 10.
eletto ormai a nostra guida (§ 3 in f.), è la tenue gutturale: k,
della cui ragione fisiologica sarà ritoccato in appresso (§ 38).
Negli esempj a cui tosto veniamo, vi avrà concordanza perfetta,
in ordine a questa tenue, tra la favella indiana, dall'una parte,
e amendue le nostre favelle europee, o l'una almeno di esse,
dall'altra. Precederanno, qui e sempre, gli esemplari in cui il
fenomeno sia iniziale, di poi avranno posto quelli in cui si abbia
mediano; ultimi, dove ne sia il caso, verranno quelli in cui oc-
corra finale (§7).
L Sscr. (vedico) kdm^ di sicuro, veramente;- gr. xi'v, xdt dor., xs
(V. Ind.)j per es. : t~)v xev tu; to5' e/ria-tv, ì-kiÌ 5xvs oTo? 'Oouaas'j;,
I» , un di loro certamente l'avrà, morto che sia il divino Ulisse
( Odiss., I, 396). E in ispecie si confrónti nù kfim = Yj xs»
(Benfey, Glos^. al Sàinaveckij pag. 46), p. e: ima nù kam
30 § 10. k ORIGINARIO ; - k SANSCRITO, X GRECO, C LATINO.
bhùvand slsadhàma^ ora veramente compiremmo queste creazioni
(operazioni; rgv., X, 157, 1), xocl vu xsv stpuade'v te, e certamente
[Io] avrebbe trascinato (IL, III, 373)*.
2. Sscr. har^t kr-nd-t-ti, torcere il filo, filare (cfr. ìiart , nectere,
§ 13), kar^t-ana-m, il filare;- lat. crd-t-es**.
3. Sscr. kar-t Mr-t-a-ti hr-n^t-d-ti , tagliare , recidere , kar-t-
-ana-m, il recidere, kar-t-ari, forbice, coltello da caccia; - lat.
cul-t-er. Sscr. kf-t-ti'S, pelle;- lat. cor-t-ex.
4. Sscr. kùpa-s, caverna;- lat. cupa, nicchia mortuaria, bot-
te;- gr. xuTTV] (Esichio), caverna, cavità.
5. Sscr. (vedico) krp, bell'aspetto, beltà, splendore {svdjd krpà
tanvd rdukamdna:, risplendente per la sua bella parvenza e
pel corpo, rgv., VII, 3, 9); zendo keref-s (nom.), kehrp-em (acc),
corpo, carne ; armeno kerp, forma, figura ; - lat. corp-us ***.
6. Sscr. kravis, kravj~am, carne cruda, carogna, kravjàd- { kra-
* Questo esempio, che l' ordine alfabetico e la scarsità degli esem-
plari per k dinanzi a vocale, c'inducono a metter primo, domande-
rebbe veramente lunga legittimazione. V. Vlnd., e Pott, Elymolog.
forsehung., sec. ediz., I, 424-8.
** Mi pare molto probabile, che il nucleo radicale kar kra, base
di questo kar-t (torcere, contessere), non sia, in fondo, diverso dal
sanscrito kar kir^d-ti, spandere, gettare, cospergere, ricoprire, dove
è da confrontare, rispetto ai significati , l' indo-irano vap, spargere,
cospergere, tessere; dal quale kar non vorrei disgiungere i greci
xep-!xv-vu-[ji.t, xip-v7i-(x[, mescere, mescolare, mandare insieme, combina-
re, che il Bopp gli ha raccostato. Cfr. Pott, Wurzel^wurterbuch, I, 4,
CoRSSEN, Aussprache ecc., I, sec. ed., 443, e ancora, circa i signi-
ficati, qui più innanzi, il § 12, num. 5. Ma ad ogni modo non
saprei congiungere, come fa il Curtius, Grundzùge, n. 76, questo
kar sanscrito (cospergere, ecc.) col gr. xpi-vco = lat. cer-no] paren-
domi evidente, che il kar, a cui risalgono xpfvio e cerno, sia all'in-
contro quel diverso kar, base del kar-t che qui sussegue ( tagliare,
recidere), il quale ritorna pur nel greco xetpto, recidere; dove sono da
confrontare, rispetto ai significati, il latino decadere, il tedesco schei-
den, eni-scheiden (scernere, decidere; etimologicamente: scindere), e
simili. Cfr. ancora i sscr. gar e kar, § 13, 12.
*** I significati: corpo, forma, bella forma, bellezza, si vedono
riuniti nel sanscrito vdpns.
§ 10. li originario;- k sanscrito, x greco, c latino. 31
vja + ad), carnivoro, mangia-cadaveri ; - gr. xpsa; (v.^), car-
ne;- lat. caro (caren-, v. v). Sscr. hrù-rd-s, sanguino-
lento (e quindi, come il lat. cruentus, cosi quello che manda
come quello che sparge sangue), crudele, tremendo, aspro, du-
ro ; - lat. cruor, cru-znta-Sj cru-du-s, cru-d-eli~s *.
7. Sscr. hsard-s, rasojo;- gr. $upo-;, $upo-v, rasojo.
8. Sscr. -ka, p. e. in dhdi"in-i-\^ò.-s , giusto, virtuoso, da dJidrma-,
statuto, dovere, ecc. ; - gr. -xo, p. e. in /pov-t-xo-;, che con-
cerne il tempo, da ypó^o-, tempo;- lat. -co, p. e. in coel-i-co
(coelicus), da coelo-,
9. Sscr. skand sJidnd-a-ti, salire, scandere, cadere, elabi, effluere,
skav-nd- (skad+na), e'iapsus; iramissus, infusus (de semine) **;-
lat. scand-ere.
^10. Sscr. nok- (v. § 13), nakta-, ndkti-s, nakfcm-, notte, ndkta-m
avv., di notte;- gr. vu^ (vuxt-), notte;- lat. nox {noeti-).
11. ^cr. daJis ddks-a-tai , essere atto, valente, daksd-s ^ valente,
* Tra i molti paralleli zendi, che lo Justi (Ilandbuch der zendspra-
che, p. 92) adduce, sarebbero il participio attivo khrvant- {= cruent-u-s),
tremendo, e l'altro participio, ch'egli dice medio : khrùta-, pel quale
ha l'esempio: zimó khrùta-hèj dell'inverno che offende (ferisce). Ma
saremo veramente al nostro crudo verno , e così raggiungeremo il
gr. xpu-o;, gelo, ecc. Cfr. Curtius, o. c, n. 77.- khr zendo = /cr
sanscr. ecc., ò normale (v. Aspiromenti).
** Sarebbe uno scandere ancora indifferente tra Vad-scendere e il
de-scenderc, cfr. il sscr. pat, volare e cadere, = gr. ttst di 7ri-7rT-(o,
cadere , TOx-oaat , volare , che è quanto dire il muoversi rapido così
dall'alto in basso come dal basso in alto. Il Westergaard {Radices,
s. skand) ha pel valore di ascendere l'esempio: drapsas tai md dja
skan ( 'skand ), che non salga (?) la goccia tua al cielo. All'incontro,
sempre accanto a drapsa- ( goccia ) , col significato di effluere sen-
z' altro, e quindi descendere, abbiamo {rgv. , X, 17, 11. 12. 13):
drupsdg Uaskanda, drapsd: skdndati, drapsd; skannd:. Ma dai valori
che skand assume nel congiungersi coi varj prefissi, meglio ancora
si rafferma la sua identità collo scandere latino; p. e.: avaskand,
ascendere, oppugnare. — È all'incontro pih che problematico se qui
spetti l'esichiano «jxtvS-apo?, ^ eTravdtaTaaK; vjxtò? àcppoSiauov '^vexoc (vedi
Benfey, Orient u. occident, II, 754), comechè vi si aggiunga: Phot,
lex. ms. TXtvSaXeijeiv. tò vuxxwp IzavasT^voct àxoXàaxtoc;.
32 § IO, k originario;- k sanscrito, x greco, c latino.
abile, ddksma-s, abile, destro (che ò a mano destra ♦), pra-
-daìisinit, per modo di offrire il lato destro (4, 2. 3.);- gr.
8£;co-;, abile, che ò a mano dritta, 8e;tT£po-; (forma compara-
tiva, che sanscritamente suonerebbe da/jsa-^ara-s), id.;- lat.
dex-ùer, dex-timu-s (forma superlativa, che sanscritamente suo-
nerebbe ddksa-tama-s).
12. Sscr. maksù-tama-s, prontissimo, maksù {maksù) avv., pronta-
tarasnte, tosto;- lat. mox.
§11. Alla equazione unisona: k sscr. = x gr. = c lat., offertaci dagli
esempj che testé sentimmo e da altri consimili che in appresso
ci occorreranno, aggiungendosi, dall' un canto, la testimonianza
concorde delle altre lingue della famiglia, per la quale breve-
mente citeremo: kareta- zendo, coltello (10, 3.), kraùjes Wìwù.-
no, sangue (10,6.), naktìs lituano, na/i^5 gotico**, notte (10,
10.), e, dall'altro, le ragioni generali dell'economia del siste-
ma fonetico indo-europeo, le quali verremo a mano a mano
riconoscendo, ce ne risulta, che nella corrispondenza etimolo-
gica: k sscr. = 3t gr. - e lat. s'abbia la continuazione inalterata
della tenue gutturale originaria (/«); ed è quanto dire, che,
negli esempj a cui alludiamo, le tre nostre favelle si manten-
gano, rispetto a questo suono, nella condizione proto-aria-
na (§3). Ma alla continuazione intatta fallisce spesse volte
l'una 0 l'altra o più d'una delle tre voci, od anche le falli-
scono tutte e tre, per effetto di varie vicende della tenue gut-
turale originaria, che noi verremo partitamente esaminando; e
intanto incominciamo dal riconoscere le alterazioni compiutesi
nella voce asiatica, le quali, in ordine alla loro estensione, son
qui maggiori di quelle che abbiano subito le voci europee. Si
ha, dunque, gran numero di esempj, ne' quali i riflessi greci, ita-
lici, germanici (e celtici) offrono quello stesso suono, che negli
esemplari testé discorsi vedemmo continuare, d'accordo col k
* E quindi il meridionale (il Dekhan, cfr. pracr. dakhina- = sscr.
daksina-); v. Studj orientali e linguistici, I, 219.
• ** h got. : k sscr. ecc. : : f got. :p sscr. ecc. ; v. la nota a p. 62-64
§11. /s ORIGINARIO ; - f SANSCRITO, X GRECO, C LATINO. 33
sanscrito, la tenue gutturale originaria, mentre il riflesso san-
scrito, all'incontro, ci offre, non piti k, ma bensì fé (tenue pa-
latina) 0 Q (sibilo palatino), e in ispecie questo, come si vede
dalle prove che ora seguono.
Esempj di g sscr. = y- gr. = e lat. ( = k originario) *.
1. Sscr. gaid-m^ cento, gatd-pad-, centipede ( £->cs'.To-a--rtoo- , centi-
ped-) ; - gr. é-xaTo-v ** : - lat. centu-m.
2. Sscr. ca<^, d-gad-a-t (3. pers. sing. aor. att.), cadere *** ; - lat.
cad-ere.
3. Sscr. grdd (indecL), fiducia, fede, grad-dhà, fede, grad + dhà
grdd + dadhati, porre fede, credere **** ; - lat. crè~do crè-didi.
4. Sscr. grd grà-ti (partic. perf. pass, gr-td-, grd-nd-), cuocere; -
lat. cre-m-are (v. Introduz. alla Morfei., s. -ma; e Metatesi).
* Per questa equazione si possono vedere gli Studj cHticiy II, 74'-81.
** V. ib., 239-40.
*** Non so astenermi dall' addurre il sscr. gad accanto a cad-ere
latino, comechè io debba confessare che il significato di cadere non
mi paja ancora sufficientemente assicurato per lo gad del sanscrito
e dello zendo, malgrado la dichiarazione indigena (gad = gàtanai) ^
e la concorde traduzione che il Benfey ed il Kuhn ci danno . della
terza del pi. perf.: gà-gad-ùs {rgv., II, 20, 4, son periti), e lo zendo
gad-aja~t (causat. : he made to happen, to cause), e il sanscrito
gàda, che il Benfey (sdmav., II, 5, 2, 3, 7) rende per 'goccia' (la
cadente). All'incontro mi pare assicurato il valore di 'atterrare'^
'vincere', alle forme intensive: gà-gad-dna- , gd-gad-mdhai. - Cfr.
RoTH, Nirukta, ad VI, 16, 14; Kuhn, Zeitschrift, I, 91-2; Ben-
fey, Gloss. al Samav., s. 1 gf (p. 60); Haug e Destur Hoshengji
Jamaspji, An old zand-pahlavi glossary, 122; .Tusti, o. c, s. gad',
Spiegel, Die altpersischen keilinschriften, s. thad.
**** grdd vigvd vàrjd krdhi, fa [che si compiano con] fiducia tutti
1 sagriflci (rgv., VIII, 64, 2);- graddhdm prdtdr havdmahai grad-
dhàm madhjà'dinam pdri / graddha sùrjasja nimritìii grdddhai grdd
dhdpajaihd na: , la fede di buon mattino invochiamo, la fede sul
mezzodì, la fede al tramonto del sole, o fede, fa che qui noi conse-
guiamo fiducia (rgv., X, 151, 5).
Ascoli, Fonol. indo-H.-ur. 3
.14 §11- /t originario; - r. SANSCRITO, y- GRECO, e LATINO.
5. Sscr. gru gr~ndu-ti, udire, gru-ti-s, notizia, vi-gru-ta-, famige-
rato, grdv-as (ved.), gloria;- gr. xXó-w, odo (imperat. aor.
xXu-5t = sscr. gru-dhi), /.Xu-to-; (= sscr. gru-td~s), celebrato,
xXs'o? (y.'kzp'-oi;, r. v), gloria;- lat. clu-o, clu-e-o, clu-tu-'S ^
in-clu-tu-s (v. gì - "ci ).
6. Sscr. grduni-s , graunl^ coscia, lombo;- gr. xXo'vt-; (v. ^),
coccige;- lat. cUìni-s.
7. Sscr. gvan- (nom. gvd, acc. gvàn'am, gen. gùn-as), zendo gpan-
(*cvan, V. § 17, in n.) e guni-, cane;- gr. xuojv ('xuov-?; gen.
xuv-o; = sscr. gùn-as), cane;- lat. cani-s (v. y, e il § 20).
8. Sscr. dg-ri-s, il lato aguzzo di un oggetto; angolo; taglio della
spada; Rdtur-agri- Katur-agrd-, quadrangolare;- gr. ox-pi-;,
punta, asperità; ax-po-;, estremo, che è in cima, tò ax-po-v, la
cima, ax-pt-;, vetta di monte;- lat. oc-ri-s (Festo: ocrem
antiqui, ut Atejus philologus in libro glossematorum refert,
montem confragosum vocabant, etc); ac-u-s, ac-u-o, ac-ie-s.
9. Sscr. dg-ù-s, veloce, àgìjdn (tema: dgijàs), piti veloce, àgistha-s,
velocissimo;- gr. wx-i)-?, veloce, ojxt'wv, piti veloce, wx^tto-?,
velocissimo;- lat. oc~i-'ter, 6c-ior, 6c-is-simu-s; acw-ped-iu'-s.,
piè-veloce.
10. Sscr. kaldga-s, boccale, vaso (in cui stilla il Soma), scodellina;
dhrsdt piba kaldgai sdamam indra, bevi nel nappo gagliarda-
mente il Soma, o Indra (rgv., VI, 47, 6);- lat. calic-s',- gr.
xuXt^ (V. u = a), coppa, calice.
11. Sscr. ddga-*, dieci, dagd-t-, decade, Z)apa-/)m'a-m- = Decapoli ,
daga-md-s, decimo ; - gr. Be'xoc, dieci ; - lat. dece-m, deci-mu-s.
12. Sscr. pag-ù-s, pecus;- lat. pec-u {pecu-bus = zendo pagu-bja),
pec-us (*pecos-is pecoris), pec-ud- (pecus pecudis).
13. Sscr. pfg-ni-s, screziato, variegato, pezzato ; - gr. Ttepx-vo;, TiEpx-
-0-;, macchiettato, chiazzato di nero, nerastro (Figk).
14. Sscr. darg da-ddrg-a (perf.), vedere, darg-atd-s (= Aepxsxo;), che
ò da vedersi, appariscente, cospicuo;- gr. Sspx-o-aai- (perf. Se-
-oopx-a), vedo..
15. Sscr. dàg ddg-a-ti, mordere; - gr. oix-v-w (aor. e-Sijcx-o-v), mordere.
16. Sscp. dig {di-dais-ti ) di-g-d-'ti , assegnate, segnare, mostrare, upa-
-dig-* (u7ro-8e^x-vu-[j«), indicare, esporre, insegnare pra-^dig^ (Tcpo-
V. Studj critici, II, 222-35.
p
§ 12. k ORIGINARIO ; - a SANSCRITO, X GRECO, C LATINO. 35
«■S£6t-vu-[At), indicare, prescrivere; daig-i-nl, il dito indice;- gr.
Seix-vu-uii , io mostro, ùU-ri (veramente: direzione, = sscr. dig-ày
direzione, indi: plaga), costumanza, uso, diritto; - \a.i. in-dìc-
(in-dec-s), dlc-a-re, vi-dlc-a-re; dic-is causa (per mostra); delco
(dico, osco deik-um, dire), dlc-ax.
17. Sscr. naQ ndg-a-ti (cfr. § 13, 13), perdersi, dileguarsi, andare
in ruina; al causativo: ndg-dja-ti, far disparire, mandare in
ruina; ndg-vara-s, caduco; zendo nag-u-s, cadavere; - gr. vsx-
-u-;, cadavere, vex-po-;, morto;- lat. nec~s, nec-O', noc-sa,
noc-e-o ( = sscr. ndg-dja-).
18. Sscr. nag ndg~a-ti (con nasale interna: zendo nàg^at , tipo di
terza sing. d'imperfetto; sscr. nà'g-iy aor. pass.), raggiungere,
conseguire;- lat. nanc-ì-sco~r, nanc-tu-s, nac-tu-s. ,
Ora pochi esempj per la infrequente equazione: U sscr. = /. gr. § 12,
= clat. ; =k originario (cfr. §§ 19; 41, 4):
1. Sscr. Rakrd-, ruota, disco;- gr. xuxXo-;, circolo. [V. § 19, in n.]
2. Sscr. ìiand~rd-s, sfavillante {puru-gJiandrd'y molto sfavillante),
biondo; il dio Luno, la luna;- lat. cand-eo, cand-elaj cand-i-
-du-s. [Cfr. 41,4.]:
3. Sscr. rw^ rduU-a-tai, rilucere, splendere, ncli-, luce, rauk-is ^
raggio; - lat. luc-s, luc-er-na, Louc-ina, Lùc-ina; - gr. Xsux-
-0-?, splendido, chiaro, bianco.
4. Sscr. vali (I." sing. pres. att.: vdR-mi; vedico: vi-vak-mi, colla
gutturale), parlare, chiamare; vdR-as, parola, prece, inno, vàK-,
parola, discorso, inno, a-vdJi-, senza-voce, muto; - lat. vòc-'aTe,-
vòC' (nom. v6c-s = vdkh'-s zeiiào). [V. ètcoì; ecc.]..
5. Sscr. parli pr[nd]k-ti (3." pi. pr[n]Ii-d7iti; partic. perf. pass^
prk-td-), mescolare, mischiare, congiungere {sdm-prk-ta", mi-
schiato, collegato; e il suo contràrio: vi-prk-ta" , messo fuor*
di contatto, diviso);- gr. irXex-w, intreccio, annodo;- lat.
plec-'t-o, -plic^ {sim-plic~, du-plic-., ecc.), plic-o *.
* Di esempj affatto sicuri, in cui, senza mettere in conto il li re-
duplicativo (13,9.), si abbiano, nel sanscrito, e M, e g per uno stesso
k originario (Kuhn, in Hoefer's Zeitschrift fur die toissenschaft der
sprache^ II, 173; Benfey, Volisi, gramm. d. sskritspr., pag. 20),.
non ne veggo alcuno. Il vedico inig-at- (per es. sdmiddhasja riUgad
36 § 13- VKCK SANSCRITA DI k E H, DI k Q ^.
13. Pure entro ai confini della stessa lingua sanscrita si avver-
tono le equazioni Ji = k, ^ = k, alternandovisi, per ragione eti-
mologica, e, in parte, anche per mera ragion fonetica, cosi U
e k, come ^ e k (cfr. i §§ 24, 34, 36, è l'Indice s. k-s). La vece
sanscrita dì li e k è più decisa e frequente che non quella di g
e k; e certo per questa ragione, che all'epoca in cui le forme
si fissarono, fosse ancora assai poca la differenza fonetica tra
k e K (v. § 38). Troviamo cosi molti esempj, in cui un mede-
simo complesso radicale esca per K, dinanzi a vocale od a J,
nel verbo, ed esca all'incontro per k, ancora dinanzi a vocale
od a j, in qualche formazione nominale. Si osservino :
1. aìi unii (partic. perf. pass. anR-i-td-), piegare;- ank-d-s, ank-
-ugd-s , arpione , uncino , cfr. gr. oyx-o-? = lat. unc-u-s.
2. arìi [drM.-a-ti], rilucere, arR-i-s, raggio, fiamma;- ark-d-Sy
raggio, lampo.
3. uH ùJi-ja-ti, compiacersi, ufi-i-td-s, adatto, abituale;- duk-as.,
stazione abituale, abitazione.
4. paR paR-a-ti, cuocere, portare a maturità;- pdkd-s, il cuocere,
il maturarsi. Cfr. § 16, 7.
5. parR, § 12, 5;- madhu-parka-, mistura di miele (mddhu).
6. vaR, § 12, 4;- vdk-jà-m ['vdkià-, v. pag. 16], discorso*.
7. guR, gduR-a-ti, affliggersi;- gduka-s, afflizione.
8. siR sinR-d-tiy aspergere ; - saik-a-s, aspersione.
adargi paga:, dell'acceso [fuoco] il rosseggiante colore [chiarore]
si vede, rgv., V, 1, 2) non può, tuttavolta, di leggieri staccarsi da
ruR, rilucere (12, 3.), quando in ispecie si confronti una frase com'è
la seguente: anjdd rùgad asja paga; krsndm anjddi, rosseggiante
l'un colore, nero l'altro {rgv.\, I, 115, 5), con quest'altra: anjdd
rduRatai krsndm anjdt, l'uno riluce, l'altro è novo {rgv. Ili, 55,
11);- né vorremo staccare il sscr. prap-na, intreccio, canestro, dal
greco TtXs'x-» ecc. (Fick, WOrteròuch der indogermanischen grund-
sprache,- 119), e dal sscr. parR che testò studiammo (12, 5.); ma.
qui forse trattasi di vicenda meramente grammaticale. Y. ancora Studj.
crii., II, 239-40.
* Cfp. § 24, 6, n.
■
^V. §13. VECE SANSCRITA DI k E fi, hi k K p. 37
Inoltre è regola, che il reduplicatore di k sia k (cfr. § 24, 11,
e § 34), mentre p, all'incontro, reduplicherebbe per l'identico^
{pat, volare ecc., perfetto: pa-pdi-a), e cosi t per t {tan, ten-
dere, perfetto: ta-tàn-a). Quindi: ,
9. kar, fare (lat. cre~o, ecc.); perfetto: ka-^hàr 'a, ieci, fece; temi
intensivi: fiar-kar, hari-kar (nel dial. vedico voci intensive che
ancora reduplicano per k: partic. pres. kdri-kr-at-);- kraìn,
incedere (13, 12.); perf. Jla-krdm-a, tema intensivo: han-kram.
V'ha poi, in terzo luogo, che talvolta coesistano, indipendenti
ormai Tana dall'altra, la figura radicale col k e quella col k; cosi
10. hi-d (zendo Jii-t), particola enclitica, veramente un nom.-acc.
neutro di quel pronome che al nom. sing. diede il sscr. -ki~s
(17, 1.; nello zendo, colla palatina pur questo: Ri-s)', Kart
Jirt'd'ti, nectere, - allato a kart (10, 2.); Rit Mit-a-ti, scor-
gere, considerare {Jiint Jiint-dja-ti, meditare, pensare),- ac-
canto all'equivalente esemplare reduplicato: lii-hait-ti (partic.
pres. di tipo intensivo: hài-kit-at-) , la cui radice mantien la
gutturale; e la stessa vece si ha nel pivi semplice tipo radicale:
Hi, ki, onde, a cagion d'esempio, apa-hi-ta-', considerato (sti-
mato), ni~M-ta~, scorto, allato a ni-M-kj-at-, che scorge, os-
serva (cfr. § 15, 1. n.) *; lauk IduK-a-tai, vedere, Iduk-ana-m^
occhio,- allato a lauk Iduk-a-tai, vedere**.
Finalmente , si ha la continua vece grammaticale ài U e k;
dove le ligure col li di certo continuano, generalmente par-
lando, la condizione primitiva, ma, in parte, pur si dovranno
all'adattamento fonetico ed all'analogia***. Il ìi, per cui finisce
* Coppie non bene peranco accertate, sarebbero: hùn ìiùn, contrar-
re, kùl (kùd) Mr, abbruciare, han Tian (kan)^ mandare un suono,;
kipja-, nome di un verme, liipja-, id.
^* Ed entrambi, denominativi di certo, pur secondo altra conjuga-
zione: lauTi-dja^ti lauk-dja^ti; v. Vlntroduz. alla morfei. (ruJi ecc.).
*** Allato a vak (12, 4. 13, 6.) abbiamo vdk-van- (ved.), oratore,
cantore, ed allato a. pak (13, 4.) abbiamo pak-vd-, cotto. Si può
chiedere, se il k di vdk-van e pak-vd sia diretta continuazione del k
originario, o se piuttosto noi si debba alla tendenza di sfuggire la
38 § 13. VECE SANSCRITA DI k E M, m k E ff.
una figura radicale, lascia il posto al k, o al normale succe-
daneo di questo, quando si abbia V tiscita scoperta oppur la
immediata annessione ò' esplosiva o sibilante; come apparisce
dalle voci che ora offriamo:
11. ruR (12, 8.), splendere; ruk- (fem.), splendore, al nomi n. sing. :
rùh; eh pur dinanzi a m, nella derivazione nominale*: ruk-
-md*, oro (il rilucente); - vaM^ (12,4.), dire; partic. perf. pass.:
uk'td-; infinito: vdk-'tum; 1. pers. sing. fut. : vah-sjàmi;-' vali-'
(fem.), discorso, al nomin. sing. : uà/c, all'accus. sing. : vàk-am,
ma al locat. plur. : vàk-sùy al dat.-abl. plur. : vàg~bhjds i,'vàk-
-bhjas, V. Assimilazioni); - parli. (12, 5.) pr-n-R-dnti (3. pers.
pi. pres.), mescolare; partic. perf. pass. : jarA-fà-; 2. e 3. pers-.
sing. imperf. : d-pr-na-k.
La vece Òx g q k, all'incontro, non si afferma per alcun fatto
che risponda a quelli delle prime due serie per le quali si affer-
mava la vece di ^ e ^ {paK pdka-; kar 'hakdra). Ma per la
varietà radicale col g, alla quale coesista la figura col k, fattasi
l'una dall'altra indipendente^ si possono addurre:
12. Qar gr-nà-'ti, laedere, dirompere, abrumpere (greco KEP, x£tpu>,
recido, rodo, devasto), glr-^nd--, diesi è spiccato;- accanto a
combinazione /ty (cfr. vag-nù. nelle Assimilazioni^ e il § 14 al princ).
La quale affatto non si vedeva, tra i nessi binarj, nel prospetto del
BoEHTLiNGK (1. c. a pag. 10); e s' ha in quello del Benfey {Vollst.
gramm. d. sskritspr.) solo in grazia dell' m che si fa v, afSn di to-
gliere r iato , in kaUvaus ( kaliu + aus ) , genitivo-locativo duale ( cfr.
JiaKvi^ìiaKu ap. Boehtlingr-Roth). Ma hanno entrambi il ternario
nJiv, che si ottiene, almen teoricamente, p. e. da riR, vacuefacere,
alla prima del pres. att. duale {rinìi + vas). Al partic. del perf. att.
ài ruR, splendere (-r«7?. + vas), abbiamo il vedico ru-ruh-'Vds (sd-
mav., II, 9, 1, 4, 1 = rgv., I, 149, 3).- Pure in questa parte si
viene determinando un' antitesi fonetica fra verbo e nome ( 13, 1-8.),
è a questo riman sempre il carattere di maggiore antichità; si con-
frontino, p. e., vdli-mi (ved. vi-vak-mi), io dico, e il tema nominale
vdk-man- (Benfey, Vollst. gr., § 415); v. il testo (13, II.) e cfr. § 24"
* V. la nota che precede, e quella al § 24, 13; e cfr. guk-rd-, ri-
splendente, allato a guK^ risplendere, ardere.
§ 13. VECE SANSCRITA DI /f E ^, DI /f K Q. 39
har kr-nà-ti kr-ndu~ti, ledere, uccidere (kdr-a-s, uccisione*),
ed al kar-t di cui già dicemmo (10, 3.) **; gram gràm-ja~tiy
stancarsi, gì^àn-tà^^ lasso, allato a klàn-td-, che dice il mede-
simo, e così grama-s = hlama-s^ entrambi: stanchezza; dg-ri-s
-ag-ra-, §11,8, allato ad dg-ra-m ('dk-ra-ni ax-po-v; cfr. gag-
-md- 'gak-md- ecc., nelle Assimilazioni) , punta, estremità, ver-
tice; nig nig-d, notte, accanto a nak ecc. che valgono il me-
desimo (10, 10.; v. i sscr. = a orig.) ***.
[* V. ancora la Fonologia irana, s. 2. har.
*** È della famiglia anche il latino curtu-s, propriamente: mozzo
(V. brevis nel sec. voi. degli StucJj crit., e cfr. § 15, 4), s'abbia poi a
dividere: cicr-t-u-s o cur-Hi-s. E di base non diversa è il sscr. krdhù-y
mozzo, raccorciato, tronco, v. V Introduzione alla morfologia^ s. v.
*** Mi sono risoluto ad accogliere nel testo anche l'esempio nig
nig-d (cfr. dig dig-d^ 13, 13.) allato a nah- ecc., parendomi affatto
improbabile, per non dire impossibile, che le forme col g rivengano,
come si è voluto (cfr. Benfey, Gioss. alla Grestom., Pott, Wurzel'-
worterbuch, I, 550), al verbo gi, giacere, ecc., anche per la ragione
che aHro pur non direbbero, in questo caso (ni-ga^ cfv. giri-gd , che
sta [abita] nella montagna, dato pur che questo -ga rivenga alla
sua volta al verbo f^), se non ««giacente». Vero è che non si può
staccarle da nigithd, mezzanotte, la cui provenienza da gì (ni-gl-tha) par
manifesta; ma io ho per fermo che questa sia una derivazione illu-
soria, e reputo nigitha forma pracriteggiante di 'nig-i-stha (pracrita-
raente: nigittha nigitha), che sta nella notte, è nel cuor della notte
(cfr. div'i-stha). E ancora rimane nigitd, notte, che alla sua volta si
ribella per la vocale («) alla derivazione da fi, e all'incontro vorrà
essere un astratto {niga + td), pel quale si confronti, quanto all'ac-
cento e alla indifferenza logica, il vedico dsta-tdti, e, quanto alla
formazione, il tipo tandritd. Il Lessico di Pietroburgo pende incerto,
poiché rimanda, sotto nigd, così a nak ecc. come a niglthd, che pur
vuole ricondurre a gì (cfr. il Lessico medesimo s. anigita), ma ormai
mi parrebbe tolta pressoché ogni dubbiezza. Riscontri ancora pro-
blematici, ma notevoli, che vanno qui addotti, sono inoltre: gdni
(indecl. ved.), salute, prosperità, allato al Mm, indeclinabile vedico
anch'esso, che si traduce per bene (e coli' a privativo: d-harriy male)-»
e potrebb' essere radicalmente diverso dal kdm {-kam) che piti ad-
40 § 13. VECE SANSCRITA DI U E /i , DI /.' E Q.
Resta la vece grammaticale (cfr, § 13, II); e, pure in questa
parte, la dimostrazione è meno abondante e men chiara che non
sia per ìi. Poiché lo f, all'uscita del complesso radicale, segue,
di regola, nel verbo, in tutto e per tutto l'analogia di s (vedi
Lez. XIV), e quindi non cede il luogo a k se non davanti a s.
Solo per alcuni esemplari si vede il k pure all'uscita scoperta.
Nel nome, all' incontro, occorre più facilmente che q resista
all'attrazione analogica di s (alla quale, del resto, vediamo in
parte soggiacere anche lo g, § 24; cfr. i §§ 41, 3; 42), e faccia
quindi luogo al /?, o al suo legittimo succedaneo, sia all'uscita
scoperta, sia nell' imbattersi in altra consonante.- Barg, vede-
re, dig, mostrare (11, 14. 16.), ci daranno così, al participio per-
fetto passivo drs-ià-, dis-tà- (quasi si trattasse di verbi uscenti
in s), e non già "drk-tà- e "dik-tà-, come i parelleli europei
(x-Sepx-To-? , a-Seix-To-;) e l'analogia indiana de' verbi in % {parli
prk-tà- ecc., 12, 5., 13, 11.) richiederebbero: ma abbiamo tutta-
volta la vece ài g e h ne' tipi che ora passeremo in rassegna;
13. dar^, vedere; aor. d-drdk-sit, vide, e (ved.) d-dràk, vedesti,
vide; drg^, quegli che vede, la vista, nora. sg. drk', dig, mo-
strare, daik-sjdti, mostrerà; dig- (e diga), direzione (plaga),
nom. sg. : dih, loc. pi.: dik-sù, dat.-abl. pi.: dig-bhjds {'dik-
-bhjas)] nag, andare in rovina (11, 17.), nahk-sjdti, andrà
in ruina; nag, raggiungere (11, 18., aor.: -nak e -nat, v. i
§§ 24 e 42), e ndk-s ndk-s^a-ti, ugualmente: raggiungere (cfr.
mu^, prosciogliere, liberare, mauk-s-a-, liberazione).
§ 14. Se il A originario così si riduce di frequente, nel sanscrito,
a K od a f!, il fonologo vorrà ora tentare 1' istoria dì queste
dietro adducemmo (10, 1.); garka-rd, coccio, ghiaja (cfr. xpoV/] xpo-
xàXv) [Fick], ciottolo ecc., calc-s calculu-s), allato a harka^ra-s-,
duro, karka-gd'S, aspro, duro. E devo eziandio accennare alle
coincidenze che per g = k si conseguono in quelle decomposizioni dei
complessi radicali, alle quali ci attentiamo nella Introduzione alla
"morfologia; come per es. : gri grd'-ja-ti, ire, adire (qìv. gar-ana-),
allato a hram hrà-ma-^ti, gradi, incedere.
§ 14. DEL COME k PASSI IN li ED IN f. 41
metamorfosi. E incominciando dal misurare la loro estensione,
trova: 1.° che le combinazioni radicali, in cui lo K si aggruppi
con altre consonanti, sieno: oiìi, gli {*sk), rU e i^J *; 2.^ che le
combinazioni radicali, in cui lo f, alla sua volta, si aggruppi con
altre consonanti, sieno: ^p **, rg, gn, {gm), gj, gr, gì, cv ***;
e S.** che ^ e e possano entrambi cosi precedere come seguire
alle vocali a, i ed u. Ora, negli stessi appajamenti fonetici,
s' incontra pure, e non già per eccezione, la tenue gutturale
intatta****. Si osservino, a cagion d'esempio;
k. n. f.
fa^ft, esitare, temere; aw^, piegare; dap, mordere.
skand, salire, ecc.; p/ywi, gRut, stillare.
* Tra radicali e non radicali, i gruppi-consonanti sanscriti in cui
entri k son questi che seguono: M, JiRh, Rn, Rm, Rj, Rv {R<;. sì può
omettere), nR nRm nRj nRv, RRj RRhj RRhr RRhv Rvj, rR rRm rRj,
gR gJij [gRjut]; e siamo quindi veramente limitati: al raddoppiamento,
alla combinazione in cui precedano sibilante palatina (p) o r, a quella
in cui seguano semivocale palatina (J) o y, e alle combinazioni con
suono nasale.
** Cioè anusvdra (§4) + p.
*** Non adduco gR, che è alterazione di sR (sk), né pg, che ab-
biamo nel verbo rapg (vi-rapg, Roth, Nirukta, pag. 91), circa la
costituzione del quale è da vedere il Benfey, Gloss. al Satóav.,
p. 172. — La serie compiuta dei gruppi-consonanti sanscriti, in cui
entri g, non aggiunge, in realtà, alcun nuovo contatto, a quelli che
le combinazioni radicali ci abbiano offerto. — Le figure participiali,
di cui avemmo esempj nel paragrafo precedente (drs-'ta-, dis-fd-,
Y>er 'drg+ta, 'dig+ta, v. § 43), e altre figure consimili, non fanno
prova per 'gt (e 'gth) da Rt {kth) anteriore; ma si tratta di g svilup-
patosi in altre congiunture (per es. da-ddrg-a, vidi, vidit), che poi
passa a combinazione grammaticale con t. Lo stesso si dica del sscr.
asta-, zendo asta-, otto (per 'ag-ta = oc-to), considerando il sscr.
ag-i-ti, ottanta.
**** Solo mancherebbe il gruppo kj; ma tra radice e suffisso sa-
rebbe, per es. , in vdR-ja-, § 13, 0.
4'4 § 14. DEL COME k PASSI IN /t ED IN f
k. n.
ark-a-, raggio, lampo ; parli , mescolare ;
AH, vendere;
klid, inumidirsi;
^ak, potere, valere;
saik-a-, aspersione;
gauk-a-, afflizione;
kar, fare;
ki-m, quid;
darg, vedere.
<?m, cuocere.
gldu-ka-, gloria, inno,
verso (cfr. 11, 5.).
nag, andare in ruina.
dig, mostrare.
krug, gridare.
gas, esporre, lodare,
gi, giacere.
gubh, splendere.
vak, parlare;
siR, aspergere;
guR, affliggersi;
-/to, -(lue;
Jiì, raccogliere;
Aw^, agitarsi, adirarsi; ]iud, incitare;
Quindi è chiaro, che non v'ha alcuna combinazione, in cui il
k originario passi costantemente in k od in g; ed è chiaro in-
sieme, che di queste alterazioni non v'abbia una causa palese,
come sarebbe, a cagion d'esempio, la causa onde si ripete la
palatina italiana in ci e ce, dove il k antico si altera per par-
ticolare effetto dell'i e dell' 6?, quando all'incontro si mantiene
intatto dinanzi ad a e ad o. Vero è, che ove si prescinda da
ki e kit, ne' quali vedemmo oscillarsi tra k eh (13, 10.), mal
si saprebbe addurre un verbo usitato, che offra la tenue gut-
turale costantemente unita ad un i che la segua o la preceda
{iì^i sìR dig, hi0)*; senonchè, dall' un canto, l'azione dell'i
etimologico, che qui parrebbe di scorgere, non sarebbe conti-
nua, né uniforme, e si ha, dall'altro, un numero infinito di
casi, ne' quali l'alterazione si compie senza che i etimologico vi
sia. Ben v'hanno però altre analogie, romanze in ispecie, che
* Un notevole esempio di assimilazione palatina, promossa, nel san-
scrito, da i, air infuori del verbo, parrebbe gdJii, che la sinonimia
indiana pone allato di gàh^man, gdk-ti, facendoli valer tutti: opera
(energia), e mal si staccherebbe da gak, valere, posse, ecc. (cfr. Ben-
FEY, Gloss. al Samav. , e Gloss. alla Crestom.) ; ma nel riflesso zendo
di questo verbo {gali, apprendere, ecc., cfr. sscr. gihs, zendo gls)
domina quasi esclusivamente l' esplosiva palatina. Meglio accertato è
l'esempio zendo: aka, malus, al superlativo ali-ìsta- (cfr. sscr. gdk-
-istha-), ed al comparativo (nonj. neutro); ap {so ~'Jfjó = kjas).
§ 14. DEL COME k PASSI IN 11 ED IK f. 43
gioveranno a rischiarare di luce analogica le vicende asiatiche
del k originario.
_ Tra le più frequenti affezioni delle consonanti originarie, è
Pel sistema ariano 1* abbarbicarsi che*fa, dietro ad alcuna di
esse, una fricativa parassita, ed in ispecie J (nj, Ij, hj, ecc.;
V. Parassite). Questo modo di descrivere il fenomeno è per vero
alquanto figurato, e noi ci adattiamo al linguaggio un po' me-
taforico, in questo e in altri casi consimili, per evitar le spine
dei particolari fisiologici, dai quali però verrà tempo che attin-
geremo di continuo una ben migliore evidenza di quella in cui
per ora ci par di mantenerci rifuggendone. Tuttavia sin d' ora
non vorremo accontentarci della sola persuasione che i nostri
dati pratici non contraddicano alle risultanze delle osservazioni
fisiologiche, ma vorremo assaggiare pur di queste alcun poco,
secondo possibiltà nostra. Cosi intanto qui avvertiremo, sulle
generali, come la origine di queste che diciam parassite stia
veramente in ciò, che nel passar dalla disposizione orale, che
è richiesta per la produzione di una determinata consonante,
alla diversa disposizione che è necessaria al proferimento del
suono che sussegue, ed è di regola una vocale, si rasenta o si
consegue quella, per la quale si produce la fricativa che diciam
parassita; e avvertiremo ancora, come le cause o le tendenze
diverse, per le quali questi sviluppi intermedj son provocati
od assumono entità via via più distinta ed energica, doman-^
dano speciale indagine per ogni singola congiuntura. Dopo di
che, ritornando alla descrizione grammaticale, diremo, che Y af--
fezione a cui sì allude, ora è sporadica, ora frequente, ora
affatto costante. Sporadica avremo così la parassita j dietro
a n, di solito iniziale {nj-, o veramente nj-, cioè gn- it. = n,
V. pag. 23, n. 6), in alcuni idiomi romanzi. Esempj italiani:
1. toscano Tiudo ('njudo gnudo), 7iuca\ cfr. 7iuno (gnimo) niuno,
dove la continua (njuno) è etimologica; - friulano Tmc/ie, nu-
ca; noi, notte; m?/, nuovo; Tiògis, nozze; e collo schietto n
dentale: i^jóre i^nióre, accanto a nóre), nuora; ma all'incontro
col n sempre sano: mid, nudo; nòie, nocciuola; noin, nome; ecc.
44 § 14. DEL COME h PASSI IN li ED IN p.
Occorre frequente quest'affezione del n nella lingua albanese;
la quale ne vede intaccati, in larga misura, anche il ^ e il ^, e,
in misura più larga ancora, il l. Ne cito per ora questi esempj :
2. vjepxs *, noverca^ vjepi, uomo (persona), cfr. gr. à-vsp- (àvi(p)
sscr. '/?ar-; xjsv, cane (xjtvr, cento) **; dpe'txj (=draco), diavolo
(V. Studj critici, II, 38); o-jvxj, zio paterno (avunculus); ^j'^j >
pollo (gallo) d'India; yjou, pi. yJouvJóts, ginocchio (cfr. gr. yc^vu);
Xjax, lacciuolo; Jjocpys, lontano (largo); >,J£8dt[A, laude; xou^jstTcf
(slavo kolac), specie dì focaccia.
Del l iniziale si fa costante la nostra affezione nel catalano
(e per // scrivono II, come nello spagnuolo) :
3. Ijagosta, locusta; Ijagrima, lagrima; Ijana, lana; Ijavi, labbro;
Z/cf M^ra, lattuca; Ijet, latte; Ijebre, lepre; Ijejir, leggere; Ijetra,
lettera; Ijep, legge; Iji, lino; Ijengua, lingua; Ijob, lupo; IJO'
rer, lauro; Ijum, lume; Ijuna, luna.
L'affezione palatina ài k e g antichi dinanzi ad a, rimane estra-
nea ai più degli idiomi neo-latini. Ma si vede quasi nascere,
e diffondersi e farsi costante, fra'varj dialetti romanoi de'Gri-
gioni, ed è costante nel romancio del Tirolo e nel friulano.
La Francia ne mostrerà anch' essa e e g, per k e g antichi
dinanzi ad «, in una parte della Lorena; ai quali suoni stanno
allato, nella medesima funzione etimologica, lo s (eh) e lo i {J)
della comune favella francese. La successione fonetica, che qui
si accenna ed altrove più davvicino si considera ***, risulterà,
per limitarci alla tenue, questa che brevemente ora scriviamo:
* Gli esempj albanesi, senz' altra indicazione, sono sempre nel dia-
letto tosco, V. Studj critici, I, 87, 95 (=365,373), e segg.
♦* In alcune contrade albanesi: tSsv ( = c2n), tSivt (stcint), v. Hahn^
Albanesische studien, 11,20, e aggiungi rSocpx { = car'k)<, circolo, al-
lato a xjapx, intorno.
*** Cioè al § 38, dove anche si tocca, in nota, delle ipotesi del Diez
e di N. Delius intorno allo eh (s) francese nel riflesso di ca latino.
§ 14. DEL fiOMK k PASSI IN R ED IN p. 45
ha Uà hja kza ^sa {^sa) ca sa, e sarà intanto raffermata da
un breve esemplarlo sinottico *.
o
a
OS
1
Romancio o grison
di Surselva
(Grigioni).
Romancio di Surse
(Oberhaibstein ;
Grigioni).
(3 .
o a
1'
a »
11
il
i
'u
ni S>
« ai
a *
a» ^^
^^
4. caldo.
cdidd,
c5d.
cod.
'cdad,
cald.
dà,
chauld.
carne,
carn,
^cern.
carn.
'cern.
carn.
cai.
chair.
capra.
e dura,
cóura.
cdvra.
'caura.
ódvre.
ceuve,
chèvre.
cavallo,
cavdlj.
""cavai.
cavdlj,
'cavai,
cavai.
cvd.
cheval.
calcagno.
calcón.
caVcón.
, ^àdc'óTi,
'éau'cdn
cane.
'cdiin,
^can.
cdun.
'can.
can.
cìn.
chien.
'^^ capo.
cdu,
'óéa.
'celi.
'ce,
cof.
....
chef.
oca.
òca.
òca,
Ò'éa,
duca.
óce **.
vacca.
vdca,
vaca.
vaca.
vd'ca.
vdce.
vajce,
vache.
bocca.
buca,
....
bóca,-ca,
boca,
bóce.
buoce,
. bouchCf
Ora, tra il doppio fenomeno romanzo {k in e, k in s) e il
doppio fenomeno che si ha nel sanscrito (e nello zendo; k in
U, k in g), potrà forse non esser cosi piena la simiglianza, come
a prima vista apparisce; e per misurarla esattamente, ci manca,
in ispecie, la compiuta istoria della pronuncia dello g; ma si
può tuttavolta sicuramente affermare, come più innanzi meglio
ancora vedremo, che il parallelo tra la serie neo-latina e l'a-
siatica, il quale si riproduce appuntino nell'istoria della media,
per ogni sua parte si regga ***. I due effetti della stessa affezione
si vedrebbero entrambi nella medesima favella asiatica {k, g),
* Il contatto per la consonante romancia che è nel riflesso di ca
latino, e da noi è trascritta per e, si forma piìi vicino ai denti che
non quello per e italiano; e il preciso e italiano ha dal resto anche
il romancio ne' riflessi dei latini ce e ci. Quanto al Iprenese, rendo
per e ìo-tch-' o deh- dell' Oberlin, mantenendo la sua ortografia per
le vocali. Maggiori particolari circa i dialetti e i fenomeni romanci ,
si hanno nel luogo citato a pag. 23, n. 5. ** E pure ducè.
*** Cfr. i §§24, 25 e 38 (dove è pur considerata l'ipotesi: 7i 'H g),
e anche l'esempio zendo addotto a pag. 42 in n.
46 § 14. T>EL COME k PASSI IN A'. ED IN r.
locchè punto non ripugna, quando in ispecie si consideri, che
il medesimo germe alteratore nasce o si sviluppa in diverse
età. Pure per questa parte è pronto un parallelo romanzo. Poi-
ché la palatina romancia da gutturale antica dinanzi ad e ed i,
deve surgere per processo non diverso da quello per cui surge
la palatina romancia da gutturale antica dinanzi ad a (§ 38);
e tuttavolta si mantiene una sensibile differenza tra il prodotto
di *kja^ dall' una parte, e quello, certamente più antico, di *kje
o di */yi, dall'altra, come si vede, a cagion d'esempio, da càuc
o 'cale (calcem) dei dialetti romanci del Tirolo, che ci offre le
due varietà in una stessa voce. Differenze istoriche, tra le vi-
cende romanze e quelle che avvertiamo nel sanscrito, avrebbersi
del resto iaciò, che ambidue gli sviluppi asiatici si sarebbero
indistintamente compiuti dinanzi a qualsiasi vocale (il sibilante
pur dinanzi ad alcune continue, v. p. 41), e che dall'affezione,
o almeno dalle sue conseguenze, sempre sarebbe rimasta inco-
lume, nell'Asia, una buona parte di quelle figure originarie, tra
le quali vediamo che si compia. Qualche diversità fra le alte-
razioni romanze e le asiatiche avremo pur nel modo della loro
diffusione. Cosi, quando si considerino i limiti della alterazione
asiatica di k in H, ripugna immaginare che il fatto costante di
Ti per k nella reduplicazione (13, 9.) presupponga in ogni singolo
esempio lo k^ ed i successivi sviluppi; ed è chiaro, all'incontro,
che si abbia ad ammettere, per questo accidente, la diffusione
analogica di un fenomeno, che si era fisiologicamente compiuto
in un certo numero d'esemplari.
§ 15. Ma ora dobbiam considerare più davvicino i suoni che rispon-
dono, nelle diverse favelle della famiglia, allo g e allo li del san-
scrito, mirando principalmente ai fatti od ai problemi cronologici
che a queste corrispondenze si connettono.
Il sanscrito e lo zendo concordano compiutamente fra di loro
nella serie degli esemplari per ]i (cfr. § 12) e per ^ (cfr. § 11).
Cosi avremo, a dir per ora di pochi esempj :
1. s. Mkrd-y z. ìiakhra-, ruota; s. -liidy z. -Hit, p. e. in hó,Q-1iid s.,
ka^Mt z., un qualsiasi; s. va/i, z. vah, parlare; s. ruìi,
I
§ 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO. 47
z. raìi, risplendere*; - s. gatd-, z. gaia-, <;ento; • s. gì, z. p^,
giacere ; s. gtìra-, eroe, z. giìra-, eroico ; s. gvan-, z. gpan-,
cane; s. gru, z. gru, udire; s. daga-, z. daga-, dieci; s. darg,
z. dareg, vedere.
Né diversa corre la bisogna se consideriamo la vece dì il e k
e di f eh, per la quale brevemente ricorriamo agli eserapj
zendi che ora seguono (cfr. § 13, 4, 11, 13., e §§ 24 e 25):
2. paR, cuocere, -pàka- {\iv\xzàa,-pdka) , che abbrucia;- guìi, ar-
dere, gukh-ra- (y. Aspir amenti ) , rosso (propriamente: acceso,
rilucente), guhh-to-, acceso;- ruJi, risplendere, raokh-s-na-,
risplendente;- vati, parlare, vakh-sjà, parlerò, iikh-ta- ukh-'
-dlia-, parlato, discorso; uà/i-, discorso, noni. sing. : vàkh-s;-
* Qualche diversità fra i limiti zendi e i limiti sanscriti, entro
a' quali si compie il fenomeno di lì.- da A, è più apparente che reale,
e punto non infirma la regola. Così lo zendo ha piti viva e diffusa,
che non abbia il san;criLo, la variante palatina della stirpe prono-
minale ha ku ki (onde, a cagion d'esempio, il comune -ìiid -Hit,
addotto dal testo), e ne tira un ka declinabile (qualcheduno), e con-
trappone il neutro-particola -kat al -^kad sanscrito, e kaiti, quanto,
al kati sanscrito, e ancora ci offre lo kvant-, quantus^ qualis, di cui
è parlato al § 16, 1 , né a questo si ferma (ma la forma kavaiti,
adv. how many, che parrebbe aggiungersi dall' OW zand-pahlavi glos-^
sary, pubblicato da Destur Hoshengji Jamaspji e Haug, e ricorde-
rebbe il tipo sanscrito tàvat ecc., coinciderà veramente collo kvant
testò allegato, cfr. le forme zende kava-ka, kava-kit, allato a kva-ka
kva-kid del sanscrito). Nel gruppo di verbi : ki kit, ìli kit kint, toc-<
cato al § 13, 10, si avverte qualche particolare ma naturalissima
oscillazione zendica: kikit- e kikit-; ki-kajat ki-kojatd (3. duale con-
giunt. pres.) ki-kajat {ki, espiare] ki-thi e kaè-na [espiazione, casti-
go]; cfr. la n. al § 24, 11-12. A tak sanscrito, precipitarsi, piombare,
sembra rispondere la doppia forma zenda tak (che non si vede se
non in formazioni nominali) e tak, correre, scorrere; ma il Sanscrito,
alla sua volta, avrebbe, accanto a tak, i due verbi di moto : tank e
tvank (V. l'Indice), che sono però tuttora senza esempj. V. ancora^
la n. * a pag. 42, e gk = 'sk, § 40.
48 § 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO.
pan^a-, c\nq\iQ, X>'>^Tih-dha- quinto;- Q^ag-, invigilare, custo-
dire, (opprimere), e gpag+s : gpakhs nel nome gpakh-s-ti*.
La qual compiuta concordanza viene a dire, che i danni sof-
ferti dall'originario k, nei modi e nella misura che la lingua
sanscrita ci mostrava, risalgono a periodo pre-indiano, sicco-
me quelli che manifestamente appartengono all'età indo-irana
(pag. 6; cfr. § 25). Non v'ha, all'incontro, rispetto al fe-
nomeno di h indo-irano per k originario, alcuna consuonanza
europea, di cui si possa presumere che stia in connessione ge-
nealogica con esso ; non v' ha cioè alcun fatto, che ci possa in-
durre a stimar consumata quest'alterazione in epoca anteriore
al compiuto distacco della favella ariana dell'Europa da quella
dell'Asia, comechè v'abbiano singolari coincidenze quantitative
* Occorre nel composto pouru-gpakhsti- , il quale nelle funzioni
d'aggettivo avrebbe a dire, secondo il Justi, o. c, p. 194: che pic-
namente opprime (quel dalla piena oppressione). Affatto altrimenti
è dichiarato il nome gpakhki ùaXVOld glossary, citato nella nota
che precede, il quale probabilmente sbaglia in quanto ne fa un nome
d'agente; ma l'esempio vale ad ogni modo per noi, la figura radi-
cale e quindi l'istoria fonetica rimanendone sempre la stessa. Non
è agevole rinvenire evidenti esemplari zendici per la vece gramma-
ticale ài g e k {kh), poiché, dall' un canto, scarseggiano nello zendo
le occasioni per la formula grammaticale g + s {s), e , dall' altro,
questo idioma riduce volentieri l'antico Jis {khs), massime interno,
a solo s, come in dasina-, che è a dritta, = sscr. daksina (10, IL),
o in vdsa allato all'integro vdkhsa (rad. vakh-s-), carro. Conside-
rata la qual riduzione, un buon esempio per la nostra vece s' ha
ancora in vasi {'vakh-si = sscr. vak-si), seconda pers. pres. sg. att.'
di vag (= sscr. vag), volere, già riconosciuto, ma non abbastanza
sicuramente affermato dallo Schleicher {Compendium, sec. ediz.,
§ 139, p. 200). Oltre a gpakh-s {gpag+ s), il dizionario del Justi
ancora ci offrirebbe: énakh-s, raggiungere, cui dice desiderativo di
nag ( = nag sscr., §§ 11, 18. 13, 13), e pihh-s {pig + s), ornare (cfr.
pakhs); ma son dimenticati tutti e tre nel suo diligentissimo spoglio
fonetico (ib., 363 b).
§ 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO. 49
(non qualitative), di cui a suo luogo (§ 19) si ritocca, le quali
ci portano a credere che il k originario, fattosi poi Ti indo-
irano, fosse intaccato, scosso, in un certo numero di esemplari,
sin da periodi di gran lunga più remoti che l'indo-irano non
sia, ma non però fosse ancora, in questi periodi, distintamente
alterato. Le singole coincidenze che si possono addurre per
tenue palatina europea [fi, e) di contro a tenue palatina indo-
irana, in tanto sono sempre fortuite, in quanto si debbono ad
alterazione consimile che dello stesso suono originario è indi-
pendentemente avvenuta e in una regione e nell'altra. Cosi,
per incominciare da un caso evidentissimo, quando troveremo
ca romanzo, per ca (ka) latino, allato a ca {Ra) indo-irano,
p. e. in cand- (friul. cànd-id = cand-ido-, sscr. liand-, § 12, 2),
si tratterà manifestamente di due alterazioni conformi od uguali,
della cui genesi ci siamo in questa stessa Lezione (§.14) occu-
pati, ma non già di unica alterazione primeva, che genealogi-
camente si continui nell'un parlare e nell'altro. E similmente,
se p. e. la continuazione italiana dell'accusativo latino vocem
riesce ad avere una palatina {voce) che s'incontra colla pala-
tina indo-irana {vah, 12, 4. 15, 1.), è facile avvertire, pur
prescìndendo da ogni diretta prova della modesta antichità della
palatina italiana, come s'abbia in questa un fenomeno disgiunto
e diverso dall' indo-irano; poiché, dall' un canto, il fatto della
palatina italiana dipende dalla qualità della vocale che sus-
segue {voc-e, voc-i, ma all'incontro: voc-ale, in-voc-o), dove
r indo-irana, all'incontro, si trova indifferentemente precedere
a qualsiasi vocale {vak-, discorso, allo stroment. sing. : vàH-d,
al locat.: vah-i), e, dall'altro, l'effetto costante della causa
determinatrice della palatina italiana deve naturalmente im-
portare che questa v'abbia pur dove in favella indo-irana ri-
mane imperturbata la gutturale originaria; p. e. in *de-scen-
dere (onde poi discendere, con sce = se), allato a scand-ere,
sscr. skand (§ 10, 9). La ragione della qualità della vocal
successiva vale ugualmente per esempj slavi sulla stampa del
paleo-bulgarico cetyr-ije, quattro, la cui palatina iniziale s'in-
AscoLi, Fonol. indo-iU-gr. 4
50 § 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO.'
contra bensì con quella dell' equivalente vocabolo indo-irano
(s. natvar-, z. liathwar-), ma solo fortuitamente (cfr. il lituano
keturì, quattro, colla gutturale intatta), sempre volendosi, nel-
l'antico bulgaro, ce per ke anteriore, e cosi quindi pur peé-e-ti
(egli cuoce) = pdìi-a-ti sanscrito, pah-a-i-ti zendo, ma all'in-
contro pek-d (io cuoco), colla gutturale intatta (dove il san-
scrito, sempre colla palatina: pdk-à-mi), difesa com'è dall' ò
che le sussegue. L'antico bulgaro, d'altronde, contrapporrà,
alla sua volta, la propria palatina alla gutturale sanscrita,
p. e. in éruvìj verme {crùmìnù, vermiglio), pari al sanscrito
krmi-y che vale il medesimo.
È ugualmente estranea al gruppo italico, al greco, al celtico,
e al germanico, ogni coincidenza pro-etnica di una loro sibi-
lante qualsiasi con la sibilante indo-irana (p) per k originario *.
Le coincidenze, che pur v'hanno, son qui pure manifestamente
accidentali, dovute, cioè, a congruenza patologica e non a con-
tinuità istorica. Cosi sarebbe, a incominciar sempre dal caso
più evidente, di quel concordare di sibilante francese con sibi-
lante sanscrita, che avremmo, a cagion d'esempio, in chien
{sjen) da can-i- (*cvan-i-) latino **, allato a Quan {*kuan) san-
scrito. Ma non sarà meno fortuito il concordar che facciano,
nella sibilante per k anteriore, la voce umbra e la indo-irana,
come sarebbe nel numerale dieci: umbro dege- ( desen-du- ,
dodici), sanscrito e zendo: daga-. Imperocché l'alterazione umbra
(la cui natura sibilante è del resto accertata dalla trascrizione
s s, che s'ha nell'umbro a caratteri latini, v. pag. 20) è deter-
minata alla sua volta dalla qualità della vocale che sussegue
(v. gè gi); quindi, per rimanere allo stesso nostro esemplare.
* Esempj celtici e germanici per la continuazione di k originario,
fattosi g indo-irano (cfr. pag. 32), sarebbero le voci ibernie (voci
d'irlandese antico): cét (két), cento (11, 1.), clùu, fama, gloria (11,
5.), cz<( genitivo: con)^ cane (11, 7.); e le gotiche (cfr. la nota a
pag. 32): hunda-f cento, hliu-ma, udito, hun-d-s, cane (11, 1. 5. 7.).
** Fasi intermedie: kjarij Jijen; v. sopra.
§ 15, ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO, 51
più non apparirebbe in dequria-, decuria; e per chi volesse
sospettare di provenienza forastiera questo dequria- degli Um-
bri, si aggiunge la vece umbra di ^ e {; in uno stesso tema,
secondo la diversa vocale che la varia posizione morfologica
seco porta, cioè l'accusativo curnac-o (cornicem), allato al-
l'ablativo curnage {curnase) *. Ora, noi più non abbiamo
bisogno di spender parole a dimostrare la differenza che passa
tra questo fenomeno e l' indo-irano ; né, del rimanente, v'ha
ombra di probabilità, che la singolare combinazione umbra gì,
esclusivamente interna, comunque ella si abbia più esattamente
a dichiarare, stia in alcuna diretta relazione coli' indo-irano gr
(sscr. gr e gì) **. Se, quindi, lo K indo-irano è prodotto po-
steriore alla compiuta separazione della favella ariana dell'Asia
da quella dell'Europa, lo g indo-irano, alla sua volta, risulta
intanto posteriore a quelle età, in cui il gruppo italico, il greco,
il celtico, 0 il germanico, ancora stavano indistinti dall' indo-
irano.
Ma ancora rimane, rispetto a p, il gruppo litu-slavo; e qui
il rapporto fra la voce europea e l'asiatica muta sembianze.
Imperocché, a quella sibilante indo-irana, che riconduciamo a k
originario, la voce litu-slava, alla sua volta, risponde di re-
gola con una sibilante, che è sz {= s) pel lituano e s per lo
slavo. Si osservi la serie che segue :
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
3. s. gaia-, z. gata-, cento (11, 1.). 1. szìmta-s***, id.; b. sùto, id.
z. parete-, freddo. ì. szdl-ti, gelare, szdl-ta-s, freddo.
* V. AuFRECHT-KiRCHHOFF, Die umbrischen sprachdenkmàler, II,
25, 40, 51.
** Cfr. Top. cit. nella nota precedente, II, 182-4 (dove, prese le
mosse da struhcla strugla, si tocca di tutti gli esemplari), 78 (va-
sirslome), 267-9 (previ[g]latu), 348-9 382 (ticel ticlu), 373 (ere-
olum-a), 376 (arglataf), 383 (kurolasiu); e v. qui innanzi,
la quarta n. a pag. 55.
*** V. Di un gruppo di desinenze indo-europee (nel sec. voi. degli
Studj critici), n. 25.
52
15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO.
Sanscrito e zendo.
Lituano e antico bulgaro.
1. szery-s Cszerja-s), setola.
1. szakà, id.
1. szu, gen. szùn-Sy id.
b. sul-ita , id.
s. galja-s , porcospino.
s. ffàkhàj ramo.
s.gvan-, cane (11, 7).
s.gùla-, z. gùra- asta (arme).
s.gvit, essere bianco (splendi- h. svit-a-ti , risplendere.
do).
z.gpenta- (*cvanta-), santo. 1. szvènta-s, id. ; b. svetto, id.
s.gjàmd-s, turchino oscuro. 1. szema-s (szjàma-s), turchino
grigio.
S. gru, z. gru, udire, s. grdvas, b. slu-ti, audire (intrans.), slava,
gloria (11,5.), z.gravanh gloria, slovo (gen. sloves-e) ,
( *cravas) , [gloria, e] parola. parola.
s.grduni-s, z. graoni-s, anca, 1. szlauni-s , id. *.
natica (11, 6.).
s. dgva-, z. agpa-, cavallo; fem. 1. aszvà, cavalla grande.
s. dgvà.
s. agra-, dgru-, z. agru-, lagri- 1. aszarà, id.
ma.
s. vig-pdti-s, z. vig-paiti-'S, capo, 1. ve sz-pat-s, signore (detto di dio
signor della comunità. e del re ).
s.t;tfua-,z.wp^a-, persiano del- h.visì, id. (lit. vìsa-s , id. ).
le cuneiformi: viga-, tutto.
s.daga, z. daga, dieci. 1. dészi-m-t, id., b. dese-tt, id.
L' importanza della qual serie è appieno dimostrata dall' altra
che ora segue; nella quale l' indo-irano offrendo k (o li), la
normale risposta litu-slava ci darà anch'essa, alla sua volta,
k [k lit.; k slavo 0 suo succedaneo).
Sanscrito e zendo. Lituano e antico" bulgaro.
4. s. ka-s ( z. ha- ) , quis ; hadà , 1. ha-s , id. ; kadà id.
quando,
s. kaRa-, capellatura,
s. kar,, z. kar, fare.
h.kukù, id. (FiCK, 1. e. ,25).
1. hur-iù, io fabbrico.
♦ V. RUHia-MlELCKE , 8. huft.
§ 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL li ORIGINARIO. 53
Sanscrito e zendo.
s.karty z. karet, tagliare (13,
12.).
s.kfmi-s^ verme.
s. ìiatvar-, z. Uathwar-, quat-
tro.
z. kaofa-, monte , gobba.
s. kravja-, carne cruda ( 10, 6.).
s.anka-., uncino (13, 1.).
z.taR, correre, scorrere (15,
1. n.).
s.paJi, z. pak, cuocere.
s.pdnJiaf z. panila, cinque.
s.vfka-s^ z. vehrka-, lupo.
Lituano e antico bulgaro.
h.krat-ùkùy breve (tronco).
1. kirìnini-s, pi. kirmj-ei, verme
grande*; b. crùvi, verme.
1. keturì, b. cetyrjie, id.
1. kaupa-Sy b. kupa, acervus **.
1. kraùje-s, b. krùvi, cruor, san-
guis.
1. oka-Sy uka-s, id. ***.
1. tek-ù, b. tek-Oy corro, scorro.
h.pek-Oy io cuoco.
1. penkì , id.
1. vìlka-s, b. vlùkù., lupo.
La quantità degli esempj coincidenti è naturalmente maggiore
tra il sanscrito e lo zendo che non tra il sanscrito (o lo zendo)
e il litu-slavo; e la quantità delle discordanze, cioè delle ec-
cezioni, che tra sanscrito e zendo, come già avemmo a dire,
si riduce a pressoché nulla , riesce all' incontro abbastanza
sensibile tra la favella asiatica e la litu-slava, avendosi, cosi,
il k litu-slavo rimpetto allo g indo-irano, ne' seguenti esempj:
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
5. s. ci gdi-tai, z. gì caètè, giacere, b. po-c'i-ti, riposare, po-^o;, quie-
te, po-^oi-ti, sedare; 1. pa-Zcà/-
-u-s, quiete.
* RuHiG-MiELCKE, 119 ( kirminis , nio), e s. wurm: kirminasj
ino ; - oltre kirmèle, verme , che ricorre anche presso lo Schleichbr ,
e kirmy-ti, maijidar vermi (della carne).
** V. Ruhig-Mielcke, 111, 255-6, MiKLOsiCH, Radices (1845), 41,
FiCK, o. e. 45, 246.
*** Questo esempio ricavo dal Fick, o. c. , 199, e vi avremmo
u = 'an iniz.; cfr. Schleicher, Compendium, § 100, B, § 101, 4,
§ 261 lit. , e Di un gruppo di desinenze indo-europee ( Studj criti-
ci, li), n. 84. .
54 § 15. etX delle alterazioni asiatiche del k originario.
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
s. àgman-y pietra. 1. akmu (gen. akmèn-s), b. kamy
(gen. kamen-e), pietra.
s.nag, z. nag, perdersi, dile-- 1. nyk-{nyk-aùnyk-ti),ià. (Fick,
guarsi (11, 17.). op. cit. , 100),
s.pagu-, z. pagu-y pecus. antico prusso (idioma litavo) : pe-
cku, id.
Ed anche per k indo-ìrano rimpetto alla sibilante litu-slava
si è tentato di stabilire qualche esempio *; al che finalmente
si aggiungerebbe la vece di gutturale e sibilante {h e sz; k
e s) per entro alla stessa favella litu-slava, negli esempj litua-
* Ma nessuno mi pare affatto sicuro. Lo Schleioher (Beitràge zur
vergleichenden sprachforsehung, I, 110-11) adduceva, oltre ai voca-
boli per cuore, il cui rapporto col termine indo-irano si manifesta
per noi affatto diverso (v. srùdite, szirdìs): il \\iwa.vio szèlp-ti^ aiu-
tare, allato al germanico halp {half) ed al sanscrito kalp (v. intorno
a questo V Introduzione alla morfologia s. v. , e cfr. il sscr. gilpa-,
arte), e ancora, non senza esitare, il lituano szér-ti, cibare il be-
stiame, allato a quel kar sanscrito di cui è toccato nella nota al
§ 10, 2 (spandere, ecc.), il quale direbbe ricoprire, e quindi ap-
pena: riempire. Il Fick viene ad aggiungere: lit. szekszta-s , bronco
(tronco), allato al sscr. kàstha-, pezzo di legno, e al xairo-v di
Esichio (^uXov. 'A^afxScve?), 1. e, 25;- lit. szlaka-s, macchia, allato
al sscr. kalkd-, mota, sudiciume, 1. e, 37; dove però, a tacer del
resto , il significato originale della voce lituana appare dal dizion. di
RuHiG e Mielcke piuttosto ^occm che non macchia',- lit. szut-kà ,
scherzo (non: scherno), allato al sscr. kuts (kutsaj), oltraggiare,
vilipendere, 1. e, 44; dove però è affatto problematico se la base
del verbo indiano sia knd, e affatto problematica l'esistenza indi-
viduale di questa base;- szunt-ù, arrostisco, allato al sscr. kvath
(kvath-i-td-, cotto, bollito), 1. e, 51;- lit. szep-ti-s, scontorcere
il viso, digrignare i denti, allato al lat. cap-er-a-re, e al sscr. kamp,
tremare," kamp-a, tremito, vibrazione, 1. e, 28;- lit. toszi-s, il
tegumento bianco della betulla, allato al sscr.^wa^-, pelle, corteccia,
1. c.,81.
§ 15, EtX delle alterazioni asiatiche del k ORIGINARIO. 55
Ili: szeimyna, famiglia (i famigli), k&'ma-s, villaggio, casa-
mento, kaimyna-s, vicino (Schleicher); - slep-iù, nascondo,
slap-tà, segretezza *, allato all'antico prusso: au-kUp-t-s, na-
scosto (Fick); - szluba-s, zoppo, allato all'equivalente lettone:
klib-a-s**;- e nello slavo (antico bulgaro): sloniti se, aedi-
nari, allato a kloniti, inclinare, lit. klònioti-s (inchinarsi) ***.
Ma qualche oscillazione, tra indo-irano e litu-slavo, è affatto
naturale; e la vece litu-sla.va sarà, in qualche esemplare, solo
apparente ****. La generale concordanza indoirana-lituslava
rispetto agli esemplari in cui si è conservato l'antico A ed a
quelli in cui si è ridotto a suono sibilante, rimane sempre una
realtà incontrovertibile, la cui importanza può tanto meno in-
firmarsi pei singoli fatti che testé adducemmo, quanto è meno
avvertibile la causa per la quale il k originario subisse l' affe-
zione, e quindi l'alteramento indoirano-lituslavo , piuttosto nei
determinati esemplari che non in altri *****, e quanto perciò è
* Fa difficoltà l'aversi si, anziché szl, cosi presso Ruhig-Miel-
cke, come presso lo Schleicher. E nell'esemplare che precede manca
una sufficiente congruenza di significati.
** FiOK, 1. e, 50, e aggiunge un lit. klumba-s, zoppicante.
*** J. ScHMiDT, Beitràge zur vergUich. sprachforsch. , V, 467.
**** V. Politecnico, XXI, 84; e per un esempio di sibilo indo-
lituslavo allato a k lituano, v. FiCK, 1. e, s. parka 1. e 2. - Circa il
lit. klausyti, udire, allato all'equivalente slavo (paleo-bulg.) slusati,
V. PoTT, Etymolog. forschung., sec. ed., II, 586, Wurzel-wórter-
hucli, I, 722, e similmente si avrà a dichiarare il paleo-bulg. svekrù,
suocero, allato al lituano szeszura-s ( *seszura-s ; v. sv).
***** All'incontro si tratterebbe di k susseguito da l in tre sui quat-
tro esemplari che possonsi addurre per la vece entro ai confini litu-
slavi, locchè rende ancora piti dubbio quello che rimane (szeimyna-,
kaimyna-). Cfr. lo qI umbro, di cui è discorso a pag. 51. - Si è
tentato, ma indarno, d'infirmare la coincidenza di cui si tratta, alle-
gando una pretesa differenza essenziale, che vi avrebbe tra il suono
dello p indo-irano e quello dello sz s litu-slavo; v. Politecnico, 1. testò
citato, Ebel, Zeitschrift s. e, XIII, 276-7, e qui sopra, p. 13.
56 § 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL h ORIGINARIO.
men probabile (ed è anzi impossibile) che si tratti di mera
opera del caso.
Nasce quindi il quesito del come si abbia a dichiarare questa
speciale somiglianza tra l'indo-irano e il litu-slavo, che affatto
ripugna di considerar fortuita? E due son le risposte che si
presentano. 0 ci faremo, cioè, a supporre, che l'indo-irano e
il litu-slavo abbiano avuto un più lungo periodo di vita co-
mune che non fosse tra l'indo-irano e il restante degli idiomi
ariani dell'Europa; oppure dovremo immaginare, che il k ori-
ginario, leggermente affetto dalla parassita, in un determinato
numero di esemplari, sin dal periodo proto-ariano, si venisse
poi liberando, in alcune favelle, di questo intacco, ed in altre,
all'incontro, per conforme sviluppo dell'antica affezione, su-
bisse trasmutazioni conformi, le quali rappresenterebbero effetti
consimili, ma tra di loro indipendenti, di una medesima causa.
In questa ipotesi, il vocabolo per dieci, a cagion d'esempio,
avrebbe suonato, nel periodo unitario, con leggero intacco del k:
dak^a; donde, dall'una parte, il tipo daka, quasi il tipo risa-
nato, a cui risalirebbero il greco, l'italico, il celtico, il ger-
manico; e, dall'altra, il tipo dakja, colla parassita invadente,
al quale riverrebbero, per la via a suo luogo indicata, le due
voci in cui è la sibilante, che son la litu-slava e l'indo-irana,
È ipotesi più cauta che non l'altra, la qual farebbe ritardare
il distacco del litu-slavo dalla favella ariana dell'Asia. Poiché
a favor di questa induzione pajono bensì stare altri fatti fo-
nologici e lessicali, che potremo, più tardi, almeno in parte
avvertire; ma le obiezioni che insorgono dalla grammatica com-
parata contro alla affermazione del più tardo distacco del litu-
slavo, son tuttavolta cosi gravi, che non soltanto ci fanno
pendere incerti, ma anzi ci rendono inchinevoli all'altra solu-
zione del problema. La quale però, alla sua volta, forse incontra
una indiretta difficoltà, ed è questa: che mentr'essa c'induce
a statuire spento nel greco, nell'italico, nel celtico e nel ger-
manico, quel germe alterativo dal cui sviluppo si ripeterebbe
la sibilante indo-irana e litu-slava per k originario, v'ha, al-
§ 15. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL k ORIGINARIO. 57
l'incontro, che alcune altre notevoli coincidenze (^indo-ir.= qv
lat., ecc.), le quali già furono accennate in questa stessa Le-
zione e sono da studiarsi nella prossima, accennerebbero a un
germe antichissimo, e quasi latente, d'alterazione della tenue
gutturale originaria, il quale si sarebbe svolto, per guise di-
verse, nella favella indo-irana e in varie favelle europee, nella
greca specialmente e nell'italica, laddove la litu-slava, alla
sua volta, qui non darebbe alcun sicuro indizio dell'intacco
primevo.
LEZIONE TERZA.
La tenue gutturale. (Continuazione e fine.
§16. Le alterazioni asiatiche del k originario ci condussero ad
esaminare, in sulla fine della lezione precedente, i riflessi litu-
slavi di questo suono. Ora rimane che si considerino quei con-
tinuatori 0 quei succedanei italici e greci di esso, pei quali si
viene a deviare dalla equazione che già tanti esempj ci hanno
afifermata: k orig. = x gr. = e lat. (§§ 10, 11 , 12).
Dove alla tenue gutturale sussegua in favella latina un suono
che è tra il -y e V u, susseguito alla sua volta da vocale, la
scrittura romana rende essa gutturale per q , e siamo alle com-
binazioni: QVA QVE QVi Qvo Qvv. Le contrazioni latine che ci
danno e per succedaneo di g (p. e. secutus e secundus allato a
sequor sequutus), le trascrizioni di voci romane in alfabeti di-
versi dal latino (p. e. TopxouaTo; *), e la pronuncia che le combi-
* Cfr. CoRssEN, Ùber aussprache, vokalismus und betonung der la-
teinischen sprache, sec. ed., I, 74. Il discorso corsseniano intorno
al Q, utile e massiccio come ogni suo studio, è, per quanto a me
sembra, tra i meno felici, rispetto alla evidenza ed alla sicurezza
della trattazione. — Dalle testimonianze delle scritture straniere
va del resto espunta quella dello kv (k + v) gotico, introdotto dal
Castiglioni in un nome i^roprio {Akvila, Epist. pr. ai Corintj, 16, 19),
la cui ortografia soverchiamente latina doveva parer singolare nella
versione ulfiliana (cfr. Gabelentz e Lòbe, Ulflas, II, ii, §§ 35, 2;
44, 2). Il palinsesto legge chiarissimamente: Ahyla = ' ky.u'kx';.
I
§ 16. k ORIGINARIO, q LATINO. 59
nazioni latine, in cui entra il q, hanno tuttora in varj idiomi
romanzi, e nell'italiano in ispecie (p. e. quale, aquila), già
basterebbero a renderci persuasi che alcuna sensibile differenza
non intercedesse fra la gutturale rappresentata dal q latino e
quella che si ritraeva per e (=k). Ai quali argomenti si ag-
giunge poi la stessa ragione istorica per la quale al g è as-
segnata la funzione, a prima vista singolare, di rappresentar
la tenue gutturale in quest'unica combinazione fonetica. Poiché
il qoppa {koppa) degli alfabeti greci, al quale risponde il q
latino, era alla sua volta limitato, di regola, alla combina-
zione qo * ; limitazione opportuna ad impedire che si confon-
dessero, nell'uso, le due tenui gutturali dell'alfabeto fenicio
adottato dai Greci {kaph = kappa, qoph = qoppa), e suggerita
senz' alcun dubbio dal nome del qoph, vale a dire dalla vocale
a cui il qoph si sposava nello stesso suo nome **. Questa let-
tera, del rimanente, ridondante siccom'era nella scrittura dei
Greci, venne a poco a poco a dileguarsi dalla maggior parte
dei loro alfabeti. I Romani, alla lor volta, avutala nell'alfa-
* V. Franz, Elementa epigraphices graecae, pag. 46 {Moikriqo- , 52
[1, b]; Qopiv3-o5£v, 72; Ilagov [Ilaxwv] in uno stesso vaso allato a
Saxi?, 68; Aug'oSopxa; , 123), Kirchhoff, Studien zur gesicMchte dea
griechischen alphabets, sec. ediz., pag. 96 v. f. , 100 v. f . , 111 in f.
(cfr. 32, 33 [34, 36], 41: qho = yo, 57, 69-70). Ma in un medesimo
vaso (C. Inscr. Graec. n. 7381, Kirchhoff 111), alle cui scritte ri-
mane estraneo il x, abbiamo: Asp-oSog-o? , FXau^'o; e QIuto. Né manca
il qoppa dinanzi all'u, cfr. Kirchh. Ili, 113, 132; ma la serie qi
qa qu qe, dato pure che s'abbia veramente a leggerla sul vaso di
Cere, poco o nulla proverebbe per sé stessa, e ad ogni modo non
sarebbe di scrittura greca.
** Cosi V aleph fenicio, che é tutt' altro che la semplice vocale a,
venne, tra' Greci, alle funzioni dell' a, perché dall' a incomincia il
suo nome; e il he fenicio, lieve aspirata, e a poco a poco pure il
hét fenicio, aspirata piti forte, assunsero le funzioni della vocale che
é nella sillaba da cui si nominano, restando assegnata la, prima all' e
breve, la seconda al lungo.
co § 10. ^ ORIGINARIO, q LATINO.
beto greco da essi assunto, le assegnarono bensì una funzione
non dissimile da quella in cui i Greci la porgevan loro , ma pur
la ridussero meno superflua, poiché in qva ecc. si tratti della
gutturale aggruppata ad un v che non è né vocale né conso-
nante, e quindi di una combinazione caratteristica, nella quale
a buon dritto il q romano si é perennemente mantenuto. Ma il q
ridondava, in fondo, anche nella scrittura latina; e quando noi
prescriviamo ai nostri fanciulli di scrivere italianamente aquila,
anziché acuila, altro non facciamo che obbedir tuttora a una
fittizia distinzione, suggerita alla Grecia prisca dal nome di
una lettera fenicia *. Tra il kua di equarius (quadrisillabo) e
* Chi volesse supporre che i Romani si valessero dapprima del
qoppa per rappresentare con unica figura la tenue gutturale e l'ap-
pendice labiale ad essa susseguente, e quindi primamente si scri-
vesse qa per esprimere qua, avrebbe contro di sé e l'uso greco dì
questa lettera e l'istoria della scrizione romana. Poiché gli esempj
qaerella, neqidem, qintae, qa, qae, qe, qi, raccolti dal Corssen (1. e,
p. 72), son tutti dell'età imperiale; e il solo esempio che per l'età
repubblicana egli vorrebbe stabilire, cioè Proqilia, ben sarà piut-
tosto, come ha veduto lo Schuchardt [Der vokalismus des vulgàr-
lateins, II, 482, cfr. Huebner, in Corp. inscr. lat., I, 609), un caso
di q per e (k; cfr. Procillus, -cilla) che non di qi = qui (ed anche
Qaesicianum, dell'età imperiale, sarà piuttosto per Caesicianum, cfr.
caesicius, che non per Quaesicianum). Questa maniera compendiosa
ha di certo per autori alcuni grammatici di bassa età, ai quali deve
essere stata suggerita o persuasa dalla storta loro opinione, che la
figura del q in sé compendiasse il e e 1' v. Così Vello Longo (ed.
Putsch, p. 2218-19): De q litera quEesitura est et multi ìllam exclu-
serunt, quoniam nihil aliud sit quam e et u. et non mìnus possit
scribi quis per e et u et ^ et s. nani ipsa quoque nota qua scribitur,
si modo antiquam literae figuram spectes, ostendit e esse et v pariter
literas in se confusas. Ideoque nonnullì, quis, et quse, et quid, per
Q et 1 et s scrìpserunt , et per q^ , et per qid , quoniam scilicet in q
esset e et v. Cfr. Diomede, ed. Putsch, p. 420 (= ed. Keil, I, 425;
e Carisio, ed. Keil, I, 10). All'incontro il vecchio Scauro (ed. Putsch,
§ 16. k ORIGINARIO, q LATINO. 61
quello ài pecuarius (quinquesillabo) v'ha bene una differenza;
ma non istà nella gutturale; sta nel suono che è fra questa e
p. 2253): q litera aeque re£enta est propter notas, quod per se posita
significaret q qusestorem; et quia cum illa-v litera conspirat, quoties
consonantis loco ponitur, id est, prò vau litera, ut quis etqualis;
unde et grceci y.ó.-ktzx (1. xoTrTcac) quod prò hac ponebant omiserunt»
postquam etc. Della scrizione sofìstica di q per qv si ha probabil-
mente un riflesso coevo al di là dei confini italiani. Poiché le due
combinazioni di lingua gotica: hv e kv, la cui esistenza è dimostrata
nel più evidente modo da tutte le ragioni comparative, son rappre-
sentate, nella scrittura gotica, da un solo carattere per ciascuna,
e il carattere per kv altro di certo non è che il q latino (cfr. Ga-
BELENTZ-LoEBE , Ulfìlas , II, II, 14). Qualche fondamento storico
avrà piuttosto l'allegazione di Servio (ed. Keil, IV, 422-3; cfr. ih. 477
= Putsch, 1828-9) : k vero et q aliter nos utimur, aliter usi sunt maiores
nostri, namque illi, quotienscumque a sequebatur, k prasponebant etc.
itemque illi q prseponebant , quotiens u sequebatur, ut qum-, nos vero
non possumus q prseponere, nisi et u sequatur et post ipsam alia voca-
lis, ut quoniam; allegazione che ritorna in Pompeo (ed. Keil, V, 110;
cfr. Donato, ib., IV, 368), ma di certo non può menarsi buona sen-
z'altro, e solo può valere, associandola agli esemplari epigrafici cui
tantosto arriviamo, a farci credere che dapprima si adoperasse il q
anche dinanzi a v vocale, e mano mano poi si limitasse alle sillabe
QVA ecc. Il Corssen, comechè non affermi che primamente si scri-
vesse qa per qua ecc. , confonde tuttavolta di continuo , e in penosis-
simo modo, Q e Qv; ed ha il coraggio di affermare, che si abbia q
per QV in tutte le seguenti scrizioni: Mirqurios, Aquti , pequnia (que-
sto esemplare occorre frequente, e si agginrigono pequs pequdes) , pe-
qulatu, persequtio, oqupatum, Aesqulli, me^quìn, qura quraverunt ,
qur, Qusonius, qumditos, sequri, qubitorum, quius (1. e, 71-2), e
pur riferendosi a Sergio, e vedendo perciò che si tratti di semplice
questione ortografica , ci assicura con tutta serietà che nella pronuncia
di pequnia ecc. il v del q è confluito coli' v vocale che susseguiva
(PEQvvNiA PEQVNiA). Scnonchè, prescindendo dalle propaggini del qvo-
pronominale, in cui potrebbe reggere V ipotesi di qv = *qvv = qvo (p. e.
qvoivs,.'qvvivs, QVivs, cuius), e forse ancora da cura curare (cfr.
62 § 16. k ORIGINARIO, q LATINO.
Va\ il quale h un u ben distinto nel secondo esempio, laddove
nel primo è un semplice fruscio labiale, che non ha valor pro-
sodico alcuno *.
Se poi ci volgiamo a scrutare l'età e la ragione istorica di
questa tenue gutturale latina con accompagnamento labiale,
gioverà imprima dare opera a distinguere in varie categorie
gli esempj che ammettono comparazioni eteroglosse. E mande-
remo innanzi gli esemplari in cui a qv latino risponda in altri
membri della famiglia, cosi dell'Asia come dell'Europa, la tenue
gutturale, o un suo normale succedaneo (§§ 11-15), simil-
mente accoppiata a. v oà. a. u:
1. Lat. : quo- (quo-d, quó-rum, qua-, quo-t, ecc.) e qui- (qui-s,
qui-d, qui-bus). La combinazione qv (cfr. § 19), oltre ad es-
sere affermata, come a suo luogo vedremo {§ 17), dai riflessi
greci, osci ed umbri, ha il suo pieno riscontro pure nei go-
tici: hva-s **, hvò, hva, quis, quae, quid, hva-pró, donde.
coeraverunt', eoe- que- quu-?), e da persequtio, che oscilla tra se-
quutus e secutus, io domando dove il Corssen trovi, nella realtà, la
combinazione qvv ch'egli affibbia a tutte quelle forme? Dove è nnpe-
quunia o un oquupare o un quon- (= con-)? Qui si tratta, manifesta-
mente, o di avanzi dell'antica ortografia qu = ku {u vocale), o di
errori di tarda età; così come potrà essere arcaica la scrizione pe-
-qu-a-ri-o (C. I. L., n. 1130), ma certo erano semplicemente erronee
le scrizioni vaqua vaqui (va-cu-a va-cu-i), contro alle quali insor-
geva Probo (ed. Keil, IV, 197).
* Egregiamente Prisciano (Putsch, 543 = Keil, II , 12) : 5' vero propter
nihil aliud scribenda videtur esse, nisi ut ostendat, sequens u, ante
alteram vocalem in eadem syllaba positum, perdere vim literse in
metro, quod si alia ideo litera est existimanda q quam e, debet g
quoque, cum similiter prseponitur u amittenti vim literse, alia pu-
tari, et alia, cum id non facit. dicimus enim anguis sicuti quis, et
augur sicut cur (cfr. 560, 568, = K. ib., 36, 47). Cfr. il passo di Scau-
ro, allegato nella nota che precede.
** hv gotico ò la normale risposta di kv ante-germanico. E poiché
ci accadrà piti volte di ricorrere ad esempj germanici, profittiamo
§ 16. k ORIGINARIO, q LATINO. 63
hva-r, dove, (ubi, ttou), ecc. Nell'Asia, il tipo 'kva- o 'kvi-
raancherebbe affatto nella schietta funzion pronominale (sscr.
ka-s^ quis, ecc.), ma nelle propaggini si fa sentire, comechò
ora dell'incontro per porgere in brevissimi tratti la chiave princi-
pale del rapporto che intercede fra le esplosive indo-italo-greche ov-
vero ante-germaniche (o meglio: originarie) e le loro corrispondenze
germaniche. Un primo e generale tralineamento (§7), al quale si
ferma il gotico e con esso ogni altra favella germanica all' infuori
dell' alto-tedesca , consiste in ciò: che per semplice tenue ante-ger-
manica (k^t^p) vi si abbia tenue aspirata o più propriamente spi-
rante sorda (h, p [th], f); per semplice media ante-germanica {g,
d, b), vi si abbia all'incontro semplice tenue {h^t^p); e finalmente
per media aspirata originaria e sanscrita (gh, dh, bh', gr. j^, 5, 9),
vi si abbia semplice m^dia. L'alto-tedesco (e quindi la lingua let-
teraria dell'odierna Alemagna) non si arresta allo stadio gotico, ma
tralinea ancora, e alla sua volta starà allo schema gotico, in ispecie
per la sezione dentale (got. p [th], t, d), così a un di presso come
il gotico sta agli schemi piti genuini ed in ispecie al greco. Quindi :
semplice media alto-tedesca per spirante sorda gotica ( tenue aspirata
proto-germanica = semplice tenue ante-germanica); spirante sorda
alto-tedesca per semplice tenue gotica; e semplice ^enwe alto-tedesca
per semplice media gotica. Aggiungiamo la dimostrazione sinottica,
e qualche esempio:
Stadio ante-germanico.
k, ty p', g, d, b\ gh(i), dh(^), bh{(f).
Stadio gotico.
h, p(th), f; k, t, p; g, rf, b.
Stadio alto- tedesco.
d, z{ss), t.
Esempj per la serie gutturale (k-h; g-k; gh[x]-g):
Greco, latino, ecc. Gotico.
caeco-j haiha-y monocolo.
cornu-, hauma-f corno.
64 § 16. k ORIGINARIO, q latino.
men decisamente di quello che a prima vista appaja. Al gotico
hva-pró (donde; forma probabilmente ablativa) fanno bel riscon-
tro il sscr. kù-tra (dove, dovunque) e lo zendo ku-thra (dove),
i quali ci darebbero ku = 'kva , per una contrazione che di fre-
Greco, latino, ecc.
cord-, xapSc'a,
xXeTi-T-etv, rubare,
xXu-ótv, udire, ascoltare,
Set'x-vu-ixt , io mostro ,
socer,
yvw-To-, noto,
Yo'vu, genuj
aYpo'-, agro- (ager),
[xe^aXo-, grande,
Xr versare (/e/'o», yu-Gi-;;),
(iTEiy-etv, procedere,
Xeij^-£tv, leccare,
Esempj per la serie dentale:
Gotico.
hairtan-, cuore.
hlif-an , id.
hliu-man, udito.
-teih-an, mostrare.
svaihran-, id.
kun-pa-, id.
kniva-, id.
akra-, id.
mikila-f id.
giu-t-an, id.
steig-an, salire.
-laig-ón, id.
Greco, latino, ecc.
To'-v, is-^M-m,
TpsT?, tres,
Ttrepo-, penna (ala),
duo,
sud-or^
sscr. ud-a-y slavo vod-a ,
acqua ,
8 APS (5apaétv 3-a^psiv),
osare, "
£-pu5--po-, rosso.
Gotico.
tha-n-a, id.
threis, id.
in gì. feather, id.
ifrai, id.
ingl. stoeatf id.
Alto-tedesco (moderno).
de-n, id.
drei, id.
feder, id.
^^cc^, id.
schioeiss, id.
va<-aw-, acqua, zoass-er, id.
-daurs-an, ant.-sass.
daurr-ariy id.
randa- y id.
furr-an (antico), id.
rof, id.
§ 16. k ORIGINARIO, q LATINO. 65
quente occorre {w. u = va ) , e visi uniscono lo zendo ku-tha ,
quonaodo, il vedico kic-ha, dove, il sanscrito kù-ta:^, donde, ed
altri. La reale somiglianza tra lo kva sanscrito e zendo (dove)
e il latino quo, prescindendo dalla uscita o vogliam dire dal
caso diverso clie è nelle due forme, si strema per ciò, che la
voce latina ritorna a 'kva, e l'indo-irana all'incontro, come pel
solo fatto dell'accentuazione sanscrita già si vedrebbe ( kvà = kù-à ,
p. 16), a hu. E ben minore delle apparenze , anzi forse illuso-
ria affatto, è la speciale consonanza tra il laXìno quantu-s e lo
zendo JivaTit-, quantus, qualis, citata con soverchia compia-
cenza da più linguisti. Poiché, quanto è manifesto che la forma
latina risale a 'Uva-, altrettanto è improbabile che a 'kva risalga
la figura irana, la quale mancherebbe, in questa ipotesi, di ogni
riscontro etimologico nell'Asia, e ancora rimarrebbe affatto sin-
golare per la corrispondenza fonetica liv = 'kv. Ma kvant-, quando
a dirittura non istia per Ri-vant, e così combaci affatto col ve-
dico ki-vant- = kijant- (v. p. 47), che dice ugualmente: quantus,
qualis *, ammetterà tutt'al più la dissezione ku + ant (ku+vaìlt),
in cui ritorna il contratto ku, che si rivede in Jiù, come**,
parallelo al vedico kù, dove ***.
"' E la doppia figura {Mvant kiant) era per avventura propria anche
dell'antica Irania. Nes.suna traccia del v nella forma irana medie-
vale e moderna: cand.
** JusTi, o. e, p. 112, Spiegel, Grammatik der altbaktrischen
sprache, p. 201.
*** Pur nel gruppo litavo si avrebbero vestigi dell' accompagna-
mento labiale. In singolare armonia colle favelle asiatiche, l'antico
prusso ha l'interrogativo ka-s (= lituano ka-s, sanscrito ka-s), quis,
collo schietto ka, allato alle figure avverbiali quei, dove, quendau,
donde (Diefenbach, Vergi, loórterb. d. goth. spr., II, 596, Grass-
MANN, Zeitschrift s. e, IX, 20). Nel lituano s' ha il tema prono-
minale: kur-ja- (quale, quegli che, cfr. Schleicher, Lit. gramm.,
p. 299-300) la cui base coincide col kuì% dove, dello stesso lituano,
come il tema gotico hvar-ja- (nomin. hvarjis, ziq, quale?) coincide
nella sua base collo hvar, dove, del gotico stesso. Tuttavolta il rag-
guaglio kur lit. = hvar got. perde di sicurezza quando si considerino il
lituano visuv (cfr. p. 52), ovunque, il lettone tnv (là, «olà), e altrettali.
Ascoli, Fonai, indo-it.-gr. 5
66 § 16. k ORIGINARIO, q LATINO.
2. Lat. queoy posso. L'esatta corrispondenza fonetica e morfologica
di questo verbo latino ò nello gvi sanscrito (,queunt : gvdjanti : :
eunt : djanti [vanno] ) , il quale però significa : enfiarsi , crescere ,
e non: potere, meglio così coincidendo, nel rispetto logico, col
greco xuw, xusw*, son pregna, e con voci latine che più tardi
addurremo (§20). Ma dalla figura radicale gav {gav, gù), che
si alterna, nella conjugazione, con gvi {gav : gvi : : gar : gri,
pag. 40, in fine), si hanno: gdv-as, forza, gù-ra-, eroe (zendo
gù-ra~, forte, eroico, gr. xU-po-;, forza), pei quali appien si
conciliano, anche logicamente, queo e gvi**.
3. Lat. equuSy equulus, equa, equio, equit- (eques); sscr. dgva-s,
cavallo, dgvà, cavalla, agvaj- (equire), bramar cavalli; Ut-
aszvà, cavalla grande (15, 3.) ***. Della corrispondenza greca
si parla a suo luogo (17, 2.).
Seguono gli esemplari in cui a qv latino risponde % indo-irano,
fra i quali entrerebbe, per certa parte, pur la stirpe pronominale
che già avemmo in questo capo a considerare (n. 1), in ispe-
cie per ciò che ad essa rivenga l'enclitico -que = -Ka indo-irano
(p. e. equus-que, sscr. àgva^-^a, zendo agpag-'ka), il cui riflesso
greco si studierà più innanzi (cfr. 21, 4.). Alla stessa stirpe ap-
parteneva anche l'enclitica sanscrita -M-d (13, 10.), etimologi-
* Abbiamo, da Esichio, pur xuaivoi ('kvan-jò), che coincide collo
sviluppo zendo: gpan- ('evan-).
** Il FiCK, o. e. 43, per troppo zelo, potrebbe destare , sospetto ,
quando nell'aflerraare queo = gvi traduce questo a dirittura anche per
potere, arbitrando, come suole, circa la significazione. Ma il Poti,
dal canto suo {Wurzel-wurterbuch, I, 459, 704), troppo timidamente
si accosta al pareggiamento che qui affermiamo. - I significati
di valere e ingrossarsi (enfiarsi) si intrecciano anche nel radicale tu
(cfr. PoTT, ib. 793-97), e abbiamo il seguente rapporto logico:-
sscr. tu (valere): lat. tu-m-eo, tu-m-ulus :: lat. queo : cu~mulu-s.
*** La corrispondenza germanica (antico-sassone ehu, cavallo, ecc.)
ò più sicura e copiosa che non possa parere da Pott, 1. e. 534; cfr.
DiEFKNBACH, Vergleichendes worterbuch der gothischen spraehe, 1, 28
(II, 726).
§ IG. k ORIGINARIO, q LATINO. 67
camente non diversa dal lat. qui-d; e nello zendo la palatina è
pure in Hi-s, quis (e quindi in naè-M-s, nessuno, = sscr. nà-ki-s)^
e in Kaiti = sscr. Jiàti = lat. quot {quoti-ù'ie), e in altre voci an-
cora *. La combinazione qv, allato a Ji indo-irano, degli esem-
plari latini che ora si aggiungono, sarà poi a suo luogo raf^
fermata (17, 3-8.) dai paralleli greci, e dai paralleli superstiti
dell'osco e dell'umbro:
4. Lat. quatuor (quattuor), quar-tu-s ('quatur-tu-s, v. Ind.), qua-
ter**; sscr. Jiatvar- (nomin. Uatvàr-as, accus. Katùr-as), zendo
Rathwar-, quattro, sscr. Ratitr-thd-s, quattro, Ratù: *** Cliatur-s,
zendo kathrus), quattro volte.
5. Lat. sequ-or, pedi-sequ-u-s , sequ-ax^ sequèla (cfr. p. 91); sscr. sah
sdM-a-ti (-a-tai) e si-sak-ti (cfr. 13, 11.), allato a sagR sdgk-
-a-ti ****, sequi , obedire , colere : ùtdja indrà sisakti usdsà nd
sùrja: , in ajuto a Indra segue, come all'aurora il sole (rgv., I,
56, 4); dti na; sagRdtau naja, facci superare (conducine sopra)
i persecutori (ib. , I, 42, 7; cfr. la n. a pag. 79).
6. Lat. linqu-o , re-linqu-ere , re-liqu-u-s ( cfr. p. 91 ) ; sscr. riM, ri-
-nd-k~ti (1. pers. pi.: rm/l-mds, v. pag. 38), far posto, far
vuoto, rik-td~s (cfr. re-lic-tu-s) , vuoto. Oltre al verbo che
risponderebbe a questo riR sanscrito , l' Irania ha un secondo
verbo omofono (zendo riR, pelvi riR-it [3 pers. sing. ], neo-
persiano réz***** rèkh-tan), che dice: versare (versarsi); e il
Justi (0. e, s. V.) inclinerebbe a credere che in fondo si tratti
di una voce stessa. Analogamente, come nota il Curtius (o. e,
sec. ediz., n. 625), potrebbe andare unito, nel latino, con Zm-
qu-erCj il liqv- di liqu-ens liqu-idu-s ecc. Ad ogni modo, non
* V. n. 1, e la n. a pag. 47; e cfr. pag. 92.
** 'quatur-s (cfr. hi-s 8t-; xpi-? e le figure sanscrite e zende) , 'quafrs ,
quat[e]r, cfr. 'socuro^s (exupoi;), "socurs, 'soc'rs, soc[eJr.
*** Per Ratùr o Ratùs, v. pag. 14.
**** Per 'sa-saR (r. gR e sdkhi), Benpey, Gloss. al Sàmav. , 188 b.
Cfr. § 17, 6.
***** -i neopers. = h zendo, come in sùz sùkh-tan, ardere (cfr.
§ 15, 2), o in paz pukh-tan, cuocere (il), e 16, 8.)
68 § 16. k ORIGINARIO, q LA-TINO.
sarà lecito staccare questo latino liqv- dal rih irano, versare
(versarsi), e par certo che HR ricorra con significazione con-
simile anche nel Veda *.
7. 8. Lat. coquere (quoquere), e quinque. Della gutturale onde queste
due voci latine incominciano, parliamo altrove (v. Lid.)] qui (e
al § 17, 8) si considera la seconda gutturale soltanto, combi-
nata con w, che in ciascun d'essi occorre, confrontandola col Ji,
che le risponde, negli equivalenti: paR, cuocere, panRa-, cin-
que, del sanscrito e dello zendo.
Nell'esempio che ora segue, il greco risponde collo schietto y-
allo qv latino, e il sanscrito contrappone g (§ 11):
9. Lat. qui-ès (quiei; cfr. requies requiei), qui-et- (quiétis; quieto
e quiete), qui-e-sco^ qui-è-tu-s\ gr. xsT-[xai, giaccio, xsetat jon.
(*xsJ£Tat), xEcxai, giace, xsaxsTO ('x£[j"]-£-(7X£-To) = e-x£t-To , gia-
ceva; sscr.fi, giacere, gàj-a-tai^ gdi-tai, giace, d-^ai-ta^ gia-
ceva. **.
* Alludo al passo seguente, che il Benfey mi addita. nel gloss.
al Samav. sotto rili : vigvàni gakrda ndrjàni vidvàn apdu rirailia
sdkhibhir nikàmài:, Indra, sperto in ogni opra virile, versò (fece
scaturire dalle nubi) le acque ai bramosi amici {rgv.^ IV, 16, 6).
Ma circa l'altro passo che insieme egli addita, si vegga la tradu-
zione ch'egli medesimo ne dà nel gloss. stesso, s. vaks.
** Il Corssen (o. e. 69, 386; dove gì sta sempre per errore in luogo
di gì) ora adduce ed ora tralascia di addurre un parallelo germa-
nico per quies ecc. , nel quale ancora avremmo Jiv germ. = qv\'à.i.\
ed è r antico alto-ted. hvi-la , ìivi-l-ón. Senonchè , hvi-l-ón venne a
dir dimorare non già perchiè valga porsi a riposo, ma perchè vale
starsene per una data quantità di terapo (sq^'-giorn-are) , e il nome
hvi-la (cfr. il mod. weile, e Fingi, ivhile) altro difatti non dice so
non tratto di tempo, lì gotico, al quale stranamente il Corssen non
ricorre, gli avrebbe a dirittura offerto : ga-hvei-l-ains^ riposo; ma ò
sempre un derivato da hvei'l-an, che alla sua volta risale a hvei-la,
wpa, xpo^o?» xKtpo;. Al che aggiungendosi, dall' un canto, che hveirla
coinciderebbe anche etimologicamente col gr. aoupó-i (Schleicher,
Compend.y sec. ed., § 196), e, dall'altro, che l'accompagnamento
§ 17. kv SI RIDUCE A/), NEL GRECO, ^ELL'OSCO E NELL' UMBRO. 69-
Lo qv, finalmente, non è con sicurezza raffermato se non dai
paralleli germanici in questi due esemplari:
10. 11. Lat. ques- radice di quer-o-r (*ques-o-r), ques-tu-s\ islandese
hvàs-a, fessum anhelare*; lat. aqua^ got. ahva, fiume (ant.
sassone aha, acqua; danese aa, fiumicello; svedese a, fiume,
ruscello; islandese à, acqua).
Ma dell'antica combinazione germanica hv, che rìconoscem- § 17.
mo legittimo riflesso di kv anteriore e qv latino, altro non suol
rimanere, in principio di parola, all'odierno alto-tedesco se
non il •?;; e quindi ai gotici hva-s (ingl. who; § 16, 1), quia,
hveita- (ingl. lohite) = sscr. gvaita- (*kvaita), bianco, rispon-
deranno nell'odierno alto-tedesco: we-r, weiss. Ora se il gotica
stesso, come pure è possibile (cfr. snaivs), ha partecipato in
qualche esempio a questo dileguo, il suo vaùrm-s, serpente
(verme; wurm, verme, dell'odierno tedesco), potrebbe conci-
liarsi, per l'intermedio *livaurm-s (hvurmi-), coli' equivalente
sanscrito J^rmf- (15, 4.) = *karmi- (pag. 10); ed il lat. vermi-,
alla sua volta, vi coinciderebbe ugualmente per *kvermi- **.
labiale non si vede negli altri esemplari germanici che piti asseve-
ratamente alla nostra radice si riconducono (cfr. Pott, Wurzel-icor-^
terb., I, 546, Curtius, o. c. , n. 45), si dovrà affatto perdere ogni
fede nella pretesa affinità di hvila e quies. — 11 rapporto ìndo-
latino g = qv si riprodurrebbe nel parallelo ris quaeso (rad. quis-),
proposto dal Benfey (Griech. lourzellex., II, 152) e accettato dal
Corssen (6. e. 377, dove sta, per errore, cish), mal sicuro però in
sino a che non sì possan meglio conciliare i significati; il verbo la-
tino dicendo: indagare, cercare, chiedere, e l'indiano: lanciar di resto
(passivo: restare), separare, spiccare. Scernere potrebb' essere la base
concettuale ad essi comune.
- * Questa voce germanica ed altre affini adduce il Kuhn { Zeitschrift ,
s. e, XV, 318) allato allo gvas sanscrito, respirare, sospirare, fischia-
re, e trascura il lat. ques. Del perchè io non mi fidi della equazione
gvas sscr. = 'kvas = ques, si vede in sul principio della Lez. XIV.
** Quindi si avrebbe: qv lat., hv germ. = k sanscrito, cfr. § 16, 1,
§17,9-- Contro 'hvurmi 'kvermi starebbe appunto il doversi am-*
70 § 17. kv SI RIDUCE A p, NEL GRECO, NELL'OSCO E NELL' UMBRO.
Lo stesso dileguo si è forse consumato, anche pel latino, in
alcune propaggini del pronome interrogativo-relativo, alle quali
non tarderemo ad arrivare; e si riafferma nel vap di vap-or
{*kvap-or) vap-i-du-s, allato allo kvap lituano di kvàp-a-s,
alito, esalazione, e al xxtt greco di xaTi-u-w , respiro fortemente,
xa-rt-vo-s, fumo, vapore *. La perdita è foneticamente maggiore
nel caso del latino che non sia nel tedesco; in quello ecclis-
sandosi dinanzi al v un suono esplosivo {v da. kv), e in questo
un suono continuo (v da hv), che è fievole pur dove resta.
Ma del fenomeno latino, a cui ora si allude, vedremo più tardi
mettere la coincidenza del dileguo, nel gotico e nel latino. Ma alla
perfetta congruenza del significato e della forma, si aggiunge forse,
in favore di questa restituzione, la forma britannica , di cui si tocca
nel seguente paragrafo. Le opinioni del resto sono divise: Pott. (Etym.
forschung., I^, 84), Bopp (Gloss.), Schleicher {Compend., § 196) e
Corssen (o. e, 34), uniscono vaurm-s vermi-s con kfmi- ecc.; Auf-
recht e Curtius (v. questo, o. e, sec. ediz. , pag. 485-6) e Fick (o.
e, 164), tengono disgiunti quelli da questo. Ma il Benfey, dal canto
suo {Orient und occident, II, 756), riunificando ogni cosa nello 'hvar-
-mant , al quale troppo arditamente risale , si vale anche delle forme
lettone zir-mi-s ecc. per maniera che può turbare gl'inesperti, riu-
scendo equivoca in ordine al rapporto de' suoni iniziali. Giova quindi
avvertire, che lo zi (ti) della voce lettona è succedaneo normale del
hi delle corrispondenti voci lituane (kirminis ecc., § 15, 4). — Se
vermi- è pari a kfmi-, avremmo, in lingua nostra, il curioso fatto
di due diversi continuatori del karmi primevo, entrambi nella spe-
cial significazione medesima, e affatto inconsci della parentela che
tra di loro intercede; cioè: vermiglio (*vermi-clo; il verme che dà
lo scarlatto) e cremisi (= sscr. kpni-gà, la nata dal verme), voce
importata dall'Asia in età relativamente moderna.
* Il Benfey {Griech. wurzellexikon , I, 267), e altri dopo di lui,
qui adducono le voci sanscrite kapi kapi-ga ecc., che direbbero, stando
ai lessici, incenso, ma sono ancora senza esempj. E deve dirsi incerta
anche la" parentela tra il nostro kvap e il sanscrito kup (= cup-io),
ribollire (nell'animo), adirarsi, che è una combinazione, ormai an-
tica, del Pott (Etym. forschmg., V, 256, US 205).
§ 17. liV SI RIDUCE Kp, NEL GRECO, NELL'OSCO E NELL' UMBRO. 71
nella stessa lingua di Roma adeguati riscontri (§ 26; Dilegui)',
e qui intanto giova, per la continuazione del nostro discorso,
por mente a un esemplare, nel quale la perdita di una diversa
esplosiva innanzi o. v h cosi costante, che deve a dirittura risa-
lire al periodo unitario. Intendo la voce per venti, in cui lo
(Ivi, che dice due, è ridotto a vi in quante lingue della fami-
glia espriman questo numerale con antica unità di vocabolo:
vi-gàti- (sanscrito), vi-gaiti- (zendo), vi-ginti (latino), fi-che
{*vi-ke, antico irlandese), j^zi-y.%Ti (dorico).' A questo vi da dvi
sta dunque allato, ancora per dvi due, la figura bi, che è nel
latino bis, o nell'equivalente zendo: bi-s, pari al sanscrito dvi-s,
e surge pel fatto che il v passi a mano a mano di suono con-
tinuo in esplosivo, cagionando cosi la proporzionale diminu-
zione, e finalmente l'intero dileguo, del primo elemento della
combinazione etimologica {dv, ^b, b) *. Il quale essendo sonoro,
il V naturalmente si determina anch'esso in esplosiva sonora,
dove all'incontro si determinerebbe in esplosiva sorda se fosse
sordo il primo elemento della combinazione etimologica, come
vediamo accadere nelle forme pracritiche : pai = tvàji sanscrito
(locativo singolare del pronome di seconda; tv, [^b] 'p, p), e
-ppana = -tvana sanscrito (suffisso derivatore di nomi astratti),
nella seconda delle quali, trattandosi di fenomeno interno, al
p è dato raddoppiarsi, in compenso del t che si ecclissa. Cosi
neW eppes di qualche vernacolo alto-tedesco, per V elwas (qual-
che cosa) del linguaggio letterario **.
* Intorno a questo fenomeno, e agli altri congeneri, che si toccano
piti innanzi, v. la n. 4 al primo Saggio indiano, nel sec. voi. degli
Studj critici.
** È fenomeno congenere quello dì p o h zendo per v anteriore,
secondo che preceda sibilo sordo o sonoro; il qual sibilo però, essendo
suono continuo, non tramonta perchè il v s'induri. Così avremo li
zendi gpan- (afgano spai), cane, cpaèta- (neopers. gipèd), bianco,
agpa- (neopers. asp), cavallo, zbà, invocare; - pei corrispondenti
sanscriti gvan-, gvaita-, agva-, hvà {h sscr. = z zendo). — V. an-
cora Vindice, s. «r^.
72 § 17. kv SI RIDUCE A p, NEL GRECO, NELL'oSCO E NELL' UMBRO.
Ora il fenomeno di v che si muti in labiale esplosiva, sorda
o sonora secondo il diverso genere dell'esplosiva ecclissata,
sotto l'influsso della quale egli si venne indurando, non dipende
già dalla specie di questo suono assimilatore; e ci sarà facil-
mente manifesto, che al p prodotto A\ tv (tv *b *p pp p-) o al &
prodotto di dv (dv '^b bb b-), di cui avemmo e riavremo esempj,
si potrebbe aggiungere, ricorrendosi a quella sola altra serie di
esplosive originarie che si presti all'aggruppamento col v, cioè
alla serie gutturale, un p prodotto di kv (kv ^b ^p pp p-) o un &
prodotto di gv (gv ^h bb b-). E cosi siamo, limitandoci per ora
3. p = kv, cioè continuando l'istoria della tenue gutturale ori-
ginaria, a j9 greco ed ap osco ed umbro rimpetto a qv latino;
il quale jp non è quindi un capriccioso succedaneo dell' antico
suono gutturale, ma bensì è naturai continuazione dell'appen-
dice labiale di questo, cresciuta in forze, per così dire, all'om-
bra e a' danni di lui. Gli esempj più importanti e sicuri son
questi che seguono:
1. Lat. quo-, quo-t (= sscr. kd-ti), ecc. (16, 1.);- gr. (cfr. p. 89)
TTo-Tepo-; (sscr. ka-tard-s), quale dei due, tiÓ-te, quando?, tto-
-To-;, quale (cfr. quo-iu-Sy cur-iu-s, aggett., di chi), tco-oto-?,
quanto?; ecc.- osco: pù-d, po-d, quod (sscr. ved. ka-d,
quid); pa-m, quam (acc. fem. sing.), pam, quam (congiunz.);
pù-s, qui (nom. masc. pi.); pa-i, quae (nom. neutro pi.); pu-f
(cfr. 7to-5[), ubi, pù-tùrù-, uter; pi-s, quis (sscr. -ki-s, 21, 2.),
pi-d (e -pid, 21, 4.), quid; ecc.- nvabro: po-i, qui (nom. sing.
masc), panta, quanta, pu-f e, ubi, pu-tru-, uter, -pis, pi-s,
quis, ecc. Che pur le forme osco-umbre puf e puf pù-tù-
rù- pu-tru- abbiano la loro esatta corrispondenza romana
ne' proto-latini 'kvo-fi (*vofi *vufì ubi; r. u = vo e b = f) 'kvo-
-tero- ('voterò- *v utero- uter), e quindi si allineino con ver-
mi-s = 'kvermi-s (v. sopra) e simili, mi par manifesto, pur dopo
le impugnazioni a cui questo particolare ragguaglio ò andato
incontro*. Anche unquam (*cvun-cvam) deve qui rivenire; allato
al quale va citato l'equivalente got. hvan-hun (ni hvan-hun,
n-unquam), comechò, massime per la seconda parte (cfr. 21,
* V. il luogo degli Studj critici citato alla nota * di p. 71.
§ 17. hv SI RIDUCE A p, NEL GKEOO, NELl/OSOO E NELL' UMBRO. 73
2. n. ), non si possa affermare se non la comune presenza del
tema pronominale hua.
2. Lat. equo- (16, 3.)*, - gr. "itz-ko- ('iy.-j'q-, v. Protesi)^ dove lo
kv antico, per essere interno, potè riuscir continuato da doppio
suono (^p, pp) così come vedevamo aversi pp (*p pp) dallo tv
interno sanscrito e germanico.
3. Lat. quatuor (16, 4. ) ; - eoi. 'irétraup-s; ( 'Tcex/'op- 'TreTrup- v. Ind.) ,
omer. irtaup-e; (v. Indice) ^ quattro; cfr. § 21, 1;- ^ petora
Oscorum lingua idem quod quatuor (Festo)"-, - umbro _pe-
tur- = lat. quadru- (in quadru-ped- e simili); Petr-un-ia
= Petronia. 11 gotico , partecipando in questo esempio , come
pure in altri farà, del vezzo greco, osco, umbro (e gallico, § 18),
ci dà, con regolare tralineamento iniziale (v. pag. 63), fìdvór
(quattro), risalendo egli a 'hvadvor ('hvidvor) anziché a Au«-
tvor (f : hv : : p : kv).
4. Lat. quinque (16, 8,);- eoi. ^z^izt (v. Indice), cinque, a cui
si rappicca l'ordinale panellenico: tteijlti-to-; , quinto;- osco
pomtis Cpompt-is), per la quinta volta, Pontius ('Pomp-tiu-s;
nome sannitico) = Quintius, Pomp-ilio- (nome sabino) = umbro
Pumperiu-; ecc. Il gotico risponde, secondo le norme de-
scritte nel precedente esempio , per fìmf. Cfr. § 21 , 5.
5. Lat. linqu-o (16, 6.);- gr. XiaTr-avw, Xeitt-oì (aor. I-XtTi-o-v),
lascio, abbandono. Nello stadio gotico, ancora- con f ■= 'hv
(*kv), si avrebbero, a cagion d'esempio, l'islandese leif-a, e
r anglo-sassone lyf-an, lasciare (concedere) *.
6. Lat. sequ-or (16, 5.);- gr. £7:-o-[jLat (spir. aspro = *s-), seguo,
colla forma contratta ctti-, p .e. nell'infinito (yWa^at ((ttt = s[ejp
= *sekv), e la raddoppiata IffTì- {'sesp = 'seshv-), p. e. nel parti-
cipio laTT-o-aevot (vedine Kruger, Griech. sprachlehre fur schu"
len, II, 123, quarta ediz.), la quale coincide col sanscrito sagR
Csask; 16,5.). Cfr. § 18, 4.
7. Lat. in-seque, in-sece, die, narra; ecc. (v. § 20, e Forcellini ,
s. V. V. ); gr. E-ffTT-ETc ((Si: = 's[e]p sekv, come nel num. 6),
imperat. : dite; «.-(j-tz-z-to-z , indicibile; ecc. (v. Morfologia)**.
* V. il luogo citato a n. * di pag. 71.
** L'Ebel (Zeitschrift s. e, II, 47), cui si deve il piti deciso im-
pulso a questo ravvicinamento, estendeva al greco la sentenza del-
74 § 17. kv SI RIDUCE A J), NEL GRECO, NELl/osCO E NELL'UMBRO.
8. Lat. coqu-0 (quo-T/u-o; cfr. 16, 7. ) ; - gr. xstc- ( v. Treaffo) TreTTTw ) ,
cuocere, maturare: tott-tÓ-?, cotto, TrsTr-ov-, maturo (cfr. sscr.
-paJi-ja-^ maturantesi, e il latino prce-coc-s), TioTt-aS-, ttotc-scvo^,
focaccia.
A questi esempj, in cui -^ greco s'incontra con qv latino, si
aggiungerebbe torqu-eo allato a x^h-o) (attorco, volgo), di cui
ritocchiamo in appresso * ; e T osco e Y umbro non diedero
alcun p rimpetto a k originario, pel quale non si avesse nel
latino lo stadio dello kv (qu). Vedremo poi, anche in altre ed
affinissime favelle, l'istoria medesima per p rimpetto a k an-
teriore; e già quindi senz' altro sarebbe più che lecito il ripe-
tere sempre da kv il % greco de' pochi altri esempj in cui ancora
si vede allato al k di altre lingue, senza che più sia manifesto
in alcuna parte lo stadio dello kv. Ma si aggiunge, che questo
stadio traspaja, nel latino, pure in due sui tre esempj che an-
cora sarebbero da addurre (cfr. § 19, e Curtius, o. c, num. 620
e segg.), e per l'uno di essi anche altrove. Eccoli, serbato il terzo
(ezo; ecc.) per altro luogo:
9. ha.t. jecur, jecor-, che riverrà a 'jekvor (v. v) = •^Trap gr., fe-
gato. I termini asiatici danno la gutturale intatta: sscr. jd-
hrt-y zendojàkarfe], fegato **. Il tema, jdkrt- si avvicenda,
l'AuFRECHT (ib., I, 352), secondo la quale questo esempio e il prece-
dente non ne formerebbero che uno solo. Ma il Curtius li divide (1. e. ,
num." 621, 632), al che persuadono, per tacer d'altro, i riscontri
lituani. Le considerazioni del Pott, Wurzel-wÓrterb. , 1, 8 e segg.,
mi paiono non scevre di qualche intralciamento. I dubbj circa la ra-
dicalità del (7 di evtffTTov ecc. (10), debbon pure esser nulli agli occhi
di lui medesimo {Etym. forsch. , 11^, 643 in f.).
. * torqweo = xpéir-to è proposto con esitanza dal Benfey, nel Griech.
wurzellexikon, I, 672, e accolto dal Curtius nella bella sua ras-
segna degli esemplari che qui si toccano, o. e. n. 633. Nelle voci
per torchio y torchiare {torc-ular, xpoi-z-zo), ecc.), l'incontro si fa piti
seducente- che mai. - Cfr. § 18.
** Old zand-pahlavi glossari/ s. e, pag. 10, lin. 10 [20]; cfr. Fo-
nologia irana s. v.
I§ 18. kv (qv) SI RIDUCE a p rumeno, gallico e BRITONE. 75
nella declinazione sanscrita, col tema, jakan- (cir. j e kna ìitua-
no, fegato*); e il latino, alla sua volta, avrà avuto, allato ad
obliqui sulla foggia dijecor-is, altri obliqui sulla foggia di
'jecin-is (=jakn-ds sanscrito; cfr. femur femin-is). Ma 'jecin-is
accanto a jecor-is, attratto dall'analogìa dì iter itineris e di
facinoris , diventò jecin-or-is jecin-er-is **.
10. Lat. oc-ulu-s (oquulus ***); gr. o7t-wTc-oc, vidi, ott-wt:--/)', vista
(V. Morfologia^ s. v. , e in questo volume: oaas, dksi, ecc.).
Se kv antico si continuava cosi, dall' un canto, per qu latino, § 18.
e dall'altro per p greco, osco ed umbro, si aggiunge ora che
lo stesso qu latino sia continuato alla sua volta da muta la-
biale romanza. L'appendice del q si affila, cosi che veramente
si riabbia kv (aqua akva); e si riproduce l'istoria più addietro
* jekna (fera.), pi. ^'e/mos, fegato, ho dal Fick, 1. e, 148; altrove
non rinvengo, pel gruppo litavo, se non il lettone ak-ni-s, fegato,
che il PoTT, Etymolog. forsch. , I^, 113, dà per fem. pi.
** Da jecus-culic-m non saprei inferire un particolar tema latino
jecus , il quale ad ogni modo mal potrebbe infirmare l' originalità
del r di jecur (v. r lat. da s), guarentita dal parallelo indiano, dallo
zendo e dal greco. Ma jeciis-culum crederei si foggiasse, per falsa
analogia, sopra corpus-culum , frigus-culum , pectus-culum , {pecus"
l'um), Upas-culus , agevolando l'illusione l'uguale apparenza degli
obliqui (jecoris, corporis, frigoris, ecc.). — Del nominativo jfocmws,
allegato da Carisio (Putsch 34, Keil 48; cfr. Prisc, Putsch 701,
Keil I 238), non vorremo farci caso.
*** Dice Prisciano (Putsch, 560, Keil, II, 36): apud antiquos fre-
quentissime loco cu syllabae quu ponebatur et e contrario, ut arquuSy
coqicus, oquulus', prò arcus, cocus, oculus, quum prò cwm, quur prò
cur. Ma la risposta greca mostrerebbe legittimo il qu di oquulus,
com'è legittimo quello di coquus e di quum e di quur', ed arquus
stesso (geli, arqui) non è una mera varietà ortografica, ma sì un
tipo che realmente ricorre. Cfr. § 20. — Lo stadio dello kv sarebbe,
oltre che in oqu-ulu-s, pur nel germanico 'ahvan-, a cui l' Ebel
(Zeitschrift s. e. Vili, 242), il Grassmann (ib., IX, 23) e L. Meyer
(Orient u. occid., I, 623) vorrebbero ricondotto l' a w(7aw-^|( occhio)
del gotico.
76 § 18. ^?7 (gru) SI RIDUCE A J) RUMENO, GALLICO E BRTTONE.
descrìtta. Quindi i noti tre eserapj rumeni (cfr. § 20 e v. jpt
rum.) di pa [pe) da qua *:
1. patru, quatuor; ape, aqua (cfr. l'antico frane, aive); eape^ idpe,
equa (cfr. l'antico frane, yve);
allato ai quali giova ricordare la muta labiale sarda (logudo-
rese) per qii latino, comechè veramente qui si tratti di kv che
prima passi in gv; e quindi, per prodotto finale, si abbia le-
gittimamente b anziché p (cfr. § 27):
2. lai. g'Ma^wor, prima alterazione logudorese: 'gvattor-: {cir. grùghe,
rughe, croce; grógu del dialetto comune, giallo, croceus; ecc.),
onde: hdttoro, quattro, hattorinu, quattrino, hattordighi , quat-
tordici, bardnta, quaranta; lat. oqua, *agva, ahba (sardo
settentr. éba, ea); lat. aquila, 'agvila, abile (aquila, aqui-
lotto); - lat. equa, *egva, ébba; lat. qicinque, e in iscrizione
del principio del quarto secolo: cwgwaginta; ital. cinque; 'cingue,
chimbe, cinque, chimbina, cinquina, chimbdnta, cinquanta**.
In altro ramo della nostra famiglia, nel celtico, troviamo i
resti gallici e la favella britone contrapporre di frequente il
loro p al k,{c) della favella ibernia ***; e che pur qui, se non
sempre, almen di regola, si tratti di liv antico, ridotto da una
parte al solo k (§ 19), e dall'altra, nel modo stesso che per
varie altre favelle già descrivemmo, a p, ci è insieme dimo-
strato dal singolare consenso tra i principali esempj celtici e
. * Del rumeno si distinguono due principali varietà: la daco-romana
e la macedo-valaca (v. Studj critici, I, 53, = 331). Per rumeno sen-
si'altro, s'intenda il daco-romano.
** Cfr. DiEZ, Grammatik der romanischen sprachen, sec. ediz., I,
245; Studj critici, I, 25 (303) e segg., e il 1. e. a n, * di p. 71. -
Chimbe ecc. son nella parte italiano-sarda del vocabolario dello Spano.
*** I resti gallici attestano speciale affinità col gruppo britone (o
cimro). Badi il principiante a non confondersi tra gallico (l'antico
celto dei Galli), gallese (idioma britone del Galles), & gaelico (sino-
nimo di ihernio).
§ 18. kv (qv) SI RIDUCE A j3 RUMENO, GALLICO E BRITONE. 77
gì' italo-greci, e dal maqvi, fìlii (gen.), delle antichissime iscri-
zioni ibernie, in cui ci è mantenuto il generatore comune del
macc ibernio e del map britone. Si osservino, richiamati alla
memoria i riscontri italo-greci, e anche germanici, dianzi ad-
dotti (§ 17), le forme celtiche, di qualche antichità, che ora
qui seguono (cfr. cht ibern.):
3. irland. (ibern.): eia, ce, ci, co, ci'[dj, figure del pronome inter-
rogativo (lat. qui-s); gallese (hrìi.) : pui, pa, pi, id. {osco pi-,
gv. ITO-, ecc.); - irland.: cdch, quisque; gallese paup *, id.; -
irl. can, unde? gallese jsaw; irland. ech, cavallo (lat. equus);
brit. 6p- ** (gr. 'tTiTTo;); irland. ce^/ìzV, quattro (lat. gwa^wor);
hvii. petnar ', Festo : petoritum (petor-ritum) et gallicum vehicu-
lum esse, et nomen eius dictum existimant a numero quatuor
rotarum : alii osce , quod ii quoque petora , quatuor vocent : alii.
grsece, sed aìoXtxw; (cfr. § 17, 3) dictum (cfr. Grell. XV); ir-
land. cóle***, cinque (quinque); hv'ii. pimp-, Dioscoride (IV, 62):
TrevToccouXXov. 'Poj[ji.atot Y.\^Y.z(iiokf.o\)u. , FaÀXoi ■jrsu.TrcSouXoc (cfr. DlE-
FENBACH, Celtica, I, 169-70); irland. cruim (*cromi- *cormi
= cvormi , sscr. krmi- , forma fondamentale latino-germanica :
'kvarmi' , v. § 15 , 4 , e pag. 69 ) , verme ; gallese pryf ( cfr.
crùvi nell'antico bulgaro, § 15, 4, e y brit. = m orig.); nel
quale esempio si dovrebbe però ammettere che lo stesso inver-
timento (cor- ero-; por- prò-) fosse avvenuto indipendentemente
e nell'un ramo celtico e nell'altro, locchè non è senza qualche
difficoltà, comunque si tratti di tal fenomeno che dappertutto
* L' w delle forme britone: pui, paup, non va confuso coli' u di
Qvo- ecc., che affermiamo continuarsi nel p delle stesse forme bri-
ione; ma ui ed au sono normali continuazioni di é ed à anteriori,
V. Zeuss, Grammatica celtica, pag. 113 e 110 (ed. Ebel: 96, 93).
** Ebel, Beitràge zur vergleichenden sprachforschung , II, 161,
cfr. Ili, 6. — *Eporedias Galli bonos equorum domitores vocant'.
Plinio, III, 17. — V. qui più innanzi, nelle note a questo stesso
paragrafo.
*** Sta per 'cmnc, e la presenza del n è ancora attestata dal di-
fetto di aspirazione nella seconda gutturale ; cfr. ech ^ equo-.
78 § 18. SE v'abbia p sanscrito e latino, = hv.
occorre assai agevolmente, e ritorna nella figura paleo-bulga-
rica dello stesso nostro esemplare *.
Rimane ancora il quesito, se il sanscrito (o meglio la favella
indó-irana) e il latino partecipino anch'essi del fenomeno che
noi definiamo di p per kv anteriore, o insomma ci mostrino
qualche lor p in cui apparentemente si continui il k originario;
e la risposta avrà a suonare, che ancora sub judice lis est.
Di certo è notevole, per incominciar dal sanscrito, che si tratti
di esemplari i quali trovan pronto un riscontro eteroglosso mu-
nito dello kv, ma sulla legittimità di questo riscontro debbono
ancora rimanerci dei dubbj,. parte attinenti ai singoli casi, e
parte d' indole generale, in quanto ne risulterebbe fenomeno
affatto sporadico e insieme affatto disforme da quello che il
sanscrito suol contrapporre a p europeo *= hv (§ 19). Piuttosto
che a p avutosi nel sanscrito o i[\q\V indo-irano per k {kv) ,
saremmo indotti a credere alla simultanea presenza d'ambo le
figure sin dal periodo unitario , sia poi che esse risalgano a
generatore comune, o sia che si tratti di costituzione etimo-
logica in parte o del tutto diversa tra figura e figura. Ed ecco
intanto i principali casi, intorno a cui verte, pel sanscrito, il
nostro problema:
4. Il solito vocabolo sanscrito per 'acqua' è ap (femin.), di regola
al plurale (nom. pi. àp-as; tema zendo: ap-). La speciale con-
suonanza, che è tra la forma asiatica e V ape rumeno o V abba
sardo (18, 1. 2.), manifestamente non importa una speciale
continuità isterica fra questi e quella, poiché i due termini
romanzi risalgono, come vedemmo, alla figura latina: aqua.
Ma si può domandare, se ad un antichissimo akv- non rivenga,
alla sua volta, per analogo processo, V ap- indo-irano, o me-
glio un ap- del periodo unitario, poiché solo il supposto di un
così antico ap potrebbe dichiarare, senza gravi, stenti, la pre-
Quanto al ragguaglio cruim = 'cromi, pryf= 'proif'proim 'pro-
mi, cfr. Zeuss-Ebel, 1. e, 13, 90, 233. V. ancora V Ind. s. conso-
nanze composte.
§ 18. SE v'abbia p sanscrito e latino, = kv. TU
senza della labiale nel lituano ùpé, fiume, o nel latino avn-ni-s
= 'ap-ni-s (cfr*. som~nu-s = 'sop-nu-s, pag. 28 ). La forma colla
muta labiale, comunque surta, poteva coesistere a quella con la
gutturale; e nel caso dei Msaa-àTr-toc (che-sono-intra-le-acque;
PoTT, Curtius) resteremmo intra due, se la figura anteriore ne
fosse ap od akv. Le due figure coesistenti sarebbero poi vivo
entrambe in favella sanscrita, nel caso del vedico sap, che si
traduce: sequi, colere, allato al sa/é, cui prima riportammo
sequor e eTrojjiai (16, 5. 17, 6.)- Veramente, per quanto io posso
vedere, sap non direbbe proprio: seguirò, ma: conseguire, colti-
vare (eseguire), onorare; e se pur sah, seguire, riesce ad avere
le significazioni di sap (accompagnare onorando, proteggendo,
operando; cfr. il riflesso zendo: hall), tuttavolta, mancando a
sap quella di seguire, il supposto della esistenza primeva di
amendue le formo è per avventura ajutato anche dalla dispa-
rità di significati che corre tra l'attivo sttio (mi occupo; che
faremmo pari a sap) e il medio eirofAat (seguo, = sali) *. Nel
greco sarebbero naturalmente confluiti il continuatore di sap
sa-s[a]p (£-(77i-o-v) e quello di sak sa^sfajk {sakv ecc. § 19;
é-(77r-o-[xviv). La coincidenza del sanscrito lap, parlare, la-
mentare, col lat. loqu-or ( paleo-bui gar. rek-o, dico), sarà for-
tuita (cfr. lap~ana sscr. , bocca, lap pelvico e lupa lituano,
labbro; ecc.); e il sanscrito trap trdp-a-tai, confondersi, ver-
gognarsi, a cui si riconducono i sanscriti trp-rd- e trp-dla^:
inquieto, ansio, ben potrà far famiglia col latino trep-i-do-'
e col paleo-bulgarico trep-et-atij tremare (v. V Introduzione alla
morfologia s. tar [sscr. tar-alà] tra-m tra-s tra-p), come i san-
scriti tark tark-dja-ti, congetturare, versare in congetture (ri-
torcere nel pensiero) e tark-ù, fuso, ben potranno andar con-
* Nel Nàighantukakànda (III, 14) si ha sap tra i sinonimi per
laudare, glorificare (cfr. ib. 5), mentre sah vi sta fra i verbi- di
moto (II, 14). Nel Nirukta (V, 16) si dichiara sap per toccare (rag-
giungere), e così lo dichiara pur Sajana in rgv., V, 68, 4, mentre
sagkirai (perf., ma cfr. 16, 5.) è reso dallo stesso Sàjana, ib. 67, 3,
per sàgatà bhavàti (accompagnano). Cfr. Benfey, Orient u. occident, I,
596 (r^u., I, 67, 4 [8J, e 68, 2 [4J).
80 § 18. SE V' ABBIA p SANSCRITO E LATINO , = kv.
giunti col lat. torqu-eo; ma i due gruppi non si avranno a.'
confondere, comechè il greco rpsTr-w, io volgo (v. sopra), si
possa legittimamente appajare col lat. torqueo *.
L' ultimo esempio implicava anche uno de' casi in cui si è
voluto vedere p lat. = kv [qu) anteriore, il quale andrebbe
quindi, secondo nostra sentenza, eliminato, non valendo a ri-
muovercene l'affermazione di Paolo (da Festo), che trep-it va-
lesse verta (quindi fosse i^ì-k-m tal quale) e ne derivassero
trepido e trepidatio ''quia turbatione mens vertitur'. Ma come
in trep-it allato a torqu-et, cosi verrebbero a coesistere amen-
due le figure nelle seguenti tre coppie del vocabolario latino:
Ep-ona (Dea protettrice dei cavalli) ed equ-us; popina (ta-
verna) e coquina (cfr. 16, 7. 17, 8,); palumba {palumbus, pa-
lumbes; colombo selvatico) e columba **, che sono i tre mi-
gliori esempj da potersi addurre per la contrastata equazione
p lat. = kv\ ed in quei due tra di essi, che spettano a copiose
famiglie di vocaboli (equus, coquo), la figura col p non an-
drebbe già per intere serie parallele (cfr. le serie dei varj dia-
* Un esempio a prima vista seducente per la doppia figura san-
scrita (*kv k; 'kv p) è questo che il Grassmann aggiunge {Zeitschrift
3. e, IX, 20): katù-^ acuto (aspro), in ispecie del sapore, epdtu-,
acuto (anche per accorto, proprio come catus), cui starebbero ac-
canto il latino càio- e l' islandese hvat-r , acuminatus , acutus. Ma
qui insorge la particolar difficoltà della linguale ( v. Lez. VI); e patu-,
il cui proprio significato sarà : tagliente , riverrà al verbo pat ( tutte
forme seriori), fendere, che normalmente risponderebbe all'indo-irano
par-t- (v. Fonologia irana, s. v. ), nel quale c'è il senso militare del-
l'acics latino. — V. ancora V Indice ^ s. panHa e pah'., e qui più in-
nanzi: lup (lump) accanto a luh^,.
** A. palumba e columba si raccostarono il greco y-oluii-^ói;, mergo,
e il sanscrito kàdamba-, specie d'anitra o d'oca; ma fu già da altri
avvertito come "k gr. e d sscr. mal tra di loro si corrispondano. Con-
siderando, all'incontro, l'uso della voce palombaro, parrebbe che
la concordanza dei significati fra xoXujxpo; e palumba dovesse un
giorno essere stata maggiore che ora non appaja.
§ 18. SE v'abiìia p sanscrito e latino, = hv. 81
letti greci, nel § 20), ma sarebbe, ad un tempo, coesistente
all'altra, e in doppio senso sporadica, siccome quella che ap-
parirebbe solo in alcune delle famiglie di vocaboli che le pote-
vano dar luogo, e affatto limitatamente pure in queste *. Ora
non sono tali di certo le condizioni del nostro fenomeno nelle
favelle in cui non esitammo a riconoscerlo; e se, rimanendo
a' tre esempj testé allegati, consideriamo inoltre la loro qualità
specifica (voce mitologica; nome di una varietà zoologica; no-
me di una particolar cucina) propenderemo decisamente a re-
putarle voci non-romane, ma bensì straniere, e, assai proba-
bilmente, od osche od umbre. La voce per cavallo non si sarà
mantenuta genuina nel solito equus, equcstris ecc., per alterarsi
nel solo Epona, cioè In uno di que' vocaboli che anzi sogliono
offerirci peculiari caratteri di anzianità fonetica; né il latino
coqiiere coquina (*quoquere) avrà generato la forma ^topina
per mantenersi esso stesso insieme con questa e limitarla ap-
punto alla bettola, frequentata, e, per avventura, di frequente
tenuta, da stranieri. Le voci umbre ed osche per equo- e coquo-
ci mancano; ma avranno di certo suonato epo- e popò-, secondo
l'analogia delle altre favelle che con quelle paleo-italiche hanno
comune il fenomeno normale ài p = qu, vale a dire il greco
ed il britone **; e popa popina non saranno quindi più romani
* Epona starebbe isolato del tutto; popina riproduce sé stesso in
propinavi ecc., e solo gli si aggiunge popa , victimarius ecc., della
cui provenienza affermeremmo piti che mai decisamente quel che stia-
mo per affermare intorno a popina ecc.
** I paralleli greci vedemmo nel paragrafo precedente (nura. 2 e 8).
La forma britone per equus avemmo in questo {ep-\ cfr. il cornvallese
ehal e i basso-bretoni ébeul, éal, puledro); e a quoquere {coquere) il
britone risponde normalmente col cornvallese pob^az (= poaza basso-
bretone), cnoceTe , pob-vaen , pietra cotta (Borlase), o coi basso-bre-
toni: pobein,pibi, cuocere (antiquati), e pob-er, fornajo, panattiere. —
Epona compare a dirittura tra le voci galliche presso Zeuss-Dbel,
o. e, p. 65 (cfr. PiCTET, Origines indo-européennes , .1 , 346).. Il Cor-
ssen, all'incontro, senza mai avvertire alcuna delle difficoltà teoricli^
ASCOLI , Fonol. indo-it.-gr. 6
82 § 18. SE v'abbia p sanscrito e latino, = kv.
di quello che non sìeno popanum = itoTrxvov, focaccia, od i nomi
proprj Pompeius e Pompilius (17, 4.). Lupus accanto all'equi-
valente 'kuY.o^ sarebbe ancora un esempio seducente; ma tacendo
che le parti risulterebbero proprio invertite {x gr. e p lat. *),
qui si aggiunge un curioso incrociamento di varie stirpi di vo-
caboli, che scuoterebbe per sé solo ogni fede nel ragguaglio lit-
pus = l'jY.o^. Poiché, a dirne brevemente, non solo si avrebbero
i fondamenti verbali d' amendue le varietà nei sanscriti lup
lump'à-ti, findere, dirumpere, perdere, e lun^ lùnK-a-ti, evel-
lere, dove la figura col p è certamente pre-indiana (cfr. lat.
rump-i-t = sscr. lump-à-ti, e il lat. rune di runc-a runc-on-
rune-ina §'jyz,-avyi, = sscr. lunh), ma ancora ci sarebbero, dall' un
canto, vrka-s sanscrito, vehrka- zendo, vìlka-s lituano, ouXx-
albanese, Xuxo-; greco**, lupo (canis lupus), e, dall'altro, il
latino vulpes (canis vulpes), lo zendo raopi- od urupi- {gpd
urupi-s, cfr. § 15, 1, quasi: canis vulpes), per una specie del
genus eanis, e forse il sanscrito laup-dka- ***, canis aureus
(sciacallo), a tacere del gotico vulf-s, canis lupus, che potrebbe
foneticamente rispondere cosi a vrka-s come a vulpes, e del-
a cui i migliori esempj andrebbero incontro, giura e rigiura (v. p.
es. Top. cit. , a pag. 118 in n. ) che le voci da lui addotte perp lat:
da k son tutte prettamente latine, e non una di esse od osca o cel-
tica.
♦L'analogia richiederebbe: 'luquos latino (cfr. hirquus, hirqiti^
WMs), e 'lupos greco, osco ecc.
** Xuxo- : varka (vrka-, alb. ouXx-) : r rad. Xux, lat. lue-, sscr. ruR :
vark (sscr. varJl arli ruh), rapporto che non vuole esprimere se non
l'istoria fonetica d' amendue le serie; v. Studj crìtici, II, 134, e al-
l'incontro Curtius, o. c, num. 89 e pag. 644 (II, 287).
*** PoTT, Etymolog. forschung., prima ediz., II, 506, Zàhlme-
thode, 176. Per l'istoria de' significati giova considerare la serie se-
guente: sscr. laupàgaka- (masc), canis aureus, laupàgikà (fem.),
canis Vulpes; pelvi ròbas rópàh róbàh (cfr. dah = 'das daga, dieci),
Tieojiers. róbah , curdo rùvi, canis vulpes, zingarico ruv, canis lupus
(cfr. JusTi, Bundehesh, 158, Handbuch der zendsprache, 65).
§ 18. SE v'abbia p sanscrito e latino, = kv. 83
V hirpu-s od irpu-s, canis lupus, sannitico o sabino. Qualche
altro esempio, che si è voluto far concorrere in favor dell'equa-
zione controversa, contro la quale, del resto, non si potrebbe
accampare o; ^r^or^ obietto alcuno, sussistendo anzi l'analogia
favorevole di b latino = *gv e *dv (v. bos, bis ecc.), è men con-
clusivo che mai *.
Vediamo, dopo queste rassegne, quanto ci sia dato ricavare § 19.
circa le ragioni istoriche e circa l'età della combinazione fo-
netica, rappresentata da qu latino, hv gotico, t: greco, ecc.
L'elemento v si appalesa etimologico e quindi originario od
organico e non parassitico, negli esemplari che hanno per rap-
presentanti latini: queo ed equus (16, 2. 3. 17, 2.); poiché il v
dello gvi sanscrito è manifestamente identico al v radicale di
gav- (16,2.), e il v di ag-va- ecc. (16,3.) è unanimemente
riconosciuto qual elemento costitutivo della parte ascitizia y o
vogliara dire del suffisso derivatore della parola (cfr. dg-ù-,
veloce, § 1) **. Assai probabilmente ha la sua ragione etimo-
logica anche il v di una determinata parte di quelle voci prono-
minali a cui diamo per rappresentante latino il quo di quo-d ecc.
(16, 1. 17, 1.); poiché una combinazione pronominale primigenia:
* L'elenco dei pretesi p lat. da /t, è in Corssen, o. c, pag. 116-8;
e la piti gagliarda ripulsa è in Schleicher, Compendium, § 151, n. 4
(sec. ed.; cfr. Indogerman. chrestomathie , 352). — Di sp lat. allato
a sk eteroglosso, v. Vindice.
** Darebbe affatto nello scetticismo chi volesse supporre, circa
V equus latino, che qu vi rappresenti il solo k originario, con svi-
luppo anorganico, peculiarmente latino, del v, e quindi sia diverso
dallo kv {= gv sanscrito) dell' 'iqvos generatore del gr. '17:7:0?, per
modo che il vocabolo latino s' avesse a dividere equ-o-s e avesse
smarrito il v del suffisso {'equr-vo-s, cfr. suus = 'sovos e simili). Al-
l' incontro è affatto improbabile la sezione coq-uu-s , voluta dal Bopp
{Vergleich. grammatik , sec. ed., § 943), questo esempio risolvendosi
assai naturalmente in coqv-o- (coqu-u-s : coqu-it : : -sequus [pedise-
quus] : sequ-it-ur), per guisa cioè che vi si abbia il suffisso -0 = -a
orig. e non -vo = -va orig.
84 § 19. RAGIONI ISTORICHE ED ETÀ Bl qu LAT. , hv GOTICO, ECC.
kva {=*k[a]-va), sarebbe affatto conforme alle combinazioni che
si presentano, per limitarci ad esempj sanscriti, nell'arcaico
iva- {=*t[a]-va), taluno, o in sva- {^*s[a]va-), sé, suo, de' quali
più avremo a dire neW Introduzione alla morfologia, per ora
bastandoci di aggiungere, come si abbiano affatto sinonime,
nella funzione interrogativa (dileggiativa) al principio del com-
posto, le figure sanscrite: ka-[d], kava e ku. Se all'incontro
passiamo a quella serie di esemplari che ha per rappresentanti
latini: gieatuor (16,4.17.3.), sequor (16,5.17,6.), Ymquo (16,
6. 17, 5.), coquo (16, 7. 17, 8.), qmnque (16, 8. 17, 4.), non
rinveniamo, dall' un canto, alcuna sicura traccia del «? nei ter-
mini asiani, né abbiamo, dall'altro, alcuna ragione che ci porti
ad affermare o pur ci renda inchinevoli a credere che il v sia
parte etimologica, vale a dire originalmente costitutiva della
parola. Qui il v sarà quindi una parassita, di natura non dis-
simile dal j' parassitico, che a suo luogo (§ 14) vedemmo ugual-
mente svilupparsi dietro alla tenue gutturale originaria; ma
tuttavolta sarà anch'esso un v di radice assai antica, e ba-
sterebbe a persuadercene il concordar che fanno più favelle
europee nel risalire in questi stessi esempj ad un antico kv.
Al che si aggiunge il fatto assai notevole, che essi tutti ritro-
vino, nella risposta indo-irana, non già il k intatto, né lo f ,
che è il più frequente continuatore indo-irano della tenue gut-
turale originaria nel quale i continuatori europei s'imbattano,
ma bensì il solo H, che è il più insolito {§§ 11, 12). La quale
coincidenza, rinflancata eziandio da altri ragguagli che in que-
sta stessa Lezione saranno ritoccati ed aggiunti, persuade che
qui si tratti, come 'già, nella Lezione precedente si ebbe ad ac-
cennare (p. 48-9 e 57), di k orjgìnarj che fossero intaccati sin
dall'età indo-europea, ma il fossero per modo indistinto, si
che lo sviluppo dell' affezione si venisse poi, nelle età succes-
sive, in varie guise determinando. Se quindi nel considerare la
sibilante che in favella indo-irana e in litu-slava si ha per
succedaneo della tenue gutturale originaria (p. 56), venimmo a
proporre l' esempio-tipo dak^a (dieci; onde: dahja dakza dasa
§ 19. IlAGIONI ISTOKICHE ED ETÀ DI qit LAT. , hv GOTICO, ECC. 85
daga), ora, per gli esempj a cui siamo, avremmo a raffigurarci
un esempio-tipo che si potrebbe scrivere k^atvar- (quattro),
la cui incerta parassita (quasi un u greco) riuscisse ad assu-
mere tra gl'Indo-irani, in un'epoca relativamente moderna, la
pronuncia palatina {kjatvar-, donde Uatvar-, catvar-, v. p. 44),
etra gli 'Europei, all'incontro, o almeno tra quelli i cui idiomi
qui ripercuotono un antico kv, si fissasse, di regola (v. § 21),
in pronuncia labiale od in labio-dentale {kuatvar- kvatvar-,
onde quatuor e *''bator ecc.). Di questa guisa avremmo in fa-
vella indo-irana il pieno sviluppo, ma di certo non coevo, di
amendue le affezioni (dak^a, daca; k>'atvar k'atvar), le quali si
risolverebbero in un' affezione medesima a doppio effetto ; e lo
sviluppo k'Jatvar kjatvar sarebbe venuto a coincidere collo kj
[Il da k) surto di sana pianta nel periodo indo-irano (come in
U reduplicatore di k, § 13, 9, ecc.); mentre nella sezione euro-
pea avremmo il tipo da k' a risanato per tutto altrove che in fa-
vella litu-slava, e i poco numerosi esemplari del tipo kjatvar,
all'incontro, risanati appunto in favella litu-slava (p. e. lit.
keturì; v. p. 50,57), come per diversa ragione risanano pur
nella ibernia (§18,3,ev. ■y),ea volte, come tra poco vedre-
mo, anco altrove. Gli svolgimenti europei dello hv nel quale
il V sia parassitico ( kvatvar xscraup; ; ecc. ) non differiscono, del
resto, da quelli dello kv che abbia un v etimologico (akva "ititco;).
Di un particolare atteggiamento che la parassita del tipo
kjatvar avrebbe assunto nella forma indo-irana dell' esem-
plare a cui riviene Voc-itlu-s latino (17,10), si ragiona nel
discorso intorno a s sanscrito {Lez. XIV); ma già potemmo
accorgerci, come qui pure i concordi cenni di più favelle con-
corrano a guarentirci assai antico lo kv. Dove TAsia, per con-
verso, non ci offre né kv né H, o non ci porge alcun sicuro
suo riscontro , oppur dove tra le favelle europee da sole due o
da una sola si accenni a kv {Y.jecur, vermis , vapor, quie's,
aqua, § 16, 9, 11; § 17, 9; § 18, 3), surge la probabilità che
si tratti di casi di parassita peculiari all'Europa, od anzi a
singole favelle europee. Il quale accidente non si vorrà di certo
*
8f) § 19. RAGIONI ISTOniOHE ED ETÀ DI qu LAT. , hv GOTICO, ECC.
rivocare in dubbio p. e, nel gotico hvairneins [hvairneins staps,
che rende il greco xpocvtou tot:©;, calvariae locus), quando esso
abbia ad accostarsi, come pure si dovrà, ai greci xàpx, xocpyjvov
(testa), xpavt'ov (teschio), zendo rura-, capo *, e simili; ed ha
per sé, a tacer d'altro, l'analogia abbastanza stringente di gvi
seriore da g (§26). Ma sta tuttavolta che sicuri esempj con-
simili sia difficile stabilirne pel solo greco o pel solo latino.
L' unico tra' sicuri esemplari greci per tu = *hv che non trovi
alcuna traccia di v {qu) nella risposta latina (eiroi; parola; ecc.),
trova però anch'esso il h nella risposta indo-irana ( /-eto; = sscr.
vaUas). E tra gli esempj di qu latino che ammettano compa-
razioni eteroglosse, il solo quies (16, 9.) resta privo di sicura
risposta per Vu **. Ben volle il Corssen stabilire una serie di qu
latini sviluppatisi da e nel periodo arcaico e nel classico; ma
gli esempj corsseniani o sono a dirittura incredibili, o affatto
incerti, o assai poco conclusivi. Vorrebbe, a volte, il valente
alemanno, non ben d'accordo, in questa parte, con sé mede-
simo, che la stessa stirpe pronominale quo- potesse entrare in
questa serie; e ora presenta le forme epigrafiche dell'età re-
pubblicana: quoius (= cuius) ecc. quali continuatrici dello kva
antelatino, solo asserendo che insieme corressero parallele, pur
nel latino antico, la serie col qu e quella col e, ed ora fa sen-
z'altro che quoius provenga da "^^coios ***. Ma la contrazione di
* Ai quali il Fick, o. c. , 53, assai opportunamente aggiunge: xepvos,
scodella sagrificale; ma troppo arditamente egli ricostruisce, sulla
fede della sola voce germanica, uno kvarna indo-europeo.
** Lo g asiatico, col quale qui s'incontra il qu latino, non si trova
mai rispondere, di per sé solo, ad un p (da /tu) greco, osco, ecc.
*** 0. e, 68-9, 176, 795, cfr. Kritische nachtràge zur lateinischen
formenlehre, 91. Quando poi il Corssen asserisce, nel primo de' luoghi
qui citati, che il dialetto falisco, al cui alfabeto manca il q, viene
colla sua forma cuando (= quando) a rinfiancar la sentenza che i
tipi quo- e co- corressero, sin da antichi tempi, paralleli, il lettore
resta attonito, e non sa davvero intendere l'efficacia di questo soc-
corso falisco.
§ 19. RAGIONI ISTORICHE ED KTÀ DI qil, LAT. , ÌIV GOTICO, KCO. 87
quo- in cu-, a tutti parrà naturale, ed accertata dalle molte
analogie che ognuno ha presenti e che tantosto qui si ritoccano;
laddove il trarre un quo- latino da co-, ha contro di sé il fatto
decisivo, che tutte le corrispondenti forme delle, altre favelle
paleo-italiche risalgano al tipo col v {pò- pi- = kvo- kvi-, § 17, 1),
a tacere della difficoltà generica di ammettere un espandimento
fonetico in simiglianti parole*. L'esserci poi, per passare agli
altri esempj, in-quil-inu-s allato a colere, in-col-a e col-onu-s ,
non fa di certo prova per qu da e; ed anzi Vo di col- (v. Ind,)
accenna a "kvol *kvel anteriore, al quale furono opportuna-
mente raccostati il greco -sX- (ttsXoj TisXoaat), versare abitual-
mente, muoversi, e il sanscrito Uar, muoversi, versare intorno
a qualche cosa, per guisa che sene ottenga un altro regolare
esempio per l'equazione: qu lat. = tt gr. = ^ sscr. **. Aqui-pedìo-,
allato ad acu-pedio- (11, 9,), altro non proverebbe, quando
pur provasse qualche cosa, se non che vi avesse, pur nella ri-
sposta latina àeVC dm- sanscrito, = wxJ- greco, il solito rapporto
desinenziale che è in tenui- = sscr. tanii- = gr. tscvu-, ecc. ***. Se,
inoltre, abbiamo ìiirquus allato a hircus, ed arquus allato ad
arcus, non veggo per quali criterj etimologici si debba ripu-
tare più antica la forma col e ****; e lo stesso si dica di Quirites
* Tipo originale, o almeno antelatino, senza m, risulta all'incontro
il ci latino dì ci-tra ecc., al quale risponde, da un lato, la stirpe
gotica Jii-, e, dall'altro, l'umbro gi- (ci-mo-), così che s' hanno i
normali paralleli: lat. quo- = got. hva- = umbro jso-; lat. ci- = got. hi-
= umbro gì-.
** Frohde ap. Curtius , o. e. , p. 413. Io credo sempre che in ul-
tima analisi qui risaliamo a kar', ma ora mi risulta evidente, che
sin dal periodo unitario coesistessero le due varietà kar (operare)
0 kvar (versare intorno a una data opera). V. V Introduzione alla
morfologia f s. kar e s-har.
*** Cfr. aqui-penser, ed anche aeci-piter, Pott, Wurzel-wÓrterbuch y
I, 524, e la nota che vien dopo la seguente. Quindi: aqui- per acui-.
**** Se la forma sabina per hircus ci offre -cks (fircus) e non -pos
come dovrebbe secondo analogia osca e sabellica per -quos ( -kvos )
88 § 19. RAGIONI ISTORICHE ED ETX DI qu LAT. , hv GOTICO, ECC.
Quirinus allato a Cures\ e ancora, tra gli altri, di aequo-,
che il Corssen si avventura a ripetere da un latino *aeco-, sol
perchè si rinvenga il nome proprio Aecetiai *.
paleo-italico, non se ne può ricavare argomento per la priorità di
-cus, poiché le voci sabine dei grammatici altro in realtà non sono
che idiotismi latini della Sabina; cfr. Mommsen, Unteritalische dia-
lekte, pag. 347.
* La stessa sua combinazione etimologica: aiquo- 'aie-mulo aemulo
(vedi p. e. Aussprache ecc. , sec. ed., 874) non legittimerebbe punto
l'asserto di aicc- da aiquo-, cfr. p. e. -sec-la allato a sequ-or. Sempre
nell'op. testé citata, a pag. 73, mette poi egli medesimo V hircus
dei manuscritti virgiliani {= hirquus) ad una stregua coU'ecMS degli
stessi manuscritti perequus, dove per certo nessuno vorrà dire che
la forma col e sia l'anziana. I soli esempj di qualche peso parreb-
bero: oquoltod (allato ad occulto) e quom = cum (con); ma a chi ben
guardi, pur l'importanza di questi si riduce al nulla. Il primo di
essi è un ocTra^ XsYOfxevov , che ricorre nell' ep. de hacchan. , e vera-
mente si legge: dquoUod, per quella grande imprecisione di scrit-
tura, che nell'epigrafe medesima ci dà, tra l'altre: magistratuo per
magistratud e sacanal. per bacanal. Questa stessa imprecisione non
giova di certo all'autorità del nostro unico esemplare, comechè si
debba distinguere tra gli svarioni del lapicida e quelli che si possano
attribuire allo scrittore. Per occulto- dovremmo attenderci, in quella
epigrafe: ocolto- (cfr. ib. : consoluerunt , fabolam); e il q, seguito
dalla sua perpetua appendice, starà per mero sbaglio in luogo del e.
Si trasmoda nell' apprezzare le supposte ortografie arcaiche, a tacer
della stranezza che le forme seriori abbian poi sempre a trovarsi
proprio ne' monumenti piti antichi. Siccome in qualche caso la pro-
nuncia può aver legittimamente oscillato tra quo e cu (co), e l'antica
ortografìa essersi mantenuta, al modo che avviene dovunque, pur
dopo mutatasi la pronuncia, così un qualche gw, adoperato per illu-
sione analogica in luogo del e, non deve recarci alcuna maraviglia.
Ciò va detto in ispecie per l'altro esemplare che stiamo considerando,
cioè -pev-quom (preposìz.). Nella lex repetundarum (C. I. L. , I,n. 198)
avremmo sempre gwom, così per la congiunzione (dove il quo è le-
gittimo), come per la preposizione. Pur nella lex agraria (G. I. L. ,
\^L S5 20. ALTRE VICENDE DI kv. 8^
^^^' Ma se non è facile lo statuire saldi esempj di kv che si svolga § 20.
da k per entro ai limiti di una singola favella ariana, abon-^
dano all'incontro i casi, in cui, pur nello stesso idioma, s'abbia
il mero k allato al legittimo rappresentante di uno Jw sicu-
ramente assai antico e comune a più favelle ; dove però non
è sempre facile decidere se la figura col solo k non corra pa^-
rallela all' altra , piuttosto che derivar da questa pel dileguo
del V (u) *. Ognuno cosi sa della serie jonia (Erodoto): xo-xspo-;
(sscr. ka-iarà-s), quale dei due, xo-tì, quando?, xo-To~;, quale, xo%
-ao-;, quanto?, ecc., in luogo di 7:ó-T£po-; (*kvo-tero-s) ecc. (17, 1.).
E se qui abbianio, non già un mero ka originario, che strana-
mente si distacchi dalle forme degli altri dialetti ellenici e dalle
italiche, ma bensì, come fermamente io credo, l'antico kv x/',
che smarrisce, entrando anch'esso nella generale analogia della
favella ellenica, il suo /- (v. loid., e in ispecie xx^vo? e xevso?), an-
ziché ingrossarlo al modo che avviene per lo stesso dialetto jonio
negli esempj panellenici che per quest'antica combinazione im-
parammo a conoscere (§ 17), e pur per questo esempio negli
altri dialetti di regola avviene: noi qui riusciamo a stabilire
quella stessa doppia continuazione dell'antico kv che riavremmo
I, n. 200) indifferentemente quom. Ed anche nella lex rubria (C. I. L.,
I, 205) è quom sì per congiunzione e sì per preposizione, ma insieme,
per la preposizione, anche cum (... quae ita ab eo petetur deve ea
re cum eo agetur, ei, quei eam rem petet deve ea re age^, aut iei,
quoius nomine ab eo petetur quorave eo agetur...). E finalmente
huiusque, che ricorre alcune poche volte per /iwmsce (dove si tratta
di un -Ae fuori di accento), vorrà pur essere un errore, a cui facil-
mente induceva l'analogia tipica, di cuiusque. — • Piuttosto, oltre a
quies ecc. (v. il testo), vorremmo ricordare, per /<u {=k) peculiare
al latino : squama = 'skadma ( v. Indice ).
* Affatto arbitraria è la sentenza del Corssen, 1. e., p. 118, che
coquere, torquere, allato a cocus torculum^ e a trepit popina ^ mo-
strino come e latino passi in p pel grado intermedio di qu ; locchò
equivale ad affermare che eoe- tare- sien le piU anziane tra le figure
latine. Tanto farebbe affermare clie ceus sia più genuino di equus l
00 § 20. ALTRE VICENDE DI kv.
neir idioma rumeno, dove, per esempio, allato a patru, qua-
tuor (18, 1.), ritroviamo care, qualis *, e simili; doppia con-
tinuazione che avrebbe eziandio i suoi riscontri nel duplice pro-
dotto latino di un antico dv {dvis origin. e sscr. , lat. bis e dis-)
o nel duplice prodotto indiano di un antico tv {-tvana sscr.,
V. p. 71, -ppana e -ttana in diversi dialetti pracritici). Anche
per altre famiglie di vocaboli ellenici, nelle quali predomini il ti
da kv, si può citar qualche forma, più o meno isolata, col k\
cosi, accanto al nome proprio 'Itctto; {[-k-ko:;, cavallo, 17, 2.), anche
il nome proprio "kxo?, dove si aggiunge che V Etymologicum
magnum dia'txxo? pel* sinonimo d'"[T:7ro? **, - o Tesichiano oy.xo-,
occhio, allato ad ot.-w-k-x ecc. (17, 10.)***. Appresso alle quali
forme, si possono ricordare quelle in cui a. kv o qu ecc. di altre
lingue il greco risponde con xu; vale a dir quelle, in cui manchi
la trasformazione greca in tl, non perchè siasi dileguato od as-
similato il V, ma si perchè questo elemento si sia conservato o
ridotto allo stato di vocale; così: xuew (cfr. cù-ìnulu-s) allato
a ^vi e queo (16, 2.), e xuwv xuvo; allato a gvaìi- gpan- (11, 7.),
cane****. Nel secondo de' quali esempj vediam sottratto l'antico
kua {kva) alla trasformazion greca in ''pò pò così come lo gv
* care : patru : : xoio? ecc. : Treo-crupe;.
" t TtTTOffLIVV]. tTUirtXT^ EIXTCStptOC. Oa(7UVeTai. TO l Tipo O'JO (rUtX©0)V(OV TO)V
auTwv, (|(tXouTat, IXXa, tXXof 'txxo?, (Ty)iAaivei tÒv 'trTiov. (i£ffy]u,fcKj)Tat io
ximo^.
***t(7X£[v], diceva ['i-ax-s], andrebbe, secondo il Curtius, o. c,
num. 632 (Zeitschrift s. e, III, 406; cfr. Passow e Schenkl s. v., e
PoTT, Etym. forsch., IP, 638 e 639), con e-aTt-s-xe ecc. (17, 7.), e
à-rpax-To-;, fuso, o. e, num. 633, con xpeTcto e torqueo (v, sopra).
Per oxTaXXo?, ocde, Ttéffcoj, oasa, v. V Indice.
**** Fu anche proposta la ricostruzione 'kvakra, circolo, ruota, cui si
ricondurrebbero il termine greco ed il sanscrito (xuxXo-; ìiakrd-, 12, 1.)
per xu = feua e Ji = kv. Ma è ricostruzione incerta (cfr. Curtius, o. c. ,
sec.ed.,pag. 145, 645), e preferimmo di considerar /^a/cra = '^a/cra.
Il termine anglo-sassone, col quale il Fick (o. e, p. 51, cfr. 181)
vuol rinfiancare lo 'kvakra indo-europeo {hveohl ecc., cfr. Grimm,
Deutsche grammatik^ V>, 370), accennerebbe a 'kvaukra kvukra.
§ 20. ALTRE VICENDE DI hv. 01
{qu) indo-ìrano sfugge all' alterazione in gp nel tema zendo
Cuni- (11,7.), 0 nel tema zendo gùn- die si avvicenda con gpan-.
E questo nome del cane, spoglio siccom'è, nella figura latina,
del V 0 dell' w {cani-, non "guani-, come per la integrale con-
tinuazione dell' originario gruppo iniziale avrebbe a suonare) ,
ci conduce ai casi latini di e allato a qu di antica base, quali
sarebbero: sec-t-or, ad-sec-la, soc-iu-s (v. *saski sakhi), ac-
canto a sequor (17, 6.);- in-sec-tio, in-sec-c, allato a in-se-
qu-e (17, 7.);- coc-tu-s, re-lic-tus, allato a coqu-ere , lin-
qu-ere (17, 8. 5.); torc-tu-s allato a torqu-ere;- Quiìict-iu-s ,
allato a quinque (17, 4.) *; - coi quali esempj non vanno con-
fusi quelli in cui il e succede al q per effetto di vera contra-
zione, come in ex-cutio con-cutio, allato a quatio; - o in se-
cundus allato a sequor', - per tacere di cuius = quoius, cum
= quuìn quom e simiglianti. Circa lo spegnersi dell' u di qu
tra il latino e gl'idiomi romanzi, merita ancora di essere ricor-
dato, che le combinazioni que qui possono entrare per questo
dileguo neir analogia di ce e di ci , e qu finir per questo modo in
co g romanzo {torcer e = iovqu.Qve, cfr. 18, 2. ecc.; Diez, I-, 245-6),
di che si hanno i due notevoli esempj friulani che ora seguono:
gè interrogativo, = che ital., que frane, e geri o giri, cercare,
che riviene a *querire (querire: quaerere [cherere] : : fuggire :
fugere), ed ha il suo perfetto parallelo, ma tuttora colla gut-
turale, nell'equivalente chirì, cri {jó chiere), dei dialetti la-
dini del Tirolo. Aggiungasi il siciliano cersa = quercia.
Arriviamo finalmente ad una evoluzione greca del k origi- § 21.
nario, che è per avventura la miglior conferma dello ky in cui
* ci-vi-s, quasi il 'residente', 1' 'accasato', (cfr. got. hei-va + frauja,
otxoSedTroTyj;), bene avrà la stessa radice che è in qui-e-sco (Cur-
tius, o. e, num. 45, Corssen, Aussprache ecc. , sec. ed., 385), ma
lo kv (qu) di quiesco ecc. non apparendo all' infuori del latino, qui
torna assai probabile che la piti anziana delle forme latine sia quella
col e. Dileguato od oscurato è all'incontro per fermo l'antico v (u)
nel latino in-cient- allato a cù-mulo- xuw xue'to gvi queo (16, 2. )•
02 § 21. t GRECO = kH PRE-ELLENIÒO.
facemmo impuntarsi lo hv europeo e Io kj ( k) asiano di kvatìyar
kjatvar e simiglianti (p. 85). Poiché la Grecia si mostrerebbe
ondeggiante tra il prodotto ài kv (^p, p) e quello di kj, si da
averli pure entrambi per lo stesso esemplare; e, secondo il parer
nostro, poco disforme da quello del Curtius, il prodotto di kjy
giunto a quello stadio in cui la tenue gutturale è ridotta a
tali condizioni che mal si discerne dalla tenue dentale [kg tg,
p. 44-45), ad esso si sarebbe fermato, e a poco a poco se ne sa-
rebbe dileguata l'appendice palatina o linguale, sì che rimanesse
t al posto del k originario *; dove per ora vogliamo limitarci a
richiamare l'analogia del genovese tesuie {y.Ind.), cesoie (*cae-
soriae), comechè sia esempio isolato e possa avere avuto una
special sua causa deterrainatrice. Il fatto culminante, rispetto
all'equazione t greco = k'J pre-ellenico, è questo, che i pochi
ma sicuri eserri pj, pei quali si afferma, trovino tutti, nella ri-
sposta indo-irana, lo ]i, vale a dire il prodotto della continua-
zione asiatica {kj) dello k'J indo-europeo, e non mai ^ o ^ o
un qualsiasi rappresentante indo-irano di uno kv etimologico
(§ 19). Mostreremo ora sinotticamente le evoluzioni di que-
sto k'', facendoci al primo tra i pochi esemplari ellenici a cui
alludiamo:
1. 'k-Vatvar- (quattro)
i
I . I .
kHitvar- 'kvatvar- 'kjatvar- 'hjafvar-
lat. quatuor sscr. liatvar^ zendo Rathivar"
gr. (eoi.) '^pethvor- 'TO^-^up- gr. 'kgethvar- "x^e^/'ap
Succedono due esempj , i cui riflessi asiatici già ci occorse di toc-
care nello studiar la vece indo-irana di ^ e /S (13, 10. 15, 1. ri.);
e ora ci apparrà grandemente antico il germe alteratore pel
cui effetto gì' Indo-irani hanno conseguito la variante col k:
Nel primo di questi due esempj troviam distribuiti fra greco e
Cfp. t {^) gr, = ìi pers. in Tt^-paJaT/j? ecc., Fonologia irana s. v. v.
§ 21. t GRECO = ky PRE-ELLENICO. 03
latino i due prodotti di k'-i che nel precedente esempio si mo-
stravano entrambi nel greco stesso, e sempre maggiormente
cosi si rafferma (cfr. 21, 4.) che nel periodo unitario si trat-
tasse di semplice intacco e non mai di alterazione consumata:
2. TI-;, pron. interrog. : chi, quale; neutro xt; ed enclìtico con signi-
ficazione indefinita: qualcuno, -a, qualcosa. La risposta indo-
irana è nello zendo Ri-s, quis, sscr. "ki-s di mà-ki-s = zendo ma-*
-lii-s = gr. [x-^-Tt-;, nequis (cfr. sscr. nd-ki-s, nessuno, e 13, 10.);
e i filoni italici: lat. quis, osco pi-s, ecc. (17, 1.), già furon
da noi messi a contribuzione sufficiente. Se poi nel gruppo di
pronomi, che qui si tocca, v'ha realmente, come a suo luogo
indicammo (p. 83), una serie di figure collo k-v etimologico,
queste necessariamente si sarebbero confuse con quelle in cui
lo kv , o un suo succedaneo, è la normale continuazione di kv, e
tra queste dovremo annoverare gl'italici qui-s qui-d ecc. Del
resto, al ti- del greco xi-;, ove si prescinda dal nom. sg. masc-
fem. e dal nom.-acc. sg. neutro, si vede sempre aggiunto l'ele-
mento n : xi'-v-o;, xi'-v-x, ecc., la qual combinazione va di certo
raccostata al prezioso esemplare zendico: Jlinem (acc. sg.), che
dice: (con) quale, sinonimo di keìn, zendico (e acc. sing.) esso
pure, ma della schietta stirpe interrogativa ka-*. Lo zendo
Tiinem si potrebbe dire affatto identico al greco xt'va (v. -a = -ew),
se tutte le probabilità non istessero per la sezione Jiine-m, sì
che vi si abbia un tema in a originario {ki-na~), dove all'in-
contro in xiv-x si ha un tema, il quale esce, o meglio fu ridotto
ad uscire, per consonante **. Dello tsi {tsi) zaconio = xi', che
avrebbe le apparenze di maggiore antichità, si ritocca a suq
luogo (V. Ind.).
* Occorre solo nel sedicesimo del Vendidad, ma ripetutamente:
Mnem qaretem fraharàt kineìn jaom fraharàt, [in] quale il cibo
avrà a portare, [in] quale il frutto-del-campo avrà a portare? Cfr.
la nota che segue.
** Spiegel, Grammatik der altbaktrischen sprache, § 170, par
che a dirittura ragguagli Mnem a xivoc (xtvx), e liinem sarebbe ve-
ramente il regolare accusativo sing. masc. di un tema kin-; ma nes-
94 § 21. ^ GRECO = ky PRE-ELLENICO.
3. TI, ri-voj, ripago, sodisfaccio una pena; faccio che uno paghi ,
punisco; rt-ai-;, multa, pena, vendetta;- zendo M {ki; v. la
n. a pag. 47), espiare, M-tìii-s (= Tt'-at-;), pena, ammenda;
sanscr. Tii Jtdja-tai, trarre vendetta, punire, dpa-hi-ti-s ( = à7:ó-
-Tt-tTi-?), riraeritamento.
Rimangono ancora due esemplari; della spettanza etimologica
del primo de' quali, già fu più addietro toccato (p. 66):
4. re (enei.), e; =-/^a sanscr. e zendo, -que latino; p. es.: gr. ve/'o? ts,
sscr. e z. navag-Jitty lat. novus-que. Notevole è l'uso dello -Ka
sanscrito e zendo nelle combinazioni pronominali che ora mo-
striamo: sscr. jas kag-Ha (ja- è il relativo ) , chicchessia, qua-
lunque, qui-cum-gwe, qualis-cum-^we, zendo jà-hi-Ra, quae-
Qxxni-que. Cosi la risposta gotica {-uh) tanto è, a cagion d'es.,
in kvap-uhj àìxii-que, quanto in hvaz-uh = quìs-que. Ciò ne
farà propensi a identificare il que di quis-que uter-que ecc. col
-que congiuntivo, che vedemmo, a cagion d' es. , in novus-que, co-
munque i paralleli osci ed umbri offrano pel que di uter-que ecc.
(o. -pid, u. -pei) forme con le quali non si può combinarlo senza
insieme disgiungerlo dal -qv^ congiuntivo = -1ia = -xt {-p osco ed
umbro). Cfr., nel sanscrito, -Jla (e -ka-na, z. -lii-na) insieme
suna analogia irana od indiana verrebbe ad assicurare questo tipo.
Sarebbe, all'incontro, affatto manifesto che si tratti di kina-, se
Mnem si dovesse considerare, col Justi (s. Mna), un accusat. neutro;
ma, a tacer d'altro, in un passo parallelo si ha kem (cfr. Spiegel,
o. e, § 254, cfr. Justi, s. aogista), che mal si potrebbe credere un
neutro. Ancora potrebbe stare , per la forma tematica ki-ìia- , l' en-
clìtico -Mna {ma katha-Mna, nunquam; kagvikàm-Jlina = kagvikàm-
-Mt ; gli altri esempj sono mal certi ; na enclitico è ancora in jatha-na
esimili), una di quelle appendici pronominali che ebbero la funzione
di generalizzare o di rendere indefinito il valore del vocabolo a cui
si aggiungevano (cfr. -Mt 13, 10., e -Ha 21, 4.). Può sorgere però
il dubbio se l' enclitico -Rina non sia affatto identico al sanscrito
^Rana (cfr., malgrado Pott, Et. forsch., sec. ediz. , II, 865 n. , il
gotico -hun di ni hvan-hun, nunquam, e ni ains-hun, nessuno), e qui
il discorso si complicherebbe. Vedine la Morfologia, s. v.
§ 21. t GRECO = JiV PRE-ELLENICO. 95
con Rid (13, 10.), in siffatta funzione di formare indefiniti, e
quis-quis e o^-xt; allato a quis-que. Ma si dovessero pure tener
distinti due diversi -que latini, rimarrà sempre, del resto, che
l'uso conforme di -Jia e -Jlid (= quid) indo-irani nel senso del
que di quis-que ^ sia un argomento assai valido, comechè indi-
retto, e non certo il solo, che ci persuada ad accogliere pur la
congiunzione xe m ]la = que, insieme con ti'; = -kis {his) = quis
(21,2.), nella gran famiglia pronominale: ka (kva) ki*,
5. TreW, cinque. Qui pure lo kv pre-ellenico avrebbe, come nel quat-
tro (21, 1.), doppia continuazione greca: '-panTiVa 'pankja (sscr.
panRa) *7r£VT;?£, tovts; e 'pankva 'pankva (cfr. qmnque) *xev(x)7ts
7r£[X7:s (17, 4.).
* Contro la connessione di ts ecc. con ti'? ecc. , v. Pott, nel luogo
testò citato , 865-6. - Di ot£ oxa ecc. , v. l' Indice*
LEZIONE QUARTA.
La media gutturale.
§ 22. L'indagine laboriosa, che nelle precedenti due lezioni insti-
tuimmo intorno all'istoria della gutturale tenue {k), ci sarà di
non piccolo giovamento anche per quella della gutturale me-
dia (g), alla quale ora ci volgiamo. Tanta è l'analogia tra gli
accidenti a cui vanno incontro questi due suoni, che l'avere
descritta quelli dell'uno, è gran parte della descrizione di quelli
dell'altro; e le due serie parallele di fenomeni si illustreranno
di continuo tra di loro.
La equazione unisona: g sscr. = y gv. = g lat., per la quale
affermasi la media gutturale originaria {g; cfr. § 11), si abbia
dunque imprima gli esempj che seguono:
1. Sscr. gar, gir-d-ti e gil-d-ti (tipi intensivi: ved. -gal-gal-, -gal-
-gul-), inghiottire; aga-gard-s^ inghiotti-capre (un serpente);
gala-, gola, collo; gar-gar-a, gorgo;- gr. Yocp-yxp-swv, ugola,
Ysp-ysp-o-; (=PpoY-/o;, Esichìo), gola, gorgozza, yap-yocp-i'Co), gar-
garizzare;- lat. gul-a (cfr. l'equivalente ant. alto-ted. kela,
anglo-sass. ceole, = ante-germanico 'gita) *, gur-gul-ion-. Cfr.
§ 26, l,n.
* Da gul-a = 'gal-a (cfr. lat. ul = 'al) si scostano in-gluv-ies in-
-gluv-iosus , glù-tus glù-t-io, che accennano alla forma radicale 'glav
'giù, e forse rasentano il gr. yXjJiw, inghiotto, che si adduce dai lessi-
cografi; locchè, del resto, non esclude punto, che le due forme radi-
§ 22. g originario;- g sanscrito, y greco, g latino. 97
2. Sscr. gar gà-gdr-ti egà-gr-a-ti, \egUave, gà-gar-ti-s, il veglia-
re, gà-gr-vi-s, vigile (e pure: risvegliante , eccitante, v. Boeh-
TLiNGK-RoTH, s. V. *);- gv. TEP, è-Yst'p-w Ce-Yep-jo), v. Ind.)^
io sveglio; e-ysp-at-;, lo svegliare; ma con significazione in-
transitiva, come nel sanscrito: i--{ffy]-^op-x, veglio, l-Ypyi-yop-o'wv,
vegliante, l-Ysp-Tt, l-Ypvj-Yop-Tt', vigilantemente.
3. Sscr. gurù-s ( 'gara- , v. l' Ind. ) , grave ; gar-i-mdn- , guru-tà ,
gravità, dignità;- lat. grau-i-s, gravi-tat-. I riflessi greci
occorreranno piti innanzi (26, 9., e § 29).
,4. Sscr. già glà-ja-ti, provar disgusto, essere spossato, snervato,
glà-ni-, svogliatezza, spossatezza;- gr. y^«-vi-? (ocpyo'i;, iners),
yXavoi (àyp£~ot, inutiles, cfr. sscr. glà-nd-s) ^ amendue da Esi-
chio. FiCK.
5. Sscr. agm-s, fuoco; lat. igni-s', lit. ugni-s, id.
6. Sscr. àgas, scandalo, mancamento, dn-àgas-^ dn-àga- ^ scevro
di colpa;- gr. ayo?, colpa, peccato, àv-XY^'? (nomin. sscr.
dn-àgàs), scevro di colpa (v. i less. ).
7. Sscr. gingi-, nome di una pianta (rubia munjista Roxb.), gr.
YtYY''~°" (Y'TY''^» Y'YY'^'°"*')» gingidio; lit. zingini-s^ calla palus-
tris (FiCK **).
8. Sscr. sthag sthdg-a-ti, coprire;- gr. cziy-w^ cuopro (v. TÌ-(y\
e tego).
Ma il g originario si trova ridotto con molta frequenza a ^' g 23.
sanscrito, compendiandosi, a così dire, in quest'unica trasfor-
cali ^ar (gal) e gr-av (glav) abbiano a far parte, in ultima analisi,
di una famiglia stessa. Assai notevole è ancora la coppia lat. gur-
gul-ion- e gurg-it- (gurges), allato a quella dell'antico al to- tedesco :
querechela [gurgula, Graif, Althochd. sprachschatz, IV, 384, 679-801
e querca [gurgula, v. GrafF, ib., 680]. Fick. - E notevole sarebbe
pur la coincidenza di significato tra l'anglo-sass. ceola (gurgustium
ap. GrafF. ib. 384, cfr. ceole nel testo) e il lat. gurgustium.
* Ma l'aor. d-gi-gar (svegliasti, svegliò), allegato dal Curtius (o.
e, n, 139), spetta al causativo'., cfr. Benfey, Vollst. skr.-gr. § 842,
Kurze skr.-gr. , § 258.
** RuHiG-MiELKE : zinginnei ( pi. ) , klapp-kraut , zvaiginnci zva-
ginnei (pi.), klapper-kraut.
Ascoli, Fonol. indo-it -gr. 7
08 § 23. g originario;- g sanscrito, y greco, g latino.
mazione della media (cfr. § 24 v. 1. f., e § 25) l'effetto quanti-
tativo che per la tenue va distintamente distribuito in due al-
terazioni diverse (§§ 11 e 12). Ne consegue, che la più solita
equazione per g originario, sia g sscr. = y gr. = r/ lat. , come
s'incomincia a vedere negli esempj che ora offriamo:
1. Sscr. gar gdr-a-ti gir-ja-li, infralire, decadere, logorarsi, in-
fracidire, invecchiare; part. pres. : gdr-ant- (nomia. gdran)^
infralito, vecchio, gir-jant-^ iuvecchiante; a-gdr-a-, a-gdrant-,
che non invecchia; gar-à, gar-ds , l'invecchiare, vecchiaja,
gar-i-mdn-, vecchiaja, decrepitezza;- gr. yep-ovT- (nomin.
yepwv; Esichio avrebbe ancora: ye'pu; = ye'pwv e yepuTai; = yépwv),
vegliardo, yepa-io'-? (v. Ind.), vecchio, ypau? (v. Jnd.), donna
vecchia; y^ipa;, vecchiaja, à-yy;'pao-i; à-yri'pocTo-; (v. Morfologia t
s, v.v. ), che non invecchia.
2. Sscr. ^«mt, e in alcuni composti: //wm-, ginocchio;- gr. yo'vu,
ginocchio, yvu-7:£T-o-? [lessicogr.], che cade (mal si r«gge) sui
ginocchi, spossato (cfr. l'avv. Tipo-/ v'j, ginocchioni, etimologica-
mente identico all'aggett. sscr. pra-gnu-, che si dice di chi abbia
i ginocchi storti ad un certo modo), yvu-;, in ginocchio;- lat.
genu, con-genu-are , geni-eulu-m geni-culu-s (la forma proto-
romanza è 'genu-sHo-, che è pur nell'antico con-genu-cl-are).
3. Sscr. gan gdn-a-ti (ved.; presso i grammatici anche ga-gan-ti
= lat. gi-g[e]n-i-t), peri', ga-gàn-a (1. e 3. sing. ), generare,
partorire, yan-i-tdr-^ generatore, genitore, gdn-i-tri, genera-
trice, genitrice , .i^aw-i-fra- , luogo natio, //aw-a-, creatura, ge-
nere, stirpe, gan-tù-, creatura, gan-ùs (gdn-as), gdn-man-,
nascita, creatura;- gr. yev-ì-xyfp yev-Z-Twp, generatore, geni-
tore, yev-E-Tetpa ( 'ycv-i-Tep-joc), genitrice, yev-s-^Xo-v yev-e'-5Xr; ,
origine, stirpe, schiatta, yev-i-at-.'; , origine, ye'v-oi;, nascita,
stirpe; cfr. §26, 7;- lat. gi-g[e]n-o, gen-ui, gen-i-tor gen-i-
-tri-c-s, -gen-a (p. e. terri-gen-a) , gen-i~men (Tertull. ), pro-
-gen-ie-s, gen-ti-, gen-us, gen-u-inu-s, gen-iu-s. Sscr. gan
d-gan-a-ta (3. sg. imperf. med.), ga-gh-di (1. e 3. sg. perf.
raed.)) esser generato o partorito, nascere, divenire, esse-
re;- gr. yi'-y(e)v-o-[jLai (aor. è-y£v-ó-u.y]v, perf. ye-yov-a), nasco,
divengo, sono; ysivoijLat (*Ysv-jo-[jLat; yói'vexat 'ycv-je-rai rispon-
derebbe a capello al gan-jd-tai, ò generato, che si ritrova in
§ 23. g oiUGiNAiiio;- /) sanscrito, y greco, y latino. 99
Panini; diversa genesi ha il '{ii't- dell' aoristo [ystv*- *Yev-Ta-] di
significazione transitiva, per esempio y-s'vocasvoi, genitori), na-
sco. Sscr. ^aw yà-ja-tai, nascere, (/à-td-, nàto, gà-ti-, na-
scita, gà-tjà-, genuino, yà in. e^ f. , discendente, pra-gà, di-
scendenza {cir. pro-gen-k-s), -gà- e -ga- (in fine di composto),
nato: p. es. api-gd-^ nato di poi (cfr. Itti-yov-o-? ) ; - gr. FA
nelle note voci del perf. di yly^joii.xi : ys.~yx-ci<jiv, fz-yx-xueM, (ye-
-ya-xetv), ecc. Nei sanscriti ^j^à-<i- e gnà/-s-, stretto parente ,
avremo, quasi sicuramente, la stessa forma radicale che ricorre
nel greco yvr^-Tto-; (cfr. sscv. yà-tjà-s), legittimo, genuino, o nel
lat. gnà-tu-s e simili (cfr. n- lat. da gn-) *.
4. Sscr. gnà gànà-ti**, conoscere, riconoscere, gnd-td-, noto, co-
nosciuto, ^^a-tór-, conoscitore, jpra-^wà, intelligenza, discer-
* Il Lessico di Pietroburgo li manderebbe volentieri , per la forma ,
Gon gnà, conoscere (23, 4.), confortandosi, circa il significato, colla
analogia del greco yvcfj-To-;, che vale insieme: noto, congiunto d'ami-
cizia, consanguineo, fratello, sorella. Ma conviene, che, pel signi-
ficato, meglio starebbero con gan. Il Pott, all'incontro (Wurzel-
wOrterb., I, 39), li colloca risolutamente sotto ynd; e il Benfey gli
verrebbe in soccorso, rispetto a gnà-s-, argomentando, come fa,
che questa voce valga: conoscente, amico {Orient u. occidenf, III,
144). Ma l'argomentazione non ò sicura; e ci mancherebbe ogni ve-
stigio del significato che avrebbero primamente dovuto avere questi
due vocaboli (di gnd-ti- s' hanno anche derivati e composti, sempre
nell'esclusiva significazione ài parente, stretto parente); e pur la loro
forma attiva non istarebbe (malgrado il nostro ^conoscente') per la
derivazione da gnd. Dà il tratto alla bilancia: gnà (femina di specie
sovrumana, 24, 12.; zendo gena gJi[e]nd-, fomina; gr. yuvv}, v. Ind.),
vano essendo lo sforzo pel quale lo stesso Lessico di Pietroburgo
vorrebbe trarre pur questa voce a gnà, conoscere. Di altre pro-
paggini del ya- di ga-n e gà, tocca la nota al § 26, 8.
** Circa l'analisi di gànà-fti] (cfr. le forme radicali zende ;ran e
za), V. V Introduzione alla morfoL, s. v. La sezione del Corssen,
Le, 437 (gàn-a-ti), è un curioso arbitrio, figlio di uno strano errore.
Suppone cioè una forma radicale sanscrita yan , che si conjughi se-
condo prima classe, allungando Va. Altro stranissimo errore com-
mette il valente alemanno nell' occasio;ie istessa, ponendo la voce
100 § 23. g originario;- (/ sanscrito, y greco, g latino.
nimento, l'orientarsi;- gr. '(i-yvoì-axM (aor. s-yvw-v; 3. sg. fut.
YVfó -Gt-vx.1 , tipo dor. yvco-dèì-Tat , = sscr. gnà-sjà-tai ) , riconosco ;
Yvto-To;, à-Yvoj-To-; (sscr. gnà-tà-s , à-gnà-ta-s), noto, ignoto
(ignorato);- iat. [gjno-sco (gnoscier, ep. de bacchanal. , 27;
V. n- Iat. e gr. da gn-, e cfr. co-gnosco ecc.), gnò-tu-s, i-gnó-
-tu-s, gnà-ru-s, i-gnà-ru-s, gnà-r-ur-is, i-gnò-ro (cfr. -^-joì-
-p-if^to, fo conoscere *).
5. Sscr. gabh gdhh-a-tai gdmbh-a-tai , acchiappare, abboccare, az-
zannare; gdmbh-ana~ ., che stritola, gdmhhàs (nomin. pi.), i denti
( al sing. : le fauci ) , gdmbh-ja- , dente di una determinata se-
zione della serie;- gr. yoV?~°"?» cavicchia (propriam. : dente),
Yoi/.cp-t'o-; (= sscr. gdmbh-ja-s)^ dente molare; yx^L^-xi ^x\t.(i^-riXxi
( pi. ) , mascelle , fauci **. [Cfr. § 24 , 12.]
6. Sscr. ag dg-a-ti^ spingere, condurre (agere), dpàga (apa+ag-a,
2. sg. imperat. , = «.■Kxys. ) , discaccia ! , ùpàgatu ( upa + ag-a-tu ,
3. sg. imperat. , .utzx-^ìxoì ) , spinga accosto ! ; ag-ird-s , rapido ,
agile; dg-ma-s (=oy-w-o-?, sentiero, solco), dg-man-, corso,
carriera, arringo, àg-i-s, gara, arringo, lotta;- gr. òcy-w,
spingo, conduco; x^-ó-^ (= sscr. ag-d-s, che spinge, che ar-
reca: apàm agdt^ delle acque apportatore, cfr. pag. 78 e 14),
sanscrita ga-gnai {ga-gné^ 1. e 3. sg. perf.) tra gli esempj di a radi-
cale passato in è. L'è {ai) di ga-gnai, come ognuno conosce (v. p. e.
Benfey, Kurze sslir.-grammat., § 217), è l'esponente della persona.
Finalmente fa a pugni col resto, od almeno è enigmatica, la divi-
sione delle voci gotiche {ka-nn ku-n-th-s) che nello stesso luogo egli
ci dà.
* Nel sanscrito, il nostro verbo dice ancora, allo stato semplice:
approvare, acconsentire-, e col prefìsso anu: approvare, concedere,
condonare, perdonare; e analogamente il gr. cu-f-yiy^oì'jy.o) : convengo,
perdono. Poca o nulla sarebbe l'efficacia del prefisso nella propag-
gine gotica, ga-kunn-ands , indulgentemente (xxxà (iuyyvwVi^)'» ® ^^ ^^~
tino i-gnosco (in + gnosco) altro conseguentemente non conterrà se
non un in 'rafFermativo', e non già 'negativo', quale ancora il vuole
lo stesso PoTT (Wurzel-wÓrterbìich , 1, 49), pur confessando assai
strano l' in privativo in un verbo primario.
** Il ravvicinamento indo-greco non può di certo andar turbato
dal gr. YXjJ-'l'o; (= jc^jx-];©'; Esichio; xaV^troj ) , ritorto, v. Ind.
§ 23. g originario;- If sanscrito, y greco, g latino. 101
duce; ày-oiv, agone, «Y-px, caccia;- lat. ay-o , ag-ili-s ^ a(j-
-mcn, amb-àg-cs, ind-àg-es.
7. Sscr. ag-ra-s, pianura, campagna, ag-r-jà-s, che si rinviene nella
pianura (sdm agrjà parvatjà vdsùnigigaitha, guadagnasti insie-
me le ricchezze del piano e le montane, rgv., X, 69, 6);- gr.
aYpo-;, campo, àypto-;, rustico (indi: selvaggio);- lat. agro-
(ager).
8. Sscr. ang ang-d-nti (3. pi.), ungere, angana-^ unzione, unguen-
to;- lat. ung-o ed ungu-o (v. §26), ungu-en ungu-en-tu-m.
9. Sscr. aùg-as^ forza vitale, gaglìardia, aug-mdn- (ra. ), forza,
aUg-as-ina- , che si addimostra robusto;- lat. aug-us-tu-s,
aug-men aug-men-tu-m , auge-o. [Cfr. vag ecc.]
L'equazione g = g risulta dal sanscrito stesso, in modo af- § 24.
fatto analogo a quello per cui vedemmo risultarne l'equazione
^ = ^(§13). Quindi vi avremo frequente il caso, che un me-
desimo complesso radicale esca per^', dinanzi a vocale od s. j ,
nel verbo, ed esca all'incontro, in qualche formazione nominale,
per (j, ancora dinanzi a vocale od -dj. Cosi (cfr. 13, 1-8.):
1. tig tdig-a-tai, essere affilato, affilare;- ved. tig-i-td (cfr. iig-
-md, p. 104), aguzzo, puntuto*.
2. tjag tjdg-a-tij abbandonare;- tjàga-s, abbandono.
3. bitag bhdg-a-tai, avere in sorte;- bftdg-a-s, sorte, fortuna,
4. hhang ba-bhdhg^a (1. e 3. sg. perf.), rompere, bhang-ana- (pe-
culiare al sscr. class.), che rompe (o qual sostant. neutro: rom-
pimento);- bhangd-s, rompimento, rottura.
5. bhug {bhug-d-ti), curvare, bhug-an-ga-, (che va tortuosamente),
serpe, -bhug-i- (vedico), propriam.: giro, indi: volta (p. es. :
ddga-bhugi-, che-ò-dieci- volte-tanto ; cfr. il lat. -plec-s di centu-
-pleoc ecc., allato Q.plic~o)\- bhaug-d-s, avvolgimento, anello
(di una serpe).
6. bhug bhung-dnti (3. pi. pres.), fruire, bhdug-ana-m, godimen-
to;- bhdug-ja-, che è da fruire **, bhdug-a-s, godimento, uso.
* tig-i-td sarebbe un normale partic. perf. pass, di 'tig.
** Annotano, che non si adoperi di cibi. Comechò si differeuzii per
r accento, bhdug-ja- manifestamente altro non ò che un partic. fut.
102 § 24. VECE SANSCRITA DI C/ K f/.
7. hhràf/ bhrà(/-a-tai , essere rovento, scintillare, risplendere (v. Vin-
dice);- bhdrff-as, splendore radioso.
8. jwj jung-ànti (3. pi. pres.), attaccare, congiungere, ^w^-ja- (ved.),
congiunto, congruo;- jugd-m, giogo, pajo.
9. rag (rang) rdg-ja-ti, colorirsi, arrossare; lasciarsi trasportare
dalla passione, sentirsi attratto;- ràga-s, colore; passione;
ranga-s, colore.
10. sarg srg-d~ti, emettere, effondere; creare;- sdrg-a-s, effluvio
(ved.; Benfey: goccia); emanazione, creazione, natura*.
pass, in cui si mantiene intatta l'antica gutturale, e perciò, in fondo,
non diverso da bhaug-jà (che è da fruire, da mangiare), che ha la
accentuazione normale e la palatina. Anzi, stando ai grammatici
(V. Benfey, Volisi, gr. , § 905, Karze gr., § 386), bhug avrebbe
a dare normalmente, al partic. fut. pass, in -ja : bhaug-jà, poiché
statuiscono che in questa formazione passi rispettivamente in k o g
lo ìi o g onde si chiudono quei verbi che annettono immediatamente
il suffisso del participio perf. pass, i-ta o -na; bhug-nd, 24, 13.). Ma
è regola che deve patire ben maggiori eccezioni che essi non registrino
(comunque ne ammettano una, che di per sé sola la dissolve tutta).
Così le forme participiali mauk-jà raik-jà vaik-jà gauh-jà saik-jà,
che si dovrebbero avere, secondo questa regola, dai verbi mufi riR
vili, guji siìi, non si sono mai vedute, che io sappia, nella realtà del
linguaggio; e probabilmente slam limitati, per -li, a pàk-ja che
ricorre insieme con pàh-ja (che é da cuocere; dove la figura col h
è, secondo i grammatici, quella che esprime la necessità assoluta),
ed a vàk-jà-[m] nell'accezione sostantiva, reliquia fonetica di cui
a suo luogo ci valemmo (13, 6.). Qualche minore scarsità di reli-
quie avremo forse, nel caso nostro, per -g. Così, oltre bhdug-ja^
ci sarebbe màrg-ja (allato a mrg-ja e al parossitono ved. mdrg-ja;
da spazzarsi), insistentemente affermato dai grammatici. Intorno a
jdug-ja (allato a jaug-ja) g jùg-ja, il secondo de' quali è pur esso
annoverato dalla grammatica fra i partic. fut. pass, e il primo già
da questi si scosterebbe pur esso per l' accento ( come del resto ve-
demmo fare anche bhdug-ja, e pure ìndrg-ja, benché veramente que-
sto si possa raccostare al tipo gdk-ja bìidg-ja), e intorno a bhàg-ja
(allato a bhdg-ja; cfr. 24, 3.), va ora consultato il lessico di Boeh-
TLINÙK e llOTH.
* Cfr. ancora: rug rauga-, vargvarga-, vig vaiga-, sang sanga-.
§ 24. VECE SANSCRITA DI (J E (J. 103
Si ha poi g per normale reduplicatore di g (cfr. 13, 9.), conse-
guendosi cosi un divario tra la consonante della sillaba radicale
e quella della reduplicativa, al quale la lingua non ha provve-
duto nel caso di & e di d, poiché forma, a cagion d'esempio,
ba-bàndh-a nel perfetto di bandh, legare, o dà-dd-mi nel pre-
sente di dà, dare. Ecco dunque alcune figure reduplicate di
verbi che incominciano per g:
11. gar^ inghiottire; perfetto (1. e 3. sg. att.): ga-gàr-a\ ma in temi
intensivi vedici, che già adducemmo (22, 1.), si ha ancora la
gutturale pur nella reduplicazione;- gam, andare; perfetto
(1. e 3. sg. att.) ga-gdm-a ga-gàm-a; tema desiderativo: gi-
-gam-is {volere andare), tema intensivo: gan-gam (ved. : gani-
-gam gani-gam ) , onde gan-gam-a- , mobile ; - gà gi~gà-ti ,
andare;- grahh (ved.), pigliare; perf. (1. e 3. sg. att.) ga-
-grdbh-a.
Notevole è che gi, vincere, offra anch'esso, nelle forme redu-
plicate, il contrasto ^ — g, mostrando cioè in esse, non più g,
ma bensì g radicale; quindi, a cagion d'esempio: gi-gài-tha,
vincesti, gi-gi-s-a-ti (desiderat.) , vuol vincere, dovechè gli altri
verbi con g iniziale seguon tutti l' analogia di gan ga-gàn-a
(23, 3.) *. Così rasentiamo il caso di M-kait-ti allato a Uàit-
-a-ti (13, 10.), nel quale è già bene innoltrata la separazione
lessicale delle due varietà; separazione che ora vedremo com-
piuta, per g allato a g, negli esemplari che seguono (cfr. 13, 10.):
12. gar, gdr-a-tai, crepitare, risuonare, invocare,- accanto a gar
gr-ni-tdi, invocare; gan (23, 3.), partorire ecc., ondo pur
gdni- gdni, femina,- accanto agnà, femina di specie sovruma-
na (V. la n. * a pag. 99); 'gam- (genit. gm-as), terra, allato
* Il caso di gi gi-gàj-a (gi~gdi-tha) gi-gi-s-a-ti ecc. , e r/i-gj-ù-a.gg. ,
vincente (cfr. l'equivalente </à/-w-), ha, sotto Ji, il suo compiuto pa-
rallelo in Ri M-kàj-a ìii-ki-s-a-ti (cfr. M ki 13, 10. e Bohtlingk-Roth
s. Ili considerare e hi stivare), colla differenza però che i grammatici
ammettono, nel caso di /«, anche la figura colle due palatine: M-Ràj-a
Mi-Ri-s-a-ti {Panini, VII, 3,. 57 e 58, ed. Boehtl. pag. 553).
104 § 24. VECE SANSCRITA DI /7 E <J.
all'equivalente 'gam- (gen. gm-as) ^ insieme colla qual coppia
vedica va sin d'ora considerata quest'altra (cfr. p. 109) : gman-
= gman- , p. e. , in prthu-gman- = pfthu-gman- , quello dall' am-
pia (TiXaTu-) via; gdmhh-a-, fauce, gamhh-d-, inghiottitore
(V. 23,5.), allato a gabli-ird- gamUh-ira-^ profondo (considerata
la profondità quasi una bocca spalancata, come piU chiaramente
si vede dai vocaboli zendi ^a/'-ra-, bocca, tsmce, gaf-ra-, pro-
fondo, che sono tra di loro non diversi [§25] e di radice af-
finissima al sscr. gahh)\ langày meretrice, allato a lunga-,
bordelliere (Yates: a lecher).
Dopo di che faremo posto al fenomeno di g-m g-r g-v in pro-
paggini di figure radicali uscenti per g, dove tanto più decisa-
mente vedremo nel g la diretta continuazione del g originario,
quanto meno schivo è il sanscrito dalle combinazioni gm gr
gv (cfr. pag. 38 e 110). Avremo cosi: tig-mà-, acuto, puntuto,
jug-mà-, pajo,.e -jug-van- *, allato a tig e jug (24, 1. 8.);
ug-rà, virulento, allato ad ug (onde aug- 23, 9.; v. vag); e
à-srg-r-an (3. pi. pret. medio-pass., ved.) nel verbo sarg (24,
10.) **. I quali esempj ne serviranno di transizione alla nor-
mal vece grammaticale di g che lascia il posto a ^, od al re-
golare succedaneo di questo [k], neWa. uscita scoperta oppure
nella immediata annessione di esplosiva, di sibilante o di n
(cfr. 13, 11.). Si osservino:
13. hhang (24, 4.), rompere, hhug (24, 5.), curvare, magg, sommer-
gersi, lagg, vergognarsi, vig, trepidare, - al part. perf. pass.:
"' Nel vedico sva-jùgva-bhis {rgv., IX, 111, 1), cogli-accompagna-
tori-a-lui-proprj (v. Benfey, Sama-veda [sa-jùgva-bhis] , pag. 193,
235 b).
** Cfr. Panini, VII, 1, 8 e 41; Benfey, Volisi, gramm., pag. 366
(n. 5), 389 (n. 2), 408 (n. 1), il quale adduce, ib. 378 (n. 9), anche
sa-srg-mahai (1. pi. perf. med.) = sa-srg-mahai (v. Gloss. al Sama-v.,
s. v.). Pajono all'incontro mancar d'ogni conferma: ag-rnan = ag-man
(23, 9.) e il suo preteso sinonimo sag-man o sjag-man {Nàighant. , II,
17, vv. 11.; Benf., Volisi, gr., § 415).
i
§ 24. i;-t ((j-th), CHE DÀ NEL sanscrito: s-t [s-th). 105
hhag-nd-, bhug-nd, ma(j-nd, lag-nà vig-nd*; jug (24,8.),
attaccare ecc.; 2. sg. im^.: j un g-dhi; partic. perf. pass.: JmA-
-td-, junc-tu-3 (V. Assimilaz.), infin.: jduk-tum, e sulla mede-
sima analogia: ak-td-, tjah-td-, bhak-td-, hhuh-td-, rah-td,
vrJi-fd, da ang, ungere (23, 8.), tjag, abbandonare (24, 2.)
bhog, avere in sorte ( 24 , 3. ) , bhug, godere ( 24 , 6.) , rang, co-
lorirsi (24, 9.), varg, escludere ecc.; - e al futuro avremo : jaw/f-
-sdi (med.), io attaccherò, ecc.; - e del nome jug-, congiunto,
collegato, dotato, il dativo-abl. plur. suonerà: jug-bhjds, il
locat. ])ì.: juk-su, il nomin. s\iìg.:juk ijug).
Ma alla vece grammaticale, ultimamente descrìtta, non si
conforma, di regola, se non nel caso di annession di sibilante
conjugativa, un limitato numero di ligure radicali, il quale,
per prodotto di g+t g+th, ci offre all'incontro: ht s + th (cfr.
pag. 40). Questo prodotto accenna a uscita radicale che suonasse
piuttosto i che non g (v. § 25), vale a dire a tale alterazione
del g originario , la quale starebbe ad esso g così a un di presso
come {; sta a ^ (§ 11), mentre lo schietto g (24, 13.) stava a g
cosi come /é a ^ (§ 12);- e la ragion grammaticale dei casi di g,
0 veramente di i, ai quali ora alludiamo, diventa, nelle com-
binazioni di cui sì tratta, del tutto analoga, ed anzi, per effetto
di regolare assimilamento, operato dal suono che sussegue, del
tutto identica a quella di g. Si osservino:
14. bharg (bhragg) bhrgg-d-ti, friggere; all' aoristo (3. sg. att. ) :
d'bhràk-sit (cfr. 13), ma al partic. perf. pass, bhrs-td-, e così
all'infinito: bhrds-tum;- marg mrg-d-nti (3. pi.), fregare,
ripulire, alla 3. sg. del pres.: màrs-ti, al partic. perf. pass.:
mrs-td\- sarg srg-d-ti, effondere ecc. (24, 10.), all' aoristo
(3. sg. att.): d-sràk-sit (cfr. 13.), ma alla seconda sing. del perf.
att.: sa-srds-tha (o sa-sarg-i-tha) , e al partic. perf. pass.: srs-
-td- (V. la nota);- jag jdg-a-ti, colere deum, sacra facere;
* Presso k non ricorre il caso analogo se non in vrk-na, che si dà
per partic. di vragJi, lacerare (cfr. vfk-a, lupo, pag. 82; e V Ind.
s.jàknd), e in ak-na, curvo, allato ad ank, curvare, il cui normale
partic, ò però ank-i-ta.
lOC § 24. ii't {g-th), che dà nel sanscrito: s-t (s-th).
alla 3. sg. del fut. ait. : jak-sjdti, ma all'infinito: jas-fwm, al
partic. perf. pass.: is-td- (v. i sscr. da ja\ e jaynd). Quindi
avremmo i rapporti che seguono:
prk-td : parli = 'park (13, 11.) : : vrk-td : vary = 'varg (24, 13.);
drs-id : darg = 'dark (p. 40) : : mrs-td : marg = *marg (24, 14.)*.
Nelle attuali condizioni del sanscrito, più adunque non si
distinguerebbe, dinanzi a vocali (o dinanzi a^', •y, m), lo ^ di
varg jug ecc., che è parallelo, nella sua vece, allo ^ [vrk-tà
Juk-tà; prk-tà), dallo g di marg ecc., che è parallelo, nella
sua vece, allo p {mrs-tà; drs-tà). Ma la differenza statistica
che intercede, nel sanscrito, fra i continuatori alterati del g
originario e quelli dell'originario k, è ben lungi dal limitarsi
ad un mancato discernimento di pronuncia. Tra l'una e l'altra
serie, occorre eziandio un'assai notevole diversità per questo,
che, nelle alterazioni della tenue, il tipo [darg) drs-t- a un di
presso si equilibri col tipo {park) prk-t-, laddove, in quelle
* Così p, come lo g di marg ecc., vengono a coincidere, nelle piti
importanti combinazioni, con s (v. Lez. XIV), poicbè nelle forme
sigmatiche del verbo, e nel partic. perf. pass., avremo /t-s per unico
prodotto di ogni g + s, di ogni g + s e di /+s, e avremo s-t per unico
prodotto di ogni g+t, dello g + t in marg ecc., e di s+t. Ora di s
avvenendo, in grammatica sanscrita, che all'uscita scoperta e dinanzi
alle esplosive iniziali degli elementi ascitizj , toltine t e th, e anche
dinanzi al s di locat. plur. , gli si sostituiscano, di regola, le esplo-
sive non aspirate del proprio ordine {d innanzi a sonore, t innanzi
a sorde e all'uscita scoperta), entra naturalmente in questa stessa
analogia pur lo g di marg ecc. (veramente Z', e z : s : : med. : ten. ;
v. anche di h sscr. neìV Indice), ed insieme l'analogia si estende,
di regola, anche a g (v. pag. 40 e 41). Quindi, a cagion d'esempio:
à-màrd 2. e 3. sg. imperf. di marg; ud-dhi (*u2+dhi) 2. sg. imperat.
di vag (ug). - Alcuni complessi radicali ancora oscillerebbero tra
l'analogia di se quella delle gutturali rispettive (sarg, srs-id d-sràh\
vjp, vit-sù e vih'sù)\ v. pag. 41 e Studj critici, II, 78-9, ed anche
la nota che segue. >
§ 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL Q ORIGINARIO. 107
della media, il tipo {marg) mrs-t- rappresenti, in confronto del
tipo {varg) vrk-t-, un'assai esigua minoranza. La quantità del
danno patito dalla media originaria ne risulta, in favella in-
diana, di gran lunga inferiore a quella che vi ha sofferto la
originaria tenue *.
Le condizioni dello zendo concordano grandemente, anche § 25.
rispetto alla continuazione alterata del g originario, con quelle
del sanscrito (cfr. § 15), comechè a prima vista paja interve-
nire, fra le due lingue, uno screzio ragguardevole, pel fatto
che lo g sanscrito ritrovi ne' riflessi zendi ora ^ e ora z. Ma le
due alterazioni zende, unite insieme, non oltrepassano in modo
sensibile i confini lessicali del g sanscrito; e, d'altra parte, negli
esemplari sanscriti sul tipo marg mrs-ià- vedemmo indizio di
uno -g indiano che si accostasse, nel suono, all'irano z {*z),
col quale ora vedremo che pure etimologicamente egli s' incontri.
Lo zendo z {= g orig,), per vero, non è a gran pezza limitato
ai casi in cui il sanscrito ci offre s-t da g-t (24, 14.), ma con-
vien considerare, da un lato, che se pure incontriamo z (vera-
mente z tra vocali) rimpetto al g sanscrito del iv^o jug juk-tà- y
troviamo tuttavolta che ugualmente si riproduca, nell'esem-
plare zendo, la vece consentanea a questo tipo (v. 25, 1. IV.);
e, dall'altro, che la pronuncia assibilata dello g indiano non si
sarà di certo limitata a quei soli esemplari in cui le combina-
* Le proporzioni, compendiosamente accennate nel testo, sarebbero
rappresentate, in approssimativo modo, dalle cifre che seguono: -
circa 50 i complessi radicali che escono per li e quindi seguono, nelle
note combinazioni (pag. 38), l'analogia di h\~ circa 40 quelli che
escono per g e quindi seguono in esse l'analogia di 5 (v. la nota che
precede);- circa 70 quelli che, uscendo per g^ seguono in quelle
combinazioni l'analogia di gr; - e solo una mezza dozzina, o poco
più, quelli che, uscendo per g, seguono in esse, non senza qualche
eccezione, l'analogia di s. E allato a sarg e a marg, che sono tra
questi, vedemmo, d'altronde, sarga (24, 10.) e màrgja (n. a p. 102),
dove non mai si avrebbe un darka allato a darg, o simili (p. 39 al
princ).
108 § 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL Q ORIGINARIO.
zioni grammaticali ci conducono a scoprirla *. Ed ecco ora,
senz'altro, alcuni saggi della corrispondenza indo-irana per gli
scadimenti del g originario:
\. \. g sscr. = li zendo: s. ^i, z. gi^ vincere; s. g^à^ z.gja^ corda
dell'arco; s. ^à-^ar- (23, 2.), z. ga-ghàr-, vegliare; s.dugaSy
z. aoganh, vigore (cfr. III.); s.jug, z. j"m^, attaccare. II. //
sscr. = z zendo: s. gnà (gànàti, 28, 9.) z. zan, riconoscere,
znà-tar- ** (= S'&QV.ghà-tdr-), riconoscitore; s. gus^ z. ^w.? ama-
re; s. gam- (v. 24, 12.), z. zem-, terra; s. gahghà^ z. zmiga-,
gamba; s. gnu- (23,2.), z. znu- **, ginocchio; a.bhag, spar-
tire, impartire (e: avere in sorte), z. òaz *** (allato a bagha-
= s. hhàgd, porzione, cfr. 24, 3. e v. IV.); s. bhràg, z. baràz ^
sfavillare, splendere; s. marg , z. marez, fregare ecc. (24, 14.);
n.jag, z.jaz, sacrificare ecc. (24, 14.); s. sarg, emettere, z. harez
(h zendo = s sscr.), mandar fuori, versare (24, 14.). III. g
sscr. che trova lo zendo oscillare tra ^ e z, ma prevalente il
secondo: s.gan^ generare ecc. (23,3.), z. zan, allato a ^ém-
* Di questo avremo a ritoccare più tardi (p. 117), e intanto non è
forse inutile qui avvertire, come si renda per^ sscr. così lo àj come lo
z delle voci straniere {gàmitra, StaixaTpov; tàgi-ha, il pers. tà'zi., 'ara-
bo'). Né sarà affatto superfluo che si aggiunga, all'orecchio italiano
non parer poi così piena, come si suole affermare (v. pag. 12), la
coincidenza del moderno g indiano col nostro g di urge ecc. La pro-
nuncia dello g così è descritta dal missionario italiano Cassiano Beli-
gatti {Alphabetum brammhanicum seu indostanum universitatis Kasi
[Kàgi, Benares], Romae 1771, pag. 27-8): 'nostro gì, et z simul
arridet haec littera, vel debet pronunciari eo fere modo, quo pronun-
ciant, qui linguam habent blesam (blaesam)'. Di /t giudica lo stesso
autore (ib., 27): 'neque haec ulli ex nostris litteris rite potest assi-
milari, sed medium habebit locum Inter e Italorum, et teha a Gallis
pronunciatum, quod usus docebit.'
** Lo i, anziché z, in znàtar- e znu- è causato dalla connessione
della nasale. Quindi il semplice z nella forma plurale zanna = genua.
*** Il Justi inferisce questa forma radicale da bazat, ma sarebbe
forse più legittimo l' inferirne bag, e a questa forma pare eziandio
che accenni bakhta (IV. e V. e la pag. preced.).
§ 25. etA. delle alterazioni asiatiche del g originario. 109
(e SI ghfejna, 24, 12. ), femina [cfr. 20, 8. n. ]; s. ar/ , con-
durre (23, 0.), ifù, procedere con rapidità, z. az, su, de' quali
verbi si è trovato esempio collo e/ ; e così la radice che è nello
z. aoffanh = sscr. dugas (v. I. e 23, 9.) è pure in fondo la stessa
che ritorna in vàza- z. = vaga- sscr., forza (v. ancora gafra-
allato a zafra- nella nota). IV. vece sanscrita: jug juk-
-td-, hhag bhak-td- (cfr. 24, 13., e vali uk-td 13, IL); vece
zenda. jug jukh-ta-, haz * bakh-ta- (cfr. I. e II. , e vali ukh-ta-
15, 2.). V. vece sanscrita: marg mrs-td-, jag is-td-, sarg
srs-td- (cfr. 24, 14., e nop nas-td-, 11, 17.); vece zenda: marez
rnars-ta-, jaz jas-ta-, harez hars-ta- (cfr. IL, e nag [= nag sscr.
11, 17.] nas-ta-)**.
* V. la n. *** alla pa^. 108.
** Vi ha qualche lieve differenza tra i limiti sanscriti e li zendi ,
entro a' quali si compie il fenomeno di g da g (cfr. la n. a pag 47);
ma a guardar da vicino i pochi esemplari divergenti , la discrepanza
si riduce a proporzioni affatto esigue. Il piti importante sarebbe:
z. ga-m gi-m ga-g = s. ga-m ga-hìih ( v. Lez. VI ) , venire , andare-
Ma , dall' un canto , la gutturale s' ha ancora sempre nello z. ga-m ,
che coesiste a ga-m, e nello z. gà {=s.gà), andare, che è di base
non diversa da quella di ga-m; e v'ha, dall'altro, che oscilli il
sanscrito stesso, in questo medesimo verbo, tra g g g, poiché, a tacer
di gam gdm-a-ti, che una raccolta sinonimica indiana pone tra i
verbi di moto, abbiamo lo gm-an- (= -gman- : prthu-gman- = -prthu-
-gman-, dall'ampia carriera), carriera (Boehtlingk-Roth, s. v.v.), e
lo -gman- di pdri-gman (cfr. Benfey, Stimav. gì. s. vv.), che scorre
intorno; dove ancora si vogliono ricordare , per la piena analogia
fonetica, i sscr. 'gam e 'gam (24, 12., cfr. 25, 1. IL), terra. Non si
tratterebbe quindi se non di una diversa estensione che in ciascuna
delle due lingue le due figure avrebbero preso; e pur dai riflessi europei
ò lecito arguire che il g di gam sia pre-irano (v. p. 127). Secondo,
tra gli esemplari divergenti, si potrebbe addurre il gruppo di vocaboli
zendi, la cui radice è identica od affinissima a quella del sscr. gam-
bhira- gahhira-, profondo, e suona, con la palatina: ga[i]ic-i-, gaf-ra-,
profondo, gàf-nu-, profondità. Ma qui pure interviene, che, dall'una
parte, spunti forse ancora la gutturale pur nello zendo (v. gaf-ja- ,
no § 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL g ORIGINARIO.
Ora, quanto è piena, pur per questa parte, la concordanza
indo-irana, e altrettanto apparisce arbitrario, pur qui, l'essere
scaduta l'antica gutturale piuttosto nell'una serie d'esemplari
che nell'altra. Le combinazioni, in cui lo g sanscrito si ag-
gruppa con altre consonanti, sono: ng, gn, {gg , ggh), gm, gj,
gr, gv, hg, rg *, e quanto a combinazioni con vocali, occor-
rono , sempre nel sanscrito : ga gu gì ed ag ug ig ; tutti i quali
appagamenti fonetici, escluso quello affatto singolare in cui en-
abisso, i)rofondità, ap. Justi), e che, dall'altra, il sanscrito stesso
ci offra la palatina, ed è in gabh^ azzannare, annichilire, ^amWia-,
gola (cfr. z. zemb, annichilire, Justi; zaf-ra- , bocca, gola), coi
quali più addietro mettemmo appunto gambhira- (24, 12.). Se, inol-
tre, lo zendo garez-ja- pur ci dia un riflesso, con palatina iniziale,
del sscr. garg^ muggire ecc., v'ha poi, nello zendo stesso, la figura
colla gutturale conservata: garez (gridare ecc.). Discordano i due
idiomi nella voce per ''midollo', che ò maggà nel sanscrito e mazga
nello zendo; ma è un caso sui generis, nel qual cioè si risale alla
consonanza composta originaria: sg (cfr. i riflessi sscr. di sg e sdh
[e sk] orig.). L'unico esempio in cui la divergenza non vedremmo in
alcun modo temperata, sarebbe ^ad zendo, chiedere, pregare, aliata
a. gad sanscrito, dire; ma la convenienza de' significati non apparisce
intiera, e la forma zenda potrebbe risalire a 'gadh.- Finalmente
meriteranno qui ancora menzione: 1.° La figura colla gutturale, ac-
canto a quella colla palatina, nella radice zenda per 'vivere' {gaj-a,
vita, accanto agi ecc., v. Introduzione alla morfologia, s. v.), dova
l'esemplare redn^lìcaio gi-gaè-sa, tu possa vivere, è un buon paral-
lelo fonetico de' sanscriti gi-gdi-tha (vincesti) ecc. che di sopra no-
tammo (103);- 2." Il participio zendo: vars-ta- (sul tipo: s. mrs-ta-,
z. mars-ta-) da varez ('vargjTepY v. Ind.), operare, a cui manca,
per quanto io posso vedere, il riscontro di un verbo primario sanscrito
(V. V Ind. s. ùrg vrg vrg-ana).
* Queste combinazioni occorron tutte in complessi radicali {gm in
gman- ecc., v. la n. preced., e hg nel verbo uhg)', gn gm gj yr gn
si ottengono eziandio per accessione di elemento ascitizio a g radi-
cale. Nessun nuovo contatto si aggiungerebbe dalla serie compiuta
dei gruppi-consonanti sanscriti in cui entri (j. Cfr. la n. *** a pag. 41.
§ 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL Q ORIGINARIO. Ili
tra 1), sono comuni pure a r; *, come si vede dagli esempj che
seeruono :
9-
anga-, membro, vanga- (24,9.);
gnà (24, 12.), ag-ni-, fuoco;
gm-as (24, 12.), tig-ma- (24, 1.);
hìiaug-ja- jaug-ja (24,6.);
gras, inghiottire, grah, pigliare ;
daga-gvin- gata-gvin-, decuplo,
centuplo ;
garriy -àndiìre, guh, nascondere,
giri- monte;
ràga {24,9.), juga (24,8.), vaiga-,
fretta;
bhang (24,4.), sang, affiggere.
gnà (23, A.),jag-na-, culto, sacri-
fìcio.
gm-as (24, 12. ), ag-man- (23,6.).
gjà, usar violenza.
grajas (ved.), pianura, distesa.
gvar, febbricitare, gval, ardere.
gan , generare , gus, amare , giv ,
vivere.
ràgan-, re, hhwja-, braccio, vi-
ga-, seme.
Manca per vero, nel sanscrito, un gì genuinamente radicale,
ove si prescinda da. gi-gt- (p. 103), che ha salvo il g per ragione
dissimilativa; poiché in giri-, monte, gir-, voce, gi-tà-, cantato,
e altrettali, in realtà si tratta, come a suo luogo vedremo, di a
che si affievolisce ad i **; della quale mancanza si potrà legitti-
mamente accagionare l'attiguità della vocal palatina (cfr. p. 42).
* Non occorre gj qual gruppo radicale (cfr. la n. preced., la n. *
a pag. 42, e il testo fra poco), eccetto il caso di gi-gì-'ù,- (p. 103, n.),
gi-gj-ùs 3. pi. perf. (vinsero) ecc., ma si forma tra radice, o nome
primario, e suffisso. Lo gv di daga-gvin- ecc., che stiam per citare,
è probabilmente radicale.
** Manca eziandio un verbo sanscrito che esca per ig; ma non ne
teniam conto, essendosi fatto, in generale, caso raro, nel sanscrito,
un verbo che. esca per g immediatamente preceduto da vocale. Pur
nello zendo non occorre mai gì in figura radicale; e solo può infe-
rirsi un *^i-^i- dalla \oc& gi-gaèsa y di sopra toccata (pag. 110 in n.),
nel quale agirebbe il principio di dissimilazione, come fa nei sscr.
gi-gi-vds- {gi-gai-tha, gi-gj-ùs), gi-gi-s-a-ti (p. 103).
112 § 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL g ORIGINARIO.
Ma Vi, ad Ogni modo, più non avrebbe esercitato quest'in-
fluenza nel periodo in cui s'ebbe giri da *gari, e simiglianti *,
a tacer che sempre si tollerano hhaug-ja- e simili; e restan
poi le altre congiunture fonetiche, in cui appare lo g, senza
che si possa discernere in esse alcuna spinta alterativa, o, per
dir meglio, alcuna particolar causa dello infiltrarsi dell' ele-
mento alteratore (v. p. 118). Quanto più adunque rimane eslege
la estensione del fenomeno, e tanto più chiaro si addimostra,
dal concordar che in essa fanno la favella degl'Irani e quella
degli Indi, come gli scadimenti, che nel sanscrito vediamo sof-
ferti dall'originario g, sien pre-indiani, ossia risalgano all'età
indo-irana (cfr. p. 48).
Non v'ha, all'incontro, nel gruppo italico, nel greco, nel
celtico, nel germanico, alcuna alterazione del g originario, la
qual risulti omogenea alle alterazioni indo-irane, e insieme si
addimostri risalire a periodo pro-etnico^*. Così, ben vi sono
coincidenze continue tra^ e z indo-irani, dall'una parte, e ^ e ^
de' dialetti italiani, dall'altra, questi e quelli da ^ originario,
come si può vedere dagli esempj che seguono: z. zan-tu- (= s.
gan-tù-), consorzio; z. zanv-a, nomin.-accus. duale di zfejnu-,
s.gdnu-, ginocchio; z. erezata-, s. r agata- {v. Ind.), argento,
allato a tali continuazioni odierne de' temi latini gen-ti-, genu-
-clo-, argento, quali sarebbero il romano gente e il veneziano
zente, il romano gino-cchio e il veneziano zeno-óo od il friulano
* È in generale assai notevole, che gli affievoliraenti palatini delle
gutturali originarie, così frequenti nel periodo indo-irano, piii affatto
non avvengano nel periodo indiano. Cfr. Studj critici, II, sec. sag-
gio ind., n. 3; e v. , per l'Irania, la Fonologia irana, s. li (e), g ,
e f = 7f.
** Esempj celtici e germanici per la continuazione di g originario,
mantenutosi g o fattosi g {z) indo-irano, sarebbero, dall' irl. ant. :
gair, voce (24, 12. e p. 14 in f.), e la radice gné, conoscere (23, 4.);
e dal gotico (cfr. p. 63): kaur-s, grave (22, 3.), akra^ campo (23, 7.).
Cfr. la n. a pag. 50.
§ 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL Q ORIGINARIO. 113
nò-li, il toscano argento e il veneziano arzento *. Ma queste
,ii(>ì^azioni romanze sono esclusivamente promosse dall' <? che
sussegue a g (cfr. p. 49); e quindi non sussiste continuità iste-
rica tra di esse e le indo-irane. Ben si potranno avere, in alcuni
!isi particolari (§ 26), alterazioni europee ed asiatiche, pur del-
i oi'iginario g, le quali stieno in connessione genealogica tra
di loro; ma saranno prodotti fra di loro affatto disformi di una
indistinta affezione primeva (cfr. p. 48-9 e 128). L'indo-irano g
{z . z), da ^, riman sempre una risultanza fonetica di età poste-
riore a quella in cui ancora vìvevano insieme uniti il gruppo
italico, l'ellenico, il celtico, il germanico, e la sezione asiatica
della favella ariana.
Resta d'interrogare il gruppo litu-slavo (cfr. p. 51-7), e qui
il discorso potrà alquanto complicarsi, ma non sarà inutilmente.
Abbiamo, cioè, anche per la media gutturale, una serie di
esempj, in cui alla alterazione indo-irana {g, z) risponde in
favella litu-slava una alterazione affatto congenere {z lit. , i
si. **), senza che pure in questa favella possa vedersi alcuna
special causa dell' aflfezione subita dal suono originario. Dalla
qual serie offeriamo :
Sanscrito e zendo. Lituano e' antico bulgaro.
' 2. s.gnà{23, 4.), z. zan, rico- I. it«-óit , sapere , h.zna-ti, couo-
noscere. scere,
s. a^a-, capro, a^a/cà, capre t- \. ozy-s (*oz-ja-s), capro, ozka,
ta. capra.
* I fati estremi di gè latino ne' vernacoli italiani son questi : che
possa ancora riflettersi per ghe sardo ( arghentare , inargentare , jpiàn-
ghere, piangere; ghe sardo si ebbe del resto anche da gè romanzo),
e che i^er je ji si riduca a solo i (ital. ariento, friul, arint; 'gente
'jente, friul, int). Analogamente: regina 'rejina^ reina, intorno al
qual vocabolo italiano il Curtius, o. e, sec. ed., 513 (II, 156),
prende abbaglio.
z lit. 0 ir si. : ^ orig. : : s lit. e a si. : k orig. ( p. 51 ).
Ascoli, Fono!, indo-il.-gr. 8
**
114 § 25. btX delle alterazioni asiatiche del g originario
Sanscrito e zeado.
s. agina-m , pelle.
s. bhùrga-s, specie di betulla.
s. marg, z. marez (lat. mulg-
-eo ) , fregare ecc.
s. rug, frangere.
Lituano e antico bulgaro.
b. asno, j-aznoj-azino, id. (Fick).
1. berza-s, russo bereza, betulla
(LOTTNER).
1. mélz-u, b. mlùz-o, mungo.
1. lauz'U (rad. luz), rompo*.
E v'ha qui pure la serie in cui il litu-slavo e l'indo-ìrano si
mostrino all'incontro concordi in ciò, che amendue conservino
intatta la gutturale primitiva. Così negli esemplari seguenti:
Sanscrito e zendo.
3. s.gnà (24, 12.; 25, 1. III.).
s.giri-, z. gairi-, monte.
s. agni-s m. , fuoco,
s. ahgàra-s , carbone.
s.juga-, giogo (cfr. 24, 8.).
Lituano e antico bulgaro.
antico prusso : ganna,genna **, fe-
mina.
b. gora , monte ***.
1. ugnì-s ( f. ) , b. ogni ( m. ) , fuoco.
1. anglì-s (f.), b. ogli^ polacco
w-egiel (m.) id. ****.
b. igo , id.
* Qui il Fick, o. e, p. 156, attingendo probabilmente dal Nes-
SELMANN che io non ho alla mano, dà : luziX, rompo (sarà l'intran-
sitivo lùzau^ luziau, di Schleicher e Ruhig-Mielcke ) , e la note voi
figura colla gutturale: lug-na-s (= sscr. rug-na-s), pieghevole. Cfr.
pag. 117.
** Potrebbe però questo esempio doversi piuttosto contrapporre
alla forma indo-irana col ^ (v. i luoghi citati nel testo), e quindi
appartenere piuttosto al n. 4; cfr. la n. * a p. 128. Lo z del corri-
spondente vocabolo slavo: zena, è alterazione seriore, peculiarmente
slava, causata dall' e. Analogamente suona ziv-, in causa dell'i, la
radice slava per 'vivere', che nel lituano è gyv- {=> 3scr. giv).
*** 11 Fick, o. c, p. 243, opportunamente qui richiamali lituano
gire, bosco. Cfr. lo spagnuolo monte, monte, boscagha.
•*** La forma polacca ha un to protetico, come è ancora, a cagion
d'esempio, nel polacco ic-àz Cang[i]; gen. to-eza), serpente, = lit.
angi-s.
§ 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE ÈEL g ORIGINARIO. 115
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
s.nag-na-, nudo. 1. nog-a-s, polacco: nagi, id. *.
s.bhaga-, signore (protetto- h. bogù, dio.
re), z. bagha-, dìo.
s. sthag, coprire. 1. steg-iu, cuopro un tetto.
Di sicuri casi, in cui i due gruppi divergano, perchè il g ori-
ginario resti intatto nell'indo-irano e si alteri nel litu-slavo ,
mal sapremmo addurne; e pur l'oscillazione litu-slava tra g e z
si ridurrebbe a proporzioni quasi impercettibili**. All'incontro
* La voce lituana è presso lo Schleicher: nuga-^ la qual pro-
nuncia accennerebbe a 'nanga\ cfr. la n. *** a pag. 53.
** Il Bopp metteva il lituano zémè, e lo slavo kemlja, terra, col
sanscrito gam- (v. 24, 12.), accanto al quale vedemmo però gam-
(= z. zem-), e vanno ancora considerate altre figure, a cui, più legit-
timamente che non a gam-, il termine litu-slavo si rappicca. Il lit.
zanda-s, mascella, era ancora ricondotto, dal Bopp medesimo, al san-
scrito ganda-, guancia; ma si aggiunge il sscr. gauda- (v. V Ind.),
mento (ricordato dal Fick, o. c, p. 56), che meglio quadra pel signi-
ficato. Lo zad- lituano di zad-a-s, discorso, ecc., allato al sanscrito
gad, proferire, discorrere, ci porta alla oscillazione litu-slava, andando
con questa radice sanscrita il paleo-bulg. gad-anije, vaticinio, enigma
(cfr. il polacco gad-ka, sentenza, enigma), il polacco gad-ac, par-
lare; ecc. Per la quale oscillazione avremmo ancora il lit. gémbè ,
uncino di legno alla parete (Schleicher), che riviene a 'gemò-ja- (f. ),
e quindi potrebbe andare con yoix'^-to- ecc. (23, 5.), cosi che avesse
primamente detto: dente (Pick), allato al paleo-bulgar. z5bù , dente;
dove si vorrà ricordare 1' oscillazione asiatica nel gruppo a cui spetta
la voce parallela del sanscrito (23, 12., 25, 1. III). All'incontro, non
entran punto nella oscillazione di cui si discorre, i casi paleo-bul-
garici sulla stampa di lùg-ati (mentiri) allato a. lùza (mendacium)»
dove z è prodotto normale e seriore di g+j ('lug-ja); o simili a bozi
(norain. plur.) allato a bogù (nomin. sing.; dio, 25, 3.), dove -zi è
normale trasformazione slava di 'gi (cfr. la n. ** alla pagina pre-
cedente).
110 § 25- ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE PEL y ORIGINARIO.
è rilevante la serie che offre g litu-slavo rim.petto a g {z) indo-
irano, Ne prendiamo :
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
4. s.f/jà, z.f/ja, corda dell' arco. 1. gija, filo *.
s.givy vivere, giva-s^ vivo. 1. gyva-s, vìvo ^ gyvatà,)\ìi'à.'., ecc.
s.^t^, spingersi, spingere. 1. ^wi-jw, spingo, caccio**.
s.aujas, vigore; ecc. (23,9., 1. dug-u, cvesco,augìnu (gen. aug-
cfr. 24, ad 13.). -men-s), virgulto.
s. rgù-s, z. eresu-s, diritto (ag- 1. lygù-s, che va pari, piano, giu-
gett.). sto.
s.sag sang, affiggere. 1. seg-iù, affibbio, allaccio,
s. sp/mr 7, tuonare. 1. sprag-cti, crepitare (del legno
nel fuoco) ***.
I quali esempj affluiscono bensì in copia notevolmente maggiore
che non faccian quelli di k litu-slavo rimpetto a p indo-irano
(pag. 53-4); ma da ciò già non consegue che la special concor-
danza tra la favella indo-irana e la litu-slava sia minore per
la media gutturale originaria di quello che sia per la tenue.
Anzi, a ben guardare, sarà piuttosto il contrario. Poiché, nello
scrutare lo g sanscrito (zendo g Q z) alla uscita di complessi ra-
* Questo esempio, che potrebbe avere, come tantosto vedremo, una
speciale importanza, è ancora mal saldo, per la scarsa congruenza
dei significati. Il Fick, o. c. , p. 61, ben gli fa dire: filo, cordone;
ma temo che c'entri quel po' d'arbitrio che assai di frequente il va-
loroso alemanno si permette. In Ruhig-Mielcke (da cui prendo la
forma gija, che è contratta nel gije dello Schleicher) il nostro vo-
cabolo ò tradotto per faden im wùrken. Cfr. Pott, Wurzel-wurter-
buch, I, 61, 380, 752, alla cui ricca messe potrebbe aggiungersi il
gallese giau (au nota del pi.), nervi.
** Cfr. Pott, ib., num. 244, 245 (dove alla serie lettona ò da ag-
giungere la lituana dal gloss. di Schleicher p. 270), 248. Fick, o. c. ,
p. 201. Il secondo trascura l'i, che ha la sua importanza; ma il con-
fronto pure starà.
*** V. ancora l'esemplare citato a pag. 124-5 in n.
§ 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL g ORIGINARIO. IIT
dicali, noi venimmo ad avvertire, come solo il raro tipo marg
mrs-tà-, ed esso pure non interamente, si mostri analogo al
tipo clarg drs-ià- , siccome quello che oontiene tal g da. g , che
possa stare a paro dello f da k; laddove all'incontro il tipo
jug juk-tà- è nell'analogia di park prk-td-, equivale cioè in
grado a. h da. k (p. 106 e seg.). Nel caso di g {z) propriamente
mediano, o d'iniziale, ci mancherebbe ogni sicuro criterio indo-
irano per distinguere lo g {z), che sia parallelo a {?, da quello
che il sia a ìi; ma già avremmo, senz'altro, ogni diritto di
presumere, che le due varietà indo-irane (le quali potrebbersi
indicare per z e g) sussistessero pure in queste situazioni, al
pari di e e fé, cosi come, sempre al pari di f? e fé, sussiste-
vano in quella, nella quale slam riusciti a scoprirle. Ora noi
vedemmo (15,4.) come il litii-slavo risponda per k (o suo suc-
cedaneo) all'indo-irano fé; e cosi, in giusta analogia, avrebbe
intanto a rispondere per g allo (/ {z) indo-irano del tipo Jwr?
juk-tà-. Gli ultimi quattro esempj che avemmo per g lituano
rimpetto a g sanscrito {aug-as ecc.), ed altri consimili, vanno
quindi certamente sceverati, siccome spettanti a quella categoria
in cui le attenenze dello g {z) indo-irano col g originario non
son diverse da quelle dello fé indo-irano coli' originario k; e dì
certo non è accidente fortuito se mentre a marg mrs-tà- il
litu-slavo risponde con melz- [mlù'z-; 25, 2.), a sag sak-tà-,
all'incontro (25, 4,), risponde con seg- *. La favella litu-slava,
insieme colle altre europee, ci gioverà inoltre a scernere altri
casi, d'indole particolare, in cui lo ^ indo-irano è ancora pa-
rallelo a fé (e non a p); vogliam dir quelli, che tantosto forme-
ranno il soggetto del nostro discorso (§ 2G), e ci porteranno a
stabilire uno g'J del periodo unitario, parallelo allo /^^ dell'età
medesima, del quale a suo luogo facemmo parola (p. 84-5.); che
di certo non sarà fortuito caso se in gyv-, dove appunto sì tratta
di questo g'J {*gv lat. , p gr.), il lituano risponde col netto g.
come col netto k rispondeva allo fé'-' [qv lat., ti eoi.) di *k>at'oar
* Contravverrebbe, ma solo in parte, l'esemplare Zw^ = rMf/( 25, 2.) .
118 § 25. ETÀ DELLE ALTERAZIONI ASIATICHE DEL ^ ORIGINARIO.
(k'atvar-) ecc. Dal continuatore sibilante litu-slavo del g ori-
ginario potrà quindi venirci ajuto, se ben vediamo, nell'opera di
scernere tra Vantico continuatore assihilato [z) e Xantico con-
tinuatore palatino {g), indo-iraui amendue, dello stesso g ori-
ginario, i quali dovettero andarsene dipoi tra di loro confusi.
Ma noi dobbiamo astenerci da ulteriori considerazioni intorno
ai continuatori litu-slavi, le quali di troppo ci porterebbero al
di là de' limiti che in questo luogo ci sono segnati; e solo dob-
biam dire conchiudendo, che per la dichiarazione cronologica
dalla special somiglianza tra l'indo-irano e il litu-slavo, an-
drebbe naturalmente ripetuto, in ordine alla media gutturale,
il ragionamento stesso che a suo luogo facemmo rispetto alla
tenue (p. 56-7). E così tra l'altre porremmo, nel periodo uni-
tario, il tipo *marg^a-ti (soffrega, munge), onde margja-,
marza-, marza-, parallelo al tipo *dak^a- (dieci), onde dakja-,
dasa-, daga-. Locchè, finalmente, involge insieme la question
fisiologica del come la media gutturale originaria passi in g od
in z (i), già essendo implicito, nel rapporto testé enunciato,
che questi alteramenti si abbiano per noi a ripetere dallo svi-
luppo anorganico di uno j, vale a dire da quella affezione o da
({WQWdi. /parassita medesima, di cui tenemmo discorso nel trattar
della tenue originaria. Ed è bello vedere come pur qui ci ajuti
l'analogia di quegli stessi idiomi romanzi ai quali ricorremmo
nello studiar le trasformazioni di essa tenue; quindi il latino
o r italiano gallina sarà ancora gaglina nel grisone di Sur-
selva, ma nell'engadinese scrivono gial e gialina, e il ladino
di Gardena ha gal e galina, come ha longa e terga per longa
e larga, e il friulano ugualmente: gal galine, liinge {lunga);
e cosi nel lorenese (Ban de la Roche): galìe (djalie), piccolo
gallo, e finalmente, nel francese, collo z {z : *g : : s : *c): ge-
line, gelinotte, il cui mascolino : jiaw {*^jal = zal,*gal) sempre
è ancora vivo nel Berry *. V'hanno eziandio particolari ana-
logie elleniche, delle quali ritocchiamo in appresso (§ 29).
Cfr. § 14, 4., e la n. a pag. 44.
§ 26. gv SI RIDUCE A. p GRECO, h, V ITALICO. 119
Ora passeremo al parallelo di media per quella combinazione § 26.
che nella sfera della tenue ci era rappresentata da qit latino,
hv gotico, TI greco, ecc. (§§ 10-20); e se per la combinazione,
in cui entrava la tenue originaria {kv), la evidenza del feno-
meno ripetevasi in ispecie dalla voce latina e dalla germanica,
e prevalentemente dalla prima, ora, all'incontro, nel parallelo
di media, la voce germanica terrà essa quasi esclusivamente
il primato. Rassegneremo imprima, nell'ordine migliore che per
noi si potrà, gli esempj che più sicuramente si lascino qui ad-
durre, e poi ne considereremo più partitamente le ragioni fone-
tiche ed istoriche.
1. Sscr. giv //iv-a-ti, vìvere *, giv-d-s, vivo, vita, giv-ita-m, yiv-
-ja-m, ìjiv-àtu-s^ gw-aiha-s (il quarto tuttora senza esempj),
vita ; - gotico qviv-s ( tema qviv-a- = ante-gerraan. gviv-a~ ,
V. p. 63-4), vivo;- gr. pio-? (*8i^o-), ^i'oto-; (*pt/'-oTo-),
vita;- lat. viv-ere, viv-u-s. Questo esemplare si ritocca
piti tardi (p. 130-1, in n.), per l'uscita del suo radicale **.
* Curiosa coincidenza è quella del sscr. giva (2. sg. imperat.), vivi!,
detto a chi starnuta, col viva! , che s' usa nello stesso incontro in piti
contrade italiane, ed ò l'identico verbo, comechò in posizione diversa.
**,Max Muller ha preteso { Zeitschrift s. e, XV, 215-21) d'in-
firmare a dirittura l'equazione ^ gv. = g sscr., ed ha in ispecie ten-
tato di staccare pi'o? da giv-, immaginando di mandarlo col. sscr.
vdj-as, viveri, vita, cioè traendolo, insieme con questo, dalla ra-
dice vi (ch'egli traduce: andare, condurre, trascurando, non si vede
ben perchè, il significato di accostarsi al cibo, mangiare). Ma l'il-
lustre indologo mal troverà seguaci. V ha imprima , sulle generali ,
che egli non impugna p = sscr. g, ma solo p = sscr. g, laddove, a
priori , la seconda equazione è anzi meglio rinfrancata dalla analogia
della tenue, che non la prima (v. p. 84, e Pott, Wurzel-worterb.,
I, 756). E riserbando alle note successive la difesa degli altri esempj
messi in forse dal Muller, abbiamo poi, nel caso particolare di ^t'o;,
che non potrebbero, dall' un canto, esser minori le probabilità per
la sua derivazione da vi, nò maggiori, dall'altro, quelle per cui si
manda con giv ecc. Poiché tanta è la convenienza del greco fi(/'o-
120 § 26. gv SI riduce a p greco, b, v italico.
2. Sscr. yjà gi-nà-ti (part. perf. pass.: gi-td-^ gi-nd-), usar violenza,
gjà~na- (gjà + ana), oppressione, gjà-jàs-, potente, prevalente,
gja-ista- {gjà + ista), prevalentissimo, brahma-gjd-^ che oppri-
me i Bramini;- gr. ^l'a, forza, violenza, ptocoj, ^ta^o), io vio-
lento, violo; a cui si aj^^^giunge (Pott, Kuhn): pt-v-eco (cfr. sscr.
gi~na-; maEsichio, col dittongo: peivs'w), propriamente: violare *.
col celtico hiu Cbivo-; v. p. 131), il lat. vivo-, il got. qviva-, il sscr.
giva-, il lit. gyva-, vivo, ecc. (la significazione sostantiva di ^vita'
è come in pt'o-? anche nel masc. sscr. giva-s), tanta e tale ancora la
convenienza tra i greci ^(jf-ozo-i; ^i^o-t^, vita, e l'equivalente celtico
bi[v]ad (V. p. 131), gl'indiani giv-àtu- giv-atha-, e il lituano gyva-tà,
che, stando, come per tutti sta, l'equazione ^ gv.=g sscr. , .basterebbe
questo esempio solo e l' analogia di ti gr. = R sscr. per far credere fer-
mamente anche a p gr. = ^ sscr., equazione, del resto, la qual può ben
dirsi quasi implicita in ^ gr. = g sscr. La differenza di quantità fra
la vocal greca e la vocal latina ecc. non è, in questo caso, di alcun
grave momento (Curtius, Pott, e V Ind.). Passiamo, all'incontro,
all'ipotesi mtilleriana: pi'-o-; = *vi-a-s (od anzi 'vt-a-s, colla stessa
differenza per la quantità vocale), e tutto, da capo a fondo, si oscura.
Poichò: 1." si tratterebbe di forma peculiarmente greca (differirebbe
per doppia ragione dallo stesso zendo voja f. ) , quando pur manca
alla Grecia, anzi all'intiera Europa, un qualsiasi accertato riflesso
della radice vi; 2.° S panellenico, in simile congiuntura, per v ori-
ginario (^i- = vi-), è cosa affatto inaudita; diguisachè, preferendo
Pt'-o-; = 'vi-a-s a l^i/'o-; = giva-s, negheremmo un fenomeno consueto
per inventarcene uno nuovo di pianta; 3." alla stranezza morfologica
di un fit-o- (anziché 8ot-o-r, sul tipo po/'-yf yój^-o ^yr'-ó ^oj^-o ^o/'-'l
■jiXo^-o ■^Q/'-ì]), si unirebbe la singolarità fonetica dell' -oto nella
forma ^i'-oto (che dovrà pur essere formazione primaria), anziché
-£To, come avrebbe pur dovuto suonare questa parte ascitizia se ori-
ginariamente le fosse andato innanzi t od ot (ti). — Del riflesso
greco di una diversa combinazione radicale della stessa base che è
in giv, è discorso nell'ultima nota al § 29. Nel qual paragrafo ò
eziandio toccato d'altri duplici riflessi greci di ^ originario; e d'altri
ancora si tocca nel presente.
* Qui il Moller (v, la n. preced.) obiezioni dirette non accampa,
ed era difTicile escogitarne. Ma insieme col lat. vis (ch'egli pareggia
§ 20. gv SI RIDUCE A P GRECO, b, V ITÀLICO. 121'
3. Sscr. f/jdy corda delV arco, gr. ^lo-?, arco*.
al suo vàjas, viveri, vita), avrebbe a starsene, secondo lui, sotto
la radice vi, anche pt'a (violenza) allato a pt'o? (vita), ed essere il
feminino di questo, perchè primamente dica: forza del corpo. Ora,
contro pt'-a = vi-à si risolleverebbero naturalmente tutte quante le
difficoltà grammaticali che opponemmo a pt-o- = 'vi-a-, e di più si
aggiungerebbe il notevol distacco dei significati (viveri, vita; - forza,
violenza); laddove pur la congruenza dei valori è perfetta in quella
combinazione indo-greca, alla quale tutti di certo rimarremo fedeli.
Quanto alla ragion costitutiva del gr. ploc, avremo a ritenere, se pur
non si confermi l'equivalente sostantivo sscr. gjà, che vi si tratti
di un antichissimo sviluppo radicale (come appunto nel radicai san-
scrito (/jd, o nel diverso gjà del n. 3), e non di una vera e propria
derivazione nominale da r/i o da gi. Che, del resto, i due verbi che
Jiel sanscrito suonano gì (vincere) e gjà (violentare) vadano tenuti
fra di loro ben distinti, si vorrà di leggieri concedere al Miiller,
senza che per questo si turbino in alcuna parte i ravvicinamenti no-
stri. Lo zendo li distingue anche per diversa continuazione del g ori-
ginario; poiché ha gì = gi sscr. vincere, e al sscr. gjà, far violenza,
risponde all'incontro con zjà, fare ingiuria, danno, infelicemente
raccostato dal Justi al sanscrito ha, col quale non concorda he per
costituzion fonetica né per significato. (A zjàna, danno, = sscr. gjà-
na ecc., ora si aggiungerebbe, dall' OW zand-pahlavi glossary, la
forma preziosa, comechè corrotta: zjèit, che ha le apparenze di una
.terza d'imperfetto, ma veramente accenna a zjèiti = 'gjà-ti, terza di
presente oppur forma nominale.) Finalmente, nello. ^ja sanscrito, che
•varrebbe anche 'invecchiare', e quindi in gjà-jàs-> gja-ista-, i quali,
oltreché 'prevalente, prevalentissimo'', dicono 'pih vecchio, il piti vec-
,chio', confluiranno due verbi diversi, che lo zendo distingue, siccome
quello che allato allo zjà testé discorso ci offre ancora gjà (gi-nà-i-ti
neìV Old gloss., he exhausts), invecchiare.
* La pretesa forma sanscrita djà-gjà, citata anche dal Pott ( Wur-
zel-tcòrUrh., I, 61), non ha valore alcuno. È indotta da udjd- che
si trova scritto, in un luogo solo, per uìjgja- (ud-vgja), quegli-
-dall'-arco-rallentato, e, secondo il Lessico di Pietroburgo, avrebbe
a stare per ud-dja^', e contener così uno djà = gjà. Ora, questo auaq
122 § 26, gv si riduce a p greco, b, v italico.
4. Sscr. rdgas, sfera delle nebbie, oscurità, tenebra, vapore, pol-
vere;- got. riqvis (='ragvas), oscurità;- gr. "E-pepo; (v. e
protet.), l'Èrebo.
XeyojjLevov , corretto , come osserva il medesimo Lessico , dal passo pa-
rallelo di un altro libro , e scorretto ad ogni modo per so medesimo ,
non ha alcun' ombra di forza per infirmare lo gjà numerosamente
accertato in tutti i periodi della lingua; e si chiarisce, io credo, con
ciò , che r autore di questa falsa lezione avendo letto o trovato , in
manuscrìtto anteriore, ugga (uggja), che sarebbe normal figura pra-
crita per vdja^ abbia così sostituito udja, nella storta presunzione di
correggere un'ortografia vernacola. — ' Quanto è poi alla opposizione
di Max Muller (v. le note anteced.), essa qui si fa più infelice che
lùai. Il gr. pto? (arco) ò identico lo ^Ja indiano, quando si eccettui
la differenza di genere, la quale occorre, come ognun sa, in numero
infinito d'altri sicurissimi esempj. Di certo, quanto al significato,
nel greco avremmo la pars prò foto, ma è un caso di pars prò toto
che sfida ogni scetticismo, poiché il vocabolo indiano non dice già
corda in genere, ma solo: corda dell'arco; e se i nostri vecchi per
barbuta (elmetto) intendevano un soldato che portasse la barbuta,
e modernamente diciamo a dirittura bojonetta, che è solo una parte
di un'arma, per tutto intiero il fantaccino armato, non vorremo di
certo impensierirci pel traslato corda-cf-arco = arco. Quando adunque
il Muller immagina pel gr. pio'; una derivazione da qiiella radice che
è nel lessico sscr. vai (tessere, torcere), egli non solo incappa nelle
stesse difficoltà fonetiche in cui inciampava negli esempj precedenti,
ma riesce altresì, più perigliosamente che mai, a darci una mera
fizione etimologica in cambio d'un parallelo che sta tetragono e per
suoni e per valori. La equazione 8 gr. = g sscr. , per la quale seguono
altri esempj ancora, che il Muller non ha voluto o potuto considerare,
andava tanto più energicamente difesa contro di lui, quanto più è
spiacevole che la sua legittima popolarità venga a spargere dubbj
illegittimi intorno a sicuri portati della disciplina nostra. — Del
lit. gija V. § 25, 4, n.
* Questo ragguaglio, che non ammette alcun dubbio per là parte
indo-gotica, non è forse altrettanto saldo per la ellenica, e alla scarsa
certezza p\iò eziandio contribuire la qualità mitologica del termine
§ 26. gv SI RIDUCE A P GRECO, 5, V ITALICO. 123
5. Sscr. wiy, lavare, mondare (partic. perf. pass, nik-td-, v. § 24, 13,
lavato, mondato, asperso), pan-ndigana- [pad ■{■ naig-ana\, da-
-plediluvio;- gr. NIB, -/.ep-^'P- (nomin. X.epvt-^), acqua per l'ab-
luzione delle mani (cfr. /yp-vip-o-v-j^sp-vt^^-io-v), vtr-Tw (vtS + xo-,
v. />i!fL), io lavo, bagno, netto.
G. Sscr, targ tdrg-a-ti^ minacciare, oltraggiare, mettere spaven-
to; - gr. rapP-o;, terrore, spavento, TocpP-e'-w, essere atterrito,
Tappo-(7uvo-; (cfr. TapP"/] ) , atterrito, TapS-aXeo-;, che fa (ed ha)
terrore *. Kuhn.
greco. Ma le riserve, che il Curtius e il Pott, e il secpndo in ispecie,
oppongono ad "K-pepo; = ra'iyas, ragguaglio primamente proposto da
Leone Meyer, non son tali di certo, a chi ben guardi, che valgano
a dissuaderlo. Poiché, dall' un canto, le dubbiezze del Pott {Etym.
farseli., sec. ed., II, 393) e del Curtius (o. e, sec, ed., 421 [II, 66] )
provengono da ciò solo, che "EpePo? possa andare con Ipscpw (io cuo-
pro), come con esso vanno opcpvyi' (oscurità) ed opoov{ (copertura; circa
Ipea-vo?, tenebroso, che il Pott insieme adduce, non si deve dimen-
ticare la forma Ipepevvo; [jpeSe^ + vo], da cui mal si può disgiungere,
e quindi altro non vi si avrebbe che una propaggine dello stesso
fEpspo?). Ora, questa sarebbe una mera possibilità etimologica, la
quale per di più importerebbe il supposto di un fenomeno affatto
anormale, qual si ò quello di p tra vocali per tp anteriore. Stanno
all'incontro, dall'altro canto, per "E-ps^o; = mr/as: la piena con-
gruenza fonetica, raffermata in sìngolar modo dalla figura germa-
nica (*gv p), la perfetta congruenza morfologica (neutro indo-ger-
mano-greco in -as originario).; e l'armonia de' significati, la quale
è per avventura maggiore che a prima vista non appaja. L'Èrebo,
che dalla Notte sorella genera l' Etere e il Giorno , è lo strato mon-
diale che sta fra la region superna (terrestre) e l'inferna, e il rdgas
indiano (cui sta allato il fem. ragdni, notte) è alla sua volta la re-
gione o le regioni dell'aere nebuloso, che sta fra la sfera terrestre
e la sfera della luce de' cieli.
* Normale risposta latina terremmo, malgrado il r, terv- torv^;
quindi si potranno qui ricondurre torv-o- e anche pro-terv-o- (cfr.
-seqv~u-s e simili); e non veggo perchè il Kuhn, e il Corssen che
lo segue, costruiscano un 'torg-vo^ per guisa che il v si debba al
suffisso.
124 § 26. r/vi si riduce a p greco, h, v italico.
7. Sscr. gàni- (allato o. gnà^ 24, 12.), donna;- got. qveni- (ant.
alto-tedesco qvena; ingl. queen; ecc.) e qvinori' moglie, don-
na;- beot. potva {'gvana, od anzi 'gvàna, eh. sscr. -gàni- =
gdni-), acc. pi.: ^ocv^xa?, di contro al solito ^uvv)', donna, moglie
(acc. pi. yuvóttxaO *; dove la solita forma non soffre la trasfor-
mazione di gv in b, per esservisi ridotto il v[a] allo stato di
u (gva gu\ cfr. p. 90-1 e v. Incl.).
8. Sscr. gam (ma pur ^am, e in ispecie nello zendo, v. p. 109 in n.)
gd-ma-ti (ved.) e gd-Mha-ti (v. Lez. VI), andare, venire, ^a-tó-,
andato. La base radicale è ga, che ritorna anche in gà (ved.:
gl-gà-ti), andare, comune al sanscrito e allo zendo. In gam gd-
mati (ved.), nell'aoristo d-gama-t ecc., si ha il m accessorio che
ritorna nel gotico qvim-an ( 1. e 3. sg. perf.: qvam = *gvama), ve-
nire, laddove nelle seguenti voci italiclie si ha per contro un n
accessorio **: osco ed umbro be-9i- (u. he-n-u-s-t^ venerit, he-n-
* Ahrens, De dialectis aeolicis, § 36.- Cfr. 23, 3. e pag. 127.
** Di più, intorno a simili combinazioni, si raccoglie dsdV Introduz.
alla morfologia y s. -ma e -na; ma qui pure giova intanto toccare
di una serie affatto analoga a quella di cui. tratta il nostro numero.
Incontrammo cioè più addietro (23, 3.): gan- e gà- (generare ecc.),
i quali stanno tra di loro nello stesso rapporto in cui nel numero
attuale sta ga-n (gya-n, 'gua-n, ve-n-io ecc.) a, gà. Ora la combina-
zione col m ascitizio, vale a dir la combinazione che nella famiglia
di verbi per ^andare ecc.' è nel gam indo-irano e nello qvam gotico,
non manca essa pure nella famiglia di verbi per ^generare ecc.',
comechè, massime nell'Asia, abbia le apparenze di una derivazione
nominale vera e propria {gà errila]). Si consideri la serie che segue:
sscr. gami- (ved.), germano, e qual sostantivo neutro: parentela;
più tardi, qual sostantivo fem. : nuora, allato a gàm-à-tar-, genero,
voce e valore a cui i paralleli irani assicurano antichità grande; zendo
gàma- {gàman- ?), parentela, -zàmiti-, il partorire, zàm-aj-a- (cosi
leggo per lo ^ràmaoja-, evidentemente scorretto, dell'OW zand-paldavi
glossary) e zàm-à-tar-, genero (cioè: lo sposo, il generatore); fra
■gì' Italo-greci: 'gam-e-ro 'gam-ro- (v. Ind., e cfr. il basso-bretone
géver = 'gemer, m brit. = u), genero, gr. ya|xo-, nozze; lituano gc-
mù gimiaù, gìmti, nascere, gymi-s, nascita, parto (trcóa-s gymi-s,
'§ 20. gv SI RIDUCE A P GRECO, 6, U ITALICO. 125
-a-r-mt, venerint, o. kùm-be-n-e-d, coavenit.), lat. ve-n-io.
Dal quale be-n ve-n italico, mal si saprebbe staccare il greco
fiat'vw, vo, che per '[ìav-jw (v. Ind.) coinciderebbe proprio con
ven-io, comechò giovi avvertire che la nasale non va nel greco
al di là del presente e dell'imperfetto *. Ad ogni modo, il px
di pat'vw spetta qui senz' alcun dubbio; e ancora vorremo notare i
seguenti riscontri indo-greci: S>i-3^t, dor. pS-^t (2. sg. imperat.
aor.), va, = sscr. ^à-/ii(epur^a-c?/4i, zeudo ga[i]-di)', e-pv)-;, dor.
e-pà-; (2. sg. aor.), andasti, = sscr. d-gà-s; ^x'-axe (2. sg. imperat.
pres.), va, = sscr. gd-RJia ('ga-ska, zendo ga-ga, v. Lez. VI), e
analogamente, nel tipo reduplicato: l-^i'-pa-axe (3. sg. imperf.);-
altre forme reduplicate sarebbero: pt-^oc-vT- (nomin. pt.Soc?), che
incede, il cui parallelo sanscrito, sull'analogia di gigàti (egli
va), avrebbe a suonare: gi-ga-t- ('gi-ga-nt~)\- e il sscr. gi~
-ga-tnù, che si muove rapidamente. [Cfr. baculo- ecc.] ,
9. Sscr. gurù-s (comparat. gdrijàs-, ecc., v. 21, 3., e cfr. p. 129,
e § 29), grave;- gr. ^apu-?, id. ; pscpu-x/ix-, gravità, a cui
potrebbe rispondere un vedico 'gurù-tàt- (v. -tàt, e cfr. 21, 3.).
10. Sscr. gàu-s, gr. poi!-;, lat. bó-s, bove (bestia bovina); nom. pi.:
sscr. gàv-as = Po/'-s; = bóv-es ; dat.-abl. pi. gdu-bhjas = bó-bus.
Ai quali esempj volendoci qui fermare, solo ad essi ancora
aggiungendo il riscontro gotico-latino : qvithr[a]- ( *gvatr ) =:
venter **, ci facciamo ora a considerarli più d'appresso, ed im-
prima per ciò che risguarda la risposta latina. La quale più
solitamente è v (*gvivo, *torgY-o-, *g ve-n-io, *g venter), ma è
il terzo figliuolo, Ruhig-Mielc.ke), gimine, genere (geschlecht), ga-
mìnti, generare, partorire. La qual serie va, ripetiamo, sotto gan
(23, 3.), e si è riservata a questo luogo sol per la congruenza mor-
fologica con gam allato a gà ecc.
* Cfr. PoTT, Etym. forschung., .sec. ediz., II, 720, Wurzelwor-
terb., I, 32-3 (cfr. 18), 255.
** V. V Indice. Il termine gotico non occorre se non nel composto
laus-qvipr-s, che-è-a-ventre-(stomaco)-vuoto , digiuno, dal quale de-
riva l'astratto feminile laus-qviprei, il digiuno. All' infuori del com-
posto si ha qvithu-s , ventre , stomaco.
120 § 26. GENESI ED ETÀ DI (JV.
b in bós bòvis (*gvos *gvovis), col quale fanno per avventura
un esempio solo: boare boere (bount; gv. fio/i', grido, pò w, io
grido, chiamo, sscr. gu [gau-gu-] far risuonare), e si aggiun-
gerebbero alcune propaggini latine dì ga {gd), andare (26, 8.),
tra cui scegliamo, come la più salda, bà-culo-, quasi 'stromento
per camminare'*. Ora, v lat, = *gv ci rappresenterebbe il caso
di vermis e simili nel parallelo di tenue (p. 69 e seg. ), mentre
b lat. = *gv sarebbe l'analogo di p osco ed umbro = "^kv (17, 1. e
segi). Dove avremmo due notevoli cose. La prima, che nel 2M-
rallelo di media non si possa facilmente vedere una compiuta
Gontinuazion romana della combinazione antica, qual di conti-
nuo si vede nel gotico, e quale era, nella tenue, il lat. qv = *kv',
posciachè il romano gv, vale a dire la combinazione di media
che equivale prosodicamente a qv, non ricorre mai iniziale, e,
qual puf sìa la sua ragione istorica, non si mantiene pur mediana
se non sia precèduta da n (o da r), come già possono mostrarci
i soli due esempj che in questo momento sia opportuno citare:
cioè ungu-o (= ung-ó) ungu-en ecc., allato al sscr. ang (23, 8.);
e sangu-en-, che mal si staccherebbe da' due temi sanscriti asrg-
(*àsarg) ed asan-, i quali si avvicendano nella declinazione, e
anch'essi dicono ''sangue' **. La seconda notevol cosa circa la
continuazione latina di *gv, è questa, che vi si abbia, assai più
* Per hoa'^''^ ecc., v. Aufrecht, Zeitschrift s. e. , I, 190-1, e Pott,
Wurzel-ioÓrterb. , I, 738-9 (Curtius, n. 642); per bà-culo- (non
bà-culo- come erroneamento statuisce il Corssen, Aussprache ecc.,
sec. ed., p. 429) ecc., v. Stu(^j critici, II, 106, Pott, Le, 17 e 31
(ma pocxuXo; [CyrìU. ap. Ducang. in Gloss.] altro pur non sarà che il
baculus latino, comechè vi si aggiunga dal moderno dialetto di Cipro
[Philistór, III, Atene, 1862, p. 436-7]: poc'xXa, y\ §ap5o;. Si' ^? xi-
vaTffovxai ot xapTrot; ^a^Xt^w, ttvaaffto tou; )ca,p7rou; Sia tvj; paxXa;; tal
quale il nostro ab-bacchiare).
** V. y Ind. - Di questo ravvicinamento, ormai antico (Bopp, Pott) ,
sembra non venuto alcun sentore al Corssen , il quale sbizzarrisco in
siugolar modo per escogitare di sana pianta un'etimologia di sanguis
(Beitràge zur lateinisch. fonnentehre , QQ).
§ 20. GENliSl ED ETÀ DI yV. 127
sicuramente che non in quella di *kv (cfr. p. 80 e seg.), il v con-
vertito in esplosiva (&), al modo del greco, dell'osco, dell' uni-*
bro, ecc. Locchè diventa ancor più degno di nota quando si ri-
corra ai paralleli celtici, nei quali vedremo, tra poco, la favella
ibernia, che non aveva comune colla hritone il fenomeno di p
da *kv (18,3.), come il latino in ciò non concordava col greco
e con l'osco e coli' umbro, farsi all'incontro partecipe anch'essa,
insieme con la hritone, di questo di b da *gv. Quanto è poi
alla ragione isterica della combinazione *gv che si continua per
V lat. = p gr. = *gv qv got., avvertiremo imprima, non aversi
alcun esempio, fra i riscontri indo-italo-greci, nel quale il ì)
risulti etimologico od organico, com'era, nel parallelo di te-
nue, del V di quegli esemplari che si continuano latinamente
per eqvus e qveo (p. 83) *. All'incontro avviene pur qui, che
il sanscrito soglia rispondere colla sua palatina (g) a questi
continuatori europei di un antico *gv; quindi: gw (1.), gja (2.),
gjd (3.), ragas (4.), nig (5.), targ (6,), gani (7,), circa l'ul-
timo de' quali esempj {gani- ecc., donna) è notevole, che lo
screzio fonetico pel quale negli idiomi europei si distingue questa
singola forma (*gvan-; pav^x, qven-i-, celt. ben) dalla solita del
verbo da cui dipende (*gan, generare; ysv-, gen-, got. kun-,
celt. gen), venga in particolar modo a coincidere con un qual-
che screzio asiano **. Nello stesso gruppo di verbi per 'andare'
{gam ecc., 8.) vedemmo spuntare, nell'Asia, lo ^'; e il solo
esempio, in cui a *gv si accennasse anche infuori del gruppo
* Si avrà all'incontro a reputare etimologico lo 'gv- che si riflette
nel sanscrito ffval (^y- : 'gv- : : gv- : *Ay-), divampare, ardere, e si
continua assai probabilmente, in favella germanica, per 'qv (colo hola
[carbone] : 'qval- : : koma : qvam ).
** Il sanscrito, cioè, risponde bensì, nelle attuali sue condizioni,
con lo p-, e in gani e in gan. Ma, dall' un canto, vedemmo ancora,
in sembianze originali, lo rjn di un sinonimo indo-irano di gani- (24,
12. 25, 1. III.), e, dall'altro, vediamo lo zeado gèni- staccarsi an-
ch'esso da zan.
128 § 26. GENESI ED ETÀ DI gv.
italo-greco, e l'Asia ci desse, per esclusiva risposta, la gut-
turale intatta, era il nome del bove (10.). Ora, a questa parti-
colar convenienza di g sscr. e *gv italo-greco-celto-gotico vien
luce e valore dal fenomeno parallelo di 'k sscr. = *kv della stessa
sezione europea (v. p. 84-5); e pur qui si tratterà di gutturale
che fosse intaccata sin dal periodo unitario, ma per modo ancora
poco distinto; si tratterà, cioè, a parlar con quella brevità che
ormai per questa parte mi si può concedere, di un tipo g^iv
(vivere; parallelo al tipo k^atvar, quattro), che dà, per un
lato, lo sviluppo gjw gw, e, per l'altro, lo sviluppo guw gvw.
E lo sviluppo indo-irano del tipo g'Hv- giv sarebbe venuto a
coincidere collo gj (^ da g) surto di sana pianta nel periodo
indo-irano, in piena analogia coi paralleli di tenue; e qui anzi
il livellamento sarebbesi esteso anche al tipo marg'" *marz-
( fregare, mungere; parallelo al tipo dak^a, daga, dieci), già
più addietro discorso, confondendosi, per gran parte, nell'Asia,,
z con g. E pure qui, finalmente, al tipo che nel periodo indo-irano
ci risultava assibilato, o proclive al sibilo {marz- da marg-"-, cfr.
pag. 118), anche la favella litu-slava, sola tra le europee, rispon-
deva con la gutturale assibilata (25, 2.), quando nel tipo g^iV;
{giv; gvw), all'incontro, la stessa favella litu-slava, sempre in
piena analogia dei paralleli di tenue, ci offrirà la gutturale
intatta {gyvas, cioè giva-s , lit. = sscr. giva-s, vivo, 25, 4. e,
p. 117 V. 1. f. *). Là dunque ove coincidono g sanscrito e *gv
* Così, a tacer del lit. gija messo a confronto del sscr. gjà (25, 4.;
gr. ptoq, 26, 3.), dove forse anche il celtico ignora lo gv>- a cui la
forma greca risale (v. la n. * a pag. 116, e cfr. pag. 131), va pur
notato, che il solo litu-slavo mostri nell'Europa: ganci e non 'gvana
nella voce per 'femina' (25, 3.), di cui fu testò riparlato. Nò il litu-
slavo partecipa di gv, dove a questa combinazione europea risponda
prevalentemente od esclusivamente il mero g indo-irano; quindi nel
lettone: gà-ju, io vo (di contro a ga- gva- del n. 8.); góws, vacca
(di contro a gò- [gau] gvo- del n. 10.). Cfr. eziandio il § 36-- Cir^'
gyvas v. ancora la n. * a pag. 130-1.
^H § 26. GÈNESI ED ETÀ DI QV. 129
^%uropeo, e massime dove si tratti di più favelle europee che ri-
flettano *gv, crederemo che il v continui una parassita, la quale
aveva messo radici sin dal periodo proto-ariano. Avremmo poi
que'casi, in cui l'appendice [v) sia comune a più gruppi europei,
0 peculiare ad uno solo, mentre l'Asia o mostri intatto il ^ o
affatto non dia alcun sicuro riscontro; e qui le presunzioni di an-
tichità verranno per essa appendice man mano scemando. Celto-
italo-greco appare lo *gv nel nome del bove (10.) *; e solo la
Grecia, all'incontro, accenna sicuramente a *gv nella voce per
'grave' (26, 9.; 21,3.)**. Concorderebbero gotico e latino in
stigqv-an (cioè stinqv-an), urtare, e -stingu-o, ma all'antichità
dell'appendice qui contrasta, a tacer d'altro, la sanità della
gutturale nella risposta greca (^Tir; v. Vlnd.). Amendue le figu-
re, cioè g e *gv, sì possono insieme riflettere nelle stesse favelle
europee; come sarebbe del gar, originario e sanscrito, inghiot-
tire, che fra i Greco-latini si continuerebbe, oltreché ne' ter-
mini colla gutturale intatta (22, 1.), in *gvar pop-ó-q, -vor-u-s
(vor-o) ecc. ***. Il latino è solo a darcele entrambe in *fruv-or
* Nella risposta germanica, abbiam forme contratte, quali l'an-
glo-sass. cu (vacca) o l'island. ky (ky-r; id.), che potrebbero lasciarci
in dubbio se vi si rifletta 'g oppur 'gv iniziale; né per affermare il
solo 'g basta ancora l' inglese cow.
** Il Grassmann (Zeitschrift s. e, IX, 28) ha voluto vedere nel
sscT.gurù- una contrazione di 'gvaru-, e il Corssen {Beitràge ecc. , 63)
gli va dietro. Ma, dall' un canto, si ha gar- (non gvar-) nel com-
parativo ecc. (21, 3.; in parecchi idiomi pracritici pur nel positivo),
6 ur sscr. è' assai frequente per ar originario (v. V Ind.)\ dall'altro
poi, la scarsa antichità dello 'gv di 'gvarus ^apu? appar manifesta
dall'eccezionale discordia, che v'ha, in questo esempio, tra la conti-
nuazione latina (*garui- graui) e la greca (*gvaru- ^apJ-). Quanto è
poi al gotico kaur-s (gravis), il suo au fa tanta prova per w origi-
nario quanta ne fa quello di baurans (rad. bar).
*** V. ancora il Curtius ai n.i 638 {yxupot^) e 642 (yoo; ecc.) ; ma la
sua ipotesi, che nel y**"? (6fY*T>]?Pou<;, bove lavoratore) di alcuni
lessicografi, , si mantenga il- ^ di gàus = pou?, mi pare affatto impro-
AscoLi , Fonol. indo-U.-gr. 9
130 § 26. GÈNESI ED ETÀ. DI QV.
(fruor)* allato a fì^ug-es, che risalgono ad un originario bhrug^
normalmente riflesso dalla radice germanica bruk, adoperare.
Dove il latino abbia esso solo, ed unicamente, la figura che
accenna a *gv, e si tratti di figura iniziale o tra vocali, e quindi
di solo V latino di contro a g eteroglosso, la mancanza di anelli
intermedj potrà talfiata renderci un po' esitanti, malgrado la
perfetta concordanza dei significati , come è nel caso di vadu-m
allato a gàdha-m sanscrito **; ma negl'incontri che somiglino
ad ùv (*ugv; uveo uvidus) allato al greco Tr (uy-po'-s, umido),
il dubbio degenererebbe in scetticismo. Lo svilupparsi, 'per entro
al latino, di v anorganico dietro a ^, è del resto fenomeno più
evidente e sicuro, che non sia quello di v peculiare al latino
dietro alla tenue (v. VInd)\ ed è fenomeno, del quale tantosto
arguiremo che si ripeta anche in idiomi romanzi.
§ 27, La quistione, se v' abbia p sanscrito o indo-irano da *'kv,
che fu a suo luogo da noi dibattuta (§ 18), non trova alcun
riscontro nel parallelo di media***. All' incontro, come già ci
babile. Tato? (cfr. p. e. 'tco-Yaio-q , uguale quanto alla terra) dirà sem-
plicemente: che è sul campo. Il sscr. gavja-Sj bovino, ha all'incon-
tro il suo sicuro riflesso nel gr. -poto-; (Po/'io-) che ricorre in àvTt-
-poto-; ed Ico'-poto-; (del valsente di un bove), e altrove ancora.
* V. CoRssEN, Aussprache ecc., P, 87. Lo *^v, non essendo prece-
duto da n o r, si riduce normalmente a v ('fruvor; v. s.), e questo
è assorbito dall' w che gli precede.
** Curtius, n. 634; Benfey, Orient u. occid., I, 585. Nel verbo
latino {vàdere) si rivede la lunga.
*** Si è voluto vedere un caso di v da gv nel sscr. giv, vivere (26, 1.) ,
ricondotto a 'gvigv, dalla qual forma avessero ragione così uno '[g]vig[vj
che dichiari i lat. vie-si vic-tu-s allato a viv-o, come le forme ger-
maniche sulla stampa dell' islandese qvik-indi ( qviqv-indi ) , animai
(vivum); ed insieme si è voluto che amendue li gv di 'gvigv non
fossero tra di loro per ragione istorica diversi. Ma , dall' un canto ,
bisognerebbe ammettere, che i due gv si continuassero, nella voce
sanscrita, in due diversi modi, l'uno de' quali {v da. gv) non avrebbe
altro esempio, a tacere che per noi pur non sussiste uno g da. gv;
§ 27. gv SI RIDUCE A b CELTICO, RUMENO, SARDO. 131
accadde avvertire, il fenomeno di h ÒlB. gv h comune ad amendue
i rami della favella celtica (cfr. § 18, 3), dai quali ci sono offerti
gli esempj che ora seguono, non diversi, per età, da quelli che
nel discorso della tenue abbiamo addotto:
1. irland. (ibern.) èiw, [héó]., *bivo- 'gvivo (26,1.), vivus, beothu ,
[òethu], vita, biad (*bivatha, ^i'oto?), victus, esca;- gallese
(brit.) byw, vivus, bywit, vita, cornvall. (brit.) biu, vita; ir-
landese ben, [ban-], *bena 'gvana (26, 7.), mulier; - cornval-
lese ben, mulier, benen, sponsa; irland. bó (gen. bon; dat. pi.
e, dall'altro, questo stesso ipotetico 'gvigv avrebbe una continuazione
eccezionale nel gyv-a- (anziché gig-a-; v. la n. * di p. 128 e il luogo
del testo a cui si riferisce) del lituano. Dato, del resto, per semplice
ipotesi , che il v del sscr. giva- e del lìt. gyva- risalga a uno gv ante-
riore, non per ciò si tratterebbe ancora di fenomeno sanscrito oppur
litu-slavo; poiché manifestamente abbiamo un giva- (gviva-) del pe-
riodo unitario, che si riproduce, come a suo luogo vedemmo (26, 1.),
anche nel gotico qviva- (e pur nel greco P^/'o- *pT/'o, e nel riflesso
celtico a cui tantosto arriviamo), e dal quale non si troverà anima
viva che voglia staccare il vivo- latino per farne, col Corssen , la
spoglia di un suo ipotetico mostro reduplicato: 'gvi-gviv-o 'gvi-gu-o
{Aussprache ecc., sec. ediz. , I, 389-90, dove, per coonestare la re-
duplicazione, ricorre stranamente a forme sanscrite che son di perfetto
reduplicato). La questione si -presenta piuttosto così: se nel periodo
unitario vi avesse, oltre al tipo gviv, anche il tipo gvig-, e non v'è
pure alcuna necessità di questo gvig. Poiché nel germanico qvik-
(qviqv-, quegk, cheg), allato al got. qviva-, la seconda gutturale
può essere anorganica (cfr. p. e. Schleicher, Compendium, sec. ed.,
ad § 199; Curtius, o. c, sec. ed., p. 527); e lo [gjvig o [gjvik, che
appare nel latino vic-tu-s ecc., può essere figura peculiarmente latina,
aggiuntasi a [gjviv ed a [g]vi (cfr. sscr. giv, zendo gi ed anche gjà-',
gr. j3i/'- e Ca- = g^jà, v. l'ult. n. della Lezione), la quale stia a [g]vi
(cfr. lat. vi-ta, che pur potrà avere la stessa forma radicale che è
nell'equivalente zendo gi-ti, dove ricorderemmo, in ordine al suf-
fisso, sec-ta e simili) così come fluc-tu-s a flu-o. Cfr. nello zendo: gi-
v-ja , vivo, gi-ti- gi-s-ti-, vita. Circa l' ei nel lat. are. : veivo- ecc. ,
V. il primo Saggio greco nel sec. voi. degli Studj critici , verso la fine.
132 § 27. gv si riduce a h celtico, rumeno, sardo.
huaih = bóbus, acc. pi. hù = PoZi;), 'bou *gvou (26,10.), vacca;-
gallese boutig, stabulum *.
Tra gl'idiomi romanzi, incontriamo per b da gv gli stessi due
che ci accadeva di citare nello studio di p da kv (§ 18, 1, 2).
Quindi il rumeno, che ci mostrava -pe (= -pa) per -qua in
ape = aqua, ecc., ci darà analogamente -be (=-&«) per -^ua
in ìimbe = lingua **. Ma il terreno classico pel fenomeno
di b rimpetto a. gv o g eteroglosso, è la Sardegna; e qui an-
cora, come sempre, quando non aggiungiamo alcuna particolare
distinzione, si vorrà intendere, per sardo, l'idioma del Logu-
doro. Già vedemmo che veramente valgano per b = gv anco gli
esempj che ci avvenne di allegare sotto kv (18, 2.); ed ora,
seguitando a distinguere i casi residui ***, vedremo imprima:
b sardo continuatore di gv latino , in
2. limba, lingua;- imbena, inguen; - sdmbene, sanguis (san-
guinem; v. ambisùa)',- ambidda (v. dd=ll), anguilla.
* V. Ebel Beitràge zur vergleich. sprachforsch. , I, 463, II, 159-60;
III, 7; Stokes, ib. , V, 446. Il cornvallese banathel, genista, addotto
dallo Stokes medesimo, ib. 445, coincide esso nella parte radicale
colla voce latina? La discrepanza tra il gallese giau (nerves) e il
gr. pio; (sscr. gjà, 26, 3.; Miscellanea celtica by the late R. T. Sieg-
fried, ed. by W. Stokes) potrebbe forse renderci sospetto questo ri-
scontro , r antichità dello *gv avendo qui per sé lo g indo-irano. Cfr.
le note a p. 116 e 128. - Altri due esempj di b- celtico = 'gv- propone
lo stesso Stokes nel suo Cormac's Glossary (Calcutta, 1868); cioè il
gallese buan, pronto, rapido, allato al sscr. gavana-, che ha il va-
lore medesimo (v. l'art, buanann, non infirmato, per questa parte,
àsiììe Addenda) , e l'irland. bddud (naufragium) , gallese boddi (mer-
gere , mergi ) , cornvallese bedhy^ basso-bretone beuzi , allato al greco
BA0 Cguadh, v. Vlnd.) di ^a^-J-; (profondo), ^v^l^o) (sommergo), ecc.
** Altro caso di continuazione rumena di uno gva latino, non si
troverà di leggieri. Gue gui smarriscono Vu (cfr. pag. 90); così:
sunr/e = sanguis. Sarà egli lecito supporre un 'inter-roguare (cfr. tin-
guo allato a tingo = liy^oì) pel quale si conciliino il latino interro-
gare ed il rumeno etrebà (interrogare)?
*** Cfr. Studj critici, I (1861), 26 [=304] e segg.
§ 27. gv SI RIDUCE A b SARDO. 133
Ne' quali esempj ci risulta manifesto, che la radice del b sia
veramente nel v {u) latino, e non si tratti già di g che passi
in & ed assorba I'm; poiché, dall'una parte, troviamo intatto
il g quando è appunto sparito Vu, come è in distinghere, e,
dall'altra, vediam la doppia nelle congiunture in cui si può
vedere {abba ebba, *a^&a *egbsi, *agua *egua, aqua equa), e
questa dee provenire dall' assimilarsi che fa la consonante g
all'altra consonante b. La ragion della doppia, e la tendenza
a dileguarsi che è propria a v sardo mediano fra vocali {aéna,
avena, ecc.), dissuadono, del rimanente, dal supporre che vi
avesse il semplice dileguo del g di gv (come è p. e. nel lat.
vivo- = *gvivo-), e il V più tardi passasse in b (*agua, ava,
aba); e quindi affermeremo, anche per la serie attuale, che
lingva, a cagion d'esempio, desse imprima lin^ba, e poi, tra-
montato il g, desse linba, onde naturalmente limba, per quel
notissimo fenomeno che ci fa dire imbevere imbianchire anziché
inbevere inbianchire. Ma vi ha all'incontro una serie di b
sardi iniziali rimpetto a gv italiani, nella quale non è punto
certo che la ragion genetica della consonante sarda coincida
con quella del b di limba ecc., comechè a prima vista la coin-
cidenza appaja perfetta. E la serie che ci sarà rappresentata
dai seguenti esempj :
3. bdina, guaina;- bastare, guastare;- bardare, guardare; -
bindalu, guindolo.
Ne' quali non risaliamo a gv latino, poiché si tratti o di vo-
caboli germanici che nella lor forma nativa incominciano per w
{wart-èn, stare in attenzione, wind-an, torcere), o di vocaboli
latini con v iniziale (vagina, vastare). Ora, dall' un canto, se
per le voci germaniche pur si dovrà ammettere che anche la Sar-
degna abbia un giorno avuto, in simili esempj, il gu- romanzo
per l'antico v- {w-), ciò non appar certo in alcun modo per le
latine *; e, dall'altro, la tendenza di portare a & il semplice v
* Di gua- romanzo per va- latino, v. l'Indice. È noto, del resto,
come pure al w- germanico non tutti i Romanzi rispondano con
134 § 27. gv si riduce a b sardo.
antico iniziale, è spiccatissima in Sardegna ['berme, hentu,
verme, vento; ecc.); al che si aggiunge, che la più facile di-
chiarazione delle serie che ancora ci rimangono ed hanno con
la presente di comune che il loro h punto non risalga ad uno
gv romano, è quella per cui di *gv- resti v-, e\\ v passi di poi
in b. Considerate le quali cose, il sardo bàina, guaina, a ca-
gion d'esempio (comune pure al dialetto settentrionale, che è di
fondo siculo), potrà semplicemente risalire a vaina (= vagina),
e vaina appunto ricorre nel dialetto napoletano. Ugualmente
badu, guado, che è comune a tutta l'Isola, risalirà, come il
vado spagnuolo, alla schietta forma latina [vadum *), la quale
eziandio si continua nel logudorese vadu**; e bindalu (Ghi-
larza, sempre nel Logudoro) , guindolo, a cui stanno allato il
sinonimo ghindalu e il verbo ghindare (girare), può aver com-
piuta dichiarazione da un *vindalu, spoglia dell'anteriore guin-
dalu, e del resto incontra il v rafforzato pur nel sinonimo italiano
bindolo {= guindolo). Restano le serie, nelle quali parrebbe,
a primo tratto, che, per un vezzo peculiare al sardo, il g an-
tico, od anteriore, si tramuti senz'altro in b, di guisa che si
abbia il mero scambio di media per media, il che pur sicura-
mente non è. Ma intanto passiamole in rassegna:
4. I. Bu- Bo- di contro a gu- go- (cu- co-) delle forme anziane : but-
tiare, buttiu, gocciolare, goccia (lat. gutta)\ buia, gola (lat.
gula); bustu, bustare, pranzo, pranzare (cioè: gusto, gusta-
re; cfr. gustavi, nel sardo settentrionale, pranzo, e nel meridio-
nale: colazione di mattina, e ancora il frane, gouter, merenda, e
gu-. Così nel friulano si risponde per u {vu): uére guerra, uarì
guarire, uardà guardare.
* È noto che in guado guadare si incrocia la corrente latina (va-
dum) colla germanica (wat).
** Qui,- e in casi consimili, mi sorge il dubbio, se veramente la
doppia figura, offertaci dallo Spano nel suo Vocabolario, sempre si-
gnifichi due voci, ciascuna delle quali abbia vita distinta e propria;
V. le note a p. 136 e 137.
§ 27; gv SI RIDUCE A b SARDO. 135
il friul. gusta , pranzare , gustdd , pranzo ) ; bulteddu , nel dial.
merid. gorteddu = cortello {cultellus)\ bunnedda = ital. gon-
nella; boddire, cogliere, e ancora in qualche luogo del Logu-
doro: goddire^ collire = lat. colli[gJere^ ital. cogliere; budda
('guada 'cuada, covata; cfr. cùa^ nascondiglio [covo], cware,
nascondersi), e abbuada, covile del cinghiale, abbuare, nascon-
dersi, abbuaduy nascosto.
II. BA- di contro a ga- (ca-) delle forme anziane: basane,
cavallaro (lat. agaso agasonem\ Spano); battu = ital. gat-
to; barriare, allato a. garrigare (garriare), caricare; bar-
du [*gardu], cardo.
III. BE- Bi- di contro a gè- gì- di forme latine od italiane,
conservata o data al^, nella base sarda, la pronunzia gutturale
(cfr. anghelu , ghinghiva y e i riflessi sardi di ^gettare' che stiam
per addurre*): bénneru, genero (lat. ^ewer); belu, belare,
gelo, gelare (lat. gelu ecc.); binistra, ginestra (lat. geni-
sta); benuju, ginocchio (genu-clo, § 23, 2.); bennarzu = ital.
gennajo (lo gè ital., che qui è dallo ja- dìjanuarius, si fa pri-
mamente ^Tie- sardo); belosu, belosia, geloso, gelosia (ancora
be- =ge' ital., che in questo esempio vien da ze- [^rXo-]) ; bet-
tare = ital. gettare (ancora gè- ital. da ^a- lat. [jactare], e il
sardo meridion. ha ghettdi).
Ora, i fenomeni fonetici, che ultimamente nel sardo stesso e
in tante altre favelle considerammo, già persuaderebbero, a
'priori, trattarsi pur qui della evoluzione: g gv b, che è quanto
dire di un abbarbicarsi continuo del v parassito alla media gut-
turale; e solo rimarremmo incerti, se più precisamente si abbia
a stabilire la scala: g gv ^b b, oppur quest'altra: g gv v b.
Senonchè, della evoluzione da noi affermata non ci mancheranno
particolari indizj pur ne' casi a cui ora siam giunti, e le figure
intermedie, alle quali alludiamo, qui ci indurrebbero a prefe-
* Si confrontino l'it. conghiettura = congettura = conjectura, e an-
cora ghiacere, ghiacinto (giacere, giacinto), che i lessici danno per
pronuncio fiorentine; comechè in questi e simiglianti esempj si ab-
bia gj, e non ancora g, per g anteriore. Ma cfr. l'it. salgo = 'salgo
= salio, e simili, nella Lez. XII.
136 § 27. gv si riduce a b sardo.
rire, come già fu di sopra accennato, la succession fonetica:
g gv V b. Rifacendoci così a qualche esempio della serie gu-,
go- (3, L), nella quale la special natura della vocale favorisce
grandemente lo svilupparsi della parassita, stabiliremmo: *gul~
teddu (coltello; merid. gorteddu) "gvulteddu *vulteddu hul-
teddu *, e lo stadio che scriviam vulteddu sarà per avventura
continuato in urteddu, sinonimo dì bulteddu, come il processo
di gula *gvula *vula buia sarebbe analogamente confermato
da ula, che dice 'gola' anch'esso, e sta a gula così come ùturu
("vuturu *gvuturu) a gutturu (lat. guttur), o urguzzone (che
si udirebbe a Cuglieri, sempre nel Logudoro) a gurgu%\ionQ
(gorgoglione) **. Dalla stessa serie prendiamo ancora bun-
nedda (gonnella; comune anche al dial. settentr., e ritorna,
fra i Còrsi, nel bunnedru ài Fiumorbo), la cui figura imme-
diatamente anteriore: *vunnedda (vunnella) coinciderebbe col
napoletano vonnella. Per la serie successiva (3, IL: *gattu
*gvattu *vattu battu) non va trascurato arghentólu, gola, che
si rappicca all'italiano gar gatta, e allo spagnuolo garganta,
per l'intermedio *gvargantólu (vargantólu, bargantólu; cfr.
adu = vadu = badu, guado; ecc.), e s'imbatte nel valgastólu,
gozzo, del dialetto settentrionale. Lo stadio del ghe-, tra ge-
lida, e be- sardo (3, IIL), è finalmente dimostrato, nello stesso
* Per meglio capacitarci della sicurezza con cui si può ammettere
h sardo iniziale da v anteriore, vogliam qui intanto aggiungere gli
esempj che seguono: bacca, vacca, bacu, vacuo, barzu ('barju), va-
rio, bendere, vendere, bénnere, venire, berre, verro, beste, veste,
binéa (*binja), vigna, birde, verde, bitellu, vitello, boghe, \ote ,
botare, volare; ecc. V. ancora V Indice, s. b protetico; e cfr. la nota
alla pagina seguente.
** bulteddu, urtéddu, entrambi logudoresi, si trovano presso lo
Spano, sotto coltello; e se ancora ci valiamo con qualche riserbo di
simili doppie figure, ciò avviene per quel dubbio di cui già fu toc-
cato in una nota della pag. 134 e di cui si riparla in sulla fine di
quella che ora sussegue.
§:28. CONSIDERAZIONI RETROSPETTIVE. 137
idioma del Logudoro, dall' antiquato guetare = tettare ^get-
tare *.
Di questa guisa è scossa di certo, anche pel sardo, anzi è tolta § 28.
ogni fede nello asserto della sostituzion diretta di media a media
(& a g), che in ielu = gelo, hattu = gatto, e simiglianti, pure
avea cosi sicure apparenze. E non sarà, per avventura, inop-
portuno, se a questo punto ci fermiamo un istante per dar luogo
a qualche breve considerazione, che valga a corroborare l'opera
nostra, si per la parte già compiuta, e si per l' avvenire. Il campo
dell'immediata, arbitraria e imperscrutabile sostituzione dell'e-
splosiva di un ordine alla esplosiva di un altro, come di t a ky
* Questa voce , che lo Spano adduce , nel Vocabolario , da un testo
a stampa del XVII secolo (Gar. = Garipa), parrebbe anzi darci a dirit-
tura lo stadio del gue-, ma è assai probabile che vi si abbia gue alla
spagnuola per ghe\ cfr. fo.guere = faghere (facere) ecc. ap. Spano,
Ortografìa sarda, 19, e promiscuamente fagher e faguer nella stampa
di un documento del XII secolo, fatta nel XVII, ib. , 111. — Più fede
parrebbe meritare Vu di quàdere = cààeve . che lo stesso Spano ha,
nel Vocabolario, da antichi manuscritti, poiché anche nello spagnuolo
basta ca per rendere la pronuncia di ka\ ma pur si regge il sospetto
anche per quddere. Del qual verbo non si vede, del resto, il riflesso
moderno, avendo mere usurpato le funzioni di cadere. Ac-
canto a guettare e tettare avremmo ancora ettdre ( etàre ) , sempre
per 'gettare'; e in ettdre saremmo tentati a riconoscere il continua-
tore dello stadio 'nettare, ricorrendo ancora all'analogia dei casi di v-
etimologico, nei quali ugualmente compare il doppio riiesso sardo,
vale a dire b~ nell'una figura e zero nell'altra; così: beju = 'veju = eju,
veglio, berveghe = 'verveghe = erveghe, vervex, benturzu (*bentur-ju)
= 'vultur-ju - unturzu, a-voltojo. Senonchè, sentiamo il bisogno, già
in precedenti note accennato, di un migliore accertamento critico
della suppellettile lessicale del logudorese; vigendoci per ora il dub-
bio, che, almeno in parte, queste doppie figure (bettdre ettdre; ecc.)
veramente si riducano ad una sola, a quella cioè col b-, che nor-
malmente si affievolisca o si dilegui quando è preceduto da vocale
(cfr. p. e. SOS boes, i buoi, ma unu oe, un bove), dubbio che si esten-
derebbe anche al caso di uccone allato a buccone , boccone.
138 § 28. CONSIDERAZIONI RETROSPETTIVE.
ài p a. kf ài d a. g, di b a. g e viceversa, per la quale tur-
berebbesi ogni legge di continuità, si viene restringendo, man
mano che la scienza progredisce, entro a confini sempre in più
angusti; e in ordine alle voci che veramente spettino all'antico
e vivo patrimonio di un popolo, si ridurrà, almen per quelle
lingue che qui si considerano, se pure non è già ridotto, a pres-
soché nulla. Di consimili salti ben se ne hanno nelle conso-
nanze composte (come in gì, in sk, ecc.), delle quali a suo
luogo si parla, mostrandosi la ragione fisiologica ad esse pe-
culiare; e pur le esplosive scempie ponno andare incontro ad
alterazioni di simil fatta, quando manchi ad una lingua, op-
pure vi sia insolita, una qualche articolazione che occorra nelle
voci straniere di cui viene a far uso. Ma non ci rassegneremo
mai a credere che una esplosiva scempia, o indigena o propria
di un idioma che ha soppiantato l'indigeno, passi di punto in
bianco da un organo all'altro, quasi per un difetto di pronuncia
di cui sia preso a un dato momento tutto intiero un popolo; e
quindi errerà di certo chi ancora voglia, a cagion d'esempio,
parlarci di k originario che immediatamente passi in ^ o peggio
ancora in p ellenico; e un assai fallace ripiego sarebbe quello
àeW antica esplosiva indistinta, che si venisse determinando,
tra le varie favelle, ora in un organo ora nell'altro. Ma ben noi
vedemmo per quali anelli intermedj si possan compiere evolu-
zioni siffatte, e insieme vedemmo come la scienza riesca di volta
in volta a porgerci il filo delle successive mutazioni (§§ 14,
17, 21); la causa generica delle quali consisterà veramente in
ciò, che pel graduale sviluppo di suoni accessorj (fenomeno in
mille guise accertato), o per l'affilamento di vocali attigue, la
esplosiva scempia si faccia imprima consonanza composta {kj
da k ecc.), il cui secondo elemento è sovranamente effiicace a
provocare mutazioni ed impasti. Per grande adunque che sia
l'autorità di chi voglia farci credere a tai capricci della favella,
pei quali il^ del lai. pectus, a cagion d'esempio, sarebbe sen-
z'altro passato in k nel macedo-vàlaco cheptu, e viceversa il k
del latino quatuor sarebbe saltato in p nel patru dello stesso
§ 28. CONSIDERAZIONI RETROSPETTIVE. 139
idioma vàlaco, non acconciamoci ad essa, ma scrutiamo inde-
fessi, e se le corrispondenze son vere, l'istoria naturale della
loro divergenza fonetica dovrà farsi chiara. Del jp di patru rim-
petto allo qv latino (18, 1.), già così avemmo compiuta ragio-
ne; e al lume della figura pur vàlaca (daco-romana) piept'à
(= cheptu) troveremo a suo luogo come in cheptu si tratti ve-
ramente di KCj] da ^J (*pjeptu), cioè di fenomeno che entra
nell'analogia di chianu siciliano da *pjanu (planus), e infiniti
casi simili. Cosi la supposta permutazione zaconia di Mn k
(xt[xy{, che però pronunciasi cimi = Tt[xvi, pregio, prezzo), q ài k
in t (It>)vou etini^ = Ixetvou, di quello; allato ad exeivt eéini = IxsTvo,
quello, nom. n.), dove in realtà si tratta di M {ci) da ti, o
di ti da M {ci), rendesi afiatto chiara, come più tardi ancor
meglio apprenderemo, dagli intermedii kji tji, vale a dire da
quello stadio fisiologico di cui già avemmo ripetutamente ad
avvertire che possa importare indifferenza tra base palatina
e base dentale (p. 44, 92); e analogamente non vi avrà, tra
il grisone toma (criniera, giubba) e il latino coma, lo sbalzo
inaudito di ko in to; ma converrà ricorrere alla singoiar figura
italica: chioma, e quindi ancora: kjo- kjo- t[j]o-*.
* Non rincresca di veder qui ancora citato il costante fenomeno
di esplosiva dentale o semi-dentale da esplosiva gutturale, che oc-
corre in un idioma o sub-dialetto di famigUa diversa, ma pur giova
a convalidare il nostro ragionamento e in ispecie ad illustrare il fe-
nomeno di T greco = ky pre-ellenico (§ 21). Federigo Miiller {Orient
M. occident, III, 104 e segg.) ci offre cioè un elenco di voci siriache,
dettategli da alcuni Siri d' Urumijjah, nel quale abbiamo costante-
mente t e d (che il Miiller distingue nella scrittura, accennando pro-
babilmente a. t e d ài pronuncia linguale) in luogo de' genuini k e g-,
p. es.: ^tàbà da *ktàbà, libro, teyvà da •kuk[h]bà, stella, tìfumlà da
'gumlà, camello. Ora il Miiller medesimo opportunamente rimanda,
circa t = k, alla grammatica che ci diede lo Stoddard del siriaco mo-
derno come si parla in Urumijjah , in Persia e nel Kurdistan. Nella
quale è detto, che il h assume in quel parlare siriaco la pronuncia
del h inglese di hindy vale a dire di un k che volge a kj kj. Qui
140 § 29. Z GRECO DA gj E hj.
§ 29. E cosi sarem finalmente bene avviati alla intelligenza di una
evoluzione ellenica, della quale ancora conveniva far parola
nell'istoria di g.
Occorre in ispecie nell' odierno dialetto dei Zaconj , che al
posto dell'antico g (y), e pur dell'antico & (P), si trovi i (0-
1. Zaconio l^ou = lyw, io; [xo^ou (partic. pres.) = [xoysw, mi travaglio,
soffro*; a cui si aggiunge da altro parlare neo-greco; StaX/^w,
s: SkxXs'yw, scelgo **. — Zaconio cpo^oJfAgve (partic. pres.) = <^o-
pot;[i.at, temo; ^a'ou, andrò, l-Ca-xa, andai, felicemente ricondotti
dal Deville a BA patvw (26, 8.) ***.
Allato ai quali esempj moderni, vanno qui intanto considerati
gli antichi che ora seguono:
2. L'arcadico sTrt-^apew, e l'arcadico o macedonico ^epe^pov, al-
lato alle forme ordinarie eTct-papéco, io carico, sopracarico, e
pure saremmo dunque ricondotti a: /e, /y, ^J, i^j, t. — Finalmente
vorremmo qui addotto anche lo zingarico (v. il mio Zigeunerisches ,
p. 169 a), il quale ben ci offre t per k e k per t, ma sempre, negli
esempj di cui la critica si può con qualche sicurezza valere, per effetto
del j che viene a susseguire all'esplosiva; così sutjovav = sukiovav
(sukó = pracr. sukkha- = sscr. guska-), mi fo asciutto, secco; ùngustó
(i etimologico), dito, alplur.: ùnguskjà. — Cfr., allato dell'italiano
diaccio = ghiaccio , il siciliano dinocchiu = 'gjinocchiu (ginocchio), e
simili; e nel pali: digaMhà = sscr. gighat sa, fame (V. V Jnd.).
* Gli esempj zaconj , quando altrimenti non sia indicato, provengono
àsiWÉtude du dialecte tzaconien, par Gustave Deville, Paris, 1866.
** Ho questo esempio dal Paspati (Journal of the American Orien-
tai Society, VII, 229: StaXéyoi pronounced by us often 8t«Xe^w), il quale
par che dimori in Costantinopoli.
*** S (cioè d fricativo, = th sonoro degli Inglesi) per p, sempre in-
nanzi ad-t i, s'incontra ne' seguenti esempj zaconj (Deville, 1. e, p. 84):
8ie = Sto;, vita, Zrijo = ^yj^, tosse, ^o8t5t = epe^/v^tov, cece, xou8[ = xXw-
Piov, gabbia. Qui si può chiedere, se il 8 altro non sia che una va-
riazione di ^, e ci porti, per l'intermedio di *pj, come arguiremo che
§ 29. Z GRECO DA. g^ E 5/. 141
papo^pov, baratro; cui si aggiunge, di certo arcadico anch'esso,
lo ^e'XXw (cfr. laSsXXco = IxpotXXw, di un'iscrizione tegeatica) dei
lessicografi, = paXXw, io getto *. — Nel dial. jonico occorre
XaCo[xai, allato al comune Xxjxpavco (AAB), prendo, piglio.
Ora noi punto non dubiteremo, che tra la forma col ^ o col &,
e quella collo C, ne sia interceduta una colla muta accompa-
gnata day (gj bj), il quale, secondo gli esempj, o sarà affatto
parassito, o potrà avere la sua ragion grammaticale; ed è bello
trovare, tra l'I^ou zaconio e il solito lycó, l'eyjw (lyiw) del mo-
derno dialetto di Cipro; come non sarà improprio il ricordare,
allato al moderno SiaXe^iw (*8taXeYJw; 29, 1.), l'wyja (atyi^')' capra,
dello stesso dialetto di Cipro, pel volgare aìya (v. Xlnd.), od
anche Tàyjac («ym) del dialetto medesimo, per àys (age!) **.
Ma in ordine all'arcadico £7n-2;ocpew, trattandosi che il p della
solita forma (eTit-papsw) succede veramente a un ^ (g "gv P;
papj; = *garus, 26, 9.), può surgere il dubbio se lo C più precisa-
mente vi provenga da gj {*gj "gz *zz Vj, oppur da hj {*bj *hz
*zz V)\ se, cioè, in altri termini, vi si abbia un'alterazione di
garu- (gjaru), oppur del greco papJ- (bjaru). Il qual dubbio si
potrebbe estendere anco a ^epe^pov.e a ^eXXw (= papa^pov pa'XXw),
pure per questi esempj reggendosi una qualche probabilità di
media gutturale originaria ***. E dato che qui si avesse C = *gj
faccia lo ^ degli esempj ultimamente addotti nel testo, a b esplosivo;
oppur se non si tratti di una particolare alterazione del p (y) mo-
derno, la quale si potrebbe così dichiarare: v meramente labiale,
che, per lo spingersi dell'orlo della lingua tra' denti, volge allo th
sonoro degl'Inglesi.
* V. Ahrens, De dialectis aeolicis, 232, Curtius, o. c. , sec. ed.,
n.° 637. Non cito oXt^ov che i Tessali avrebber detto per òXt'yov , poiché
se ne contesta l'autenticità (Ahrens, 1. e, 219-20). "OXtCov sarebbe la
figura normale del nomin. n. del comparat. di òXt'yo?.
** Le forme del moderno dialetto di Cipro son prese, quando non
sia altrimenti indicato, dsdìe Kypriaka del Sakellarios (Atene, 1868).
*** V. Curtius, n.» 637 e 643.
142 § 29. z GRECO DA gj e hj,
allato a p = *gv (-^apsw, -pacps'w papu *garù; ecc.), saremiiio a tal
doppio riflesso greco, il quale, per la sua ragione fonetica, non
sarebbe gran fatto dissimile da quello che avemmo (p. 92) in
TEduaps? (*kj-) allato a itt^upe; (*kv-) *, o dal doppio riflesso che
ci offrivano, ne' nostri vernacoli, zenoli e benu[l]ju, entrambi
da genuclio, ginocchio (p. 98, 113, 135); ma la ragione. storica
avrebbe tutta volta, tra l'una copia greca e l'altra, questo di
diverso, che dello *kj (e *kv) nel caso di Teaaape; ecc. si vede-
vano radici pre-elleniche, quando non se ne vedrebbero punto
per lo *gj (e *gv) dell'ipotetico *gjar[u] onde ^ap[sw] e simili.
* Il preciso parallelo fonetico richiederebbe S p di contro a t tt;
e veramente parrebbero ricorrere S e p, per g originario e sanscrito,
in SeX^Js (8oX({)ó(;), utero, e Ppécpo; ('Pspccos), embrione, che entrambi
si ricondussero al sscr. gdrbha-, nel quale si riuniscono amendue i
significati. Ma, a tacere della differenza che corre tra la condizione
del suono iniziale della risposta etereglossa di Tsaffape? ecc. e quella
del suono iniziale di SeXipu; ecc. (cfr. il testo), e d'altre considera-
zioni ancora, v'ha questo principalmente contro Zekcf\j(;=gdrbha-, che
la equazione o gr. = ^ sscr. non avrebbe d'altronde alcun valido suf-
fragio. Il Curtius (o. e, sec. ed., p. 431 [II, 76]) ben vorrebbe far
passare tra gli esempj di S da^ anche l'iTn-i^apsto (e lo ^epe^pov) di cui
parla il testo; ma noi può se non in grazia della sua ipotesi, che tra
'ffj e C debba essersi avuto , per anello intermedio : dj. Né saprei se-
guirlo, se nel caso di CéXXw = paXXw, che pure adduce tra gli esempj
di B.da g, volesse tenere la forma eaSsXXw (v. il testo) per particolare
e sicuro documento del 8. Ancora vuole il Curtius uno 'dj-a- tra gì
(gì), vivere, e il greco !^a-w; e qui almeno rimontiamo a uno gv, e
quindi avremmo, nel *8, caso parallelo a t = ky. Ma Ca- potrà risa-
lire direttamente a gyj-a (cfr. Pott, Wurzel-wórterb. , I, pag. 751, il
quale, del resto, ha pur toccato della parti colar somiglianza tra que-
sto substrato dello Ca-w e lo zendo gjà in -gjà-i-tij vita.), ed anzi,
come stiam per accennare nel testo, pure a pia-. — Intorno alle gravi
questioni di fonologia greca che qui si son dovute preliminarmente
toccare, vogliasi consultare l'Indice sotto ^ e aff, e lo scritto: I pro-
dotti ellenici di *+j (cioè di esplosiva a cui sussegue j) nel sec. voi.
degli Studj critici.
§ 29. Z GRECO DA g^ E 6j. 143
Senonchè, i moderni esempj di ^ da *&/, e il corrispondente
antico esempio: XaCo[xat (*Xap-jo-[jiat, 29, 2.), ci dissuadono affatto
dallo stento di questi *gj ellenici allato a P da ^gvi', e in It»-
-iiapeto, Upe^pov e C^XXoj noi vedremo C da pj (&;'), non altrimenti
che negli esempj testé ricordati, ai quali aggiungiamo, antici-
pando sulle cose che altrove saranno compiutamente svolte, vtCw
= vc,3-jw, io lavo (cfr. 26, 5.). Locchè non toglie che anche nel
greco antico si abbia frequentemente, come a suo luogo rico-
nosceremo, C da g-j\ ma v'ebbe (per qui tacere di C da d-j^
pur ^ da hj, e sempre ogni \ per quel processo che fu di sopra
accennato ( hj hz ecc. ; gj gz ecc. ) ed è analogo al processo onde
risulta , in favella nostra , il doppio gg , così da d-j come da b-j
{*vid-jo veggio; *deb-jo, deggio). In ordine ai fenomeni provo-
cati dal J, il greco antico, giova avvertirlo sin d'ora, è affatto
nelle condizioni d'idioma moderno.
LEZIONE QUINTA.
Delle aspirate in generale. — Le aspirate gutturali *.
§ 30. - Continuando a ordinare il nostro studio secondo la serie di
suoni che* ci è offerta dall'alfabeto sanscrito, ora saremmo alle
restanti due esplosive dell'ordine gutturale, cioè 'd\V aspirata
tenue {kh) ed all' aspirata media {gh). Ma al particolare di-
scorso intorno ad esse, è d'uopo far precedere generali consi-
derazioni, così intorno al sistema delle aspirate sanscrite, come
intorno alle corrispondenze che queste trovano nella favella
greca e nell'italica.
E gioverà, anzitutto, alla sicurezza della nostra esposizione,
l'avvertenza che segue. Noi troveremo, cioè, nella continua-
zione del nostro discorso, che grammatici, linguisti e fisiologi
non sempre intendano per consonante aspirata una esplosiva
accompagnata dall'aspirazione {k-h, d-h, ecc.). Cosi s'intese, e
può intendersi, per tenue labiale aspirata, la combinazione pf,
vale a dire la tenue labiale, a cui aderisce, o con la quale quasi
si fonde, la spirante correlativa. Noi tuttavolta, per aspira^
ta, senz'altro, sogliamo intendere quel suono abbinato, nel
quale alla esplosiva succede lo h; e solo quando sia in discus-
sione la ragion ^-^'^^'Iva delle aspirate, e il contesto non
* Delle aspirate in genere, ed in ispecie dei continuatori latini
delle antiche aspirate, è trattato diffusamente negli Stuc^ critici ^ II,
pag. 109-221.
§ 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 145
escluda ogni ambiguità od incertezza, chiameremo k-h g-h ecc.
aspirate vere. Ora entriamo senz'altro nella non facile materia.
Chi passasse a rassegna, senza adoperare l'occhio critico, il
corpo delle radici che i grammatici indiani ci porgono, potrebbe
conchiudere, che l'importanza delle aspirate tenui [kh, Uh, th,
th, ph) non sia nel sanscrito gran fatto inferiore a quella delle
medie {gh, gh, dh, dh, bh). Senonchè, in primo luogo, già
basterebbe un rapido esame delle rispettive serie in ordine alla
autenticità letteraria dei singoli radicali, per modificare assai
sensibilmente le proporzioni numeriche, in danno della serie
delle tenui. Che se poi badiamo alle ragioni istoriche, le pro-
porzioni continueranno a modificarsi in questo stesso senso man
mano che si risalga ad età anteriori, sì per l'aggiungersi alla
serie delle medie la miglior parte di quella in cui attualmente
appare la semplice aspirazione (/ì; § 34), e si pel detrarsi dalla
serie delle tenui que' numerosi esemplari, ne' quali, come a' ri-
spettivi luoghi sarà mostrato (v. Vlnd.), lo sviluppo dell'aspi-
razione si manifesta seriore e si è compiuto in gran parte per
processo analogo od identico a quello che ampiamente si con-
tinua negl'idiomi indiani di più bassa età, ognora piti in questi
accrescendosi, per conseguenza,, il dominio dell'aspirata tenue,
sì nelle radici per sé stesse e sì nelle loro combinazioni con
elementi accessorj *. Alle quali ragioni istoriche, prevalente-
* Fo qui seguire alcuni dati statistici , che hanno per base le Ra-
dices linguae sanscritae del Westergaard. I lavori lessicali che a
queste succedettero, e in ispecie il Lessico di Pietroburgo, portereb-
bero veramente una qualche alterazione nelle singole quantità, ma
di certo non potranno mutarne in sensibil modo le proporzioni. Ecco
dunque le risultanze sommarie de' miei spogli : - 478 radici lessi-
cali sanscrite contengono consonante aspirata o Ti; e cinque di esse,
aspirata e h ad un tempo {hurRh, hriRh, hath, haith, haidh);- in
208 entra una media aspirata, comprese dhràgh e dhimdh che ne
avrebbero due, e dhràkh che ne avrebbe una di media e una di te-
nue; - in 166 entra un'aspirata tenue, compreso sphurMJt che ne
avrebbe due; - e in 109 (5 delle quali già comprese fra le categorie
Ascoli, Fonol. indo-it.-gr. 10
146 § 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE.
mente intrinseche, venendo finalmente ad unirsi una poderosa
ragione estrinseca, quella cioè della comparazione eteroglossa,
la quale in ispecie ne mostra come le lingue europee sien con-
cordi nel dare di regola alla tenue dentale aspirata del san-
scrito, vale dire alla sola che offra un qualche maggior campo
a conclusivi raffronti, la risposta stessa che alla semplice sua
precedenti) entra h. Delle 208 in cui si contiene aspirata media,
95 sono bene esemplate; 88 noi sono punto; 8 noi sono se non dal
Bhattikàvja (poema composto con intendimenti grammaticali); 9 noi
sono che da autori di assai bassa età; e intorno alle residue 8 rimasi
incerto. Delle 166 in cui si contiene aspirata tenue, 46 son bene esem-
plate; 104 noi sono punto; 4 noi sono che dal Bhattikàvja', 9 lo sono
sol da autori di molto bassa età; e circa le residue 3 rimasi dubbio.
Ma i più cauti ed elementari esperimenti etimologici bastano , come
a suo luogo vediamo, a togliere ogni fede nell'aspirazione originale
di meglio di un terzo delle stesse 46 radici lessicali bene esemplate
in cui s'abbia aspirata tenue {iRh, [uAh], unAh, praHh, murKh
jakh, jukhy vànKh, hhid^ P,had, hhal, skhaly sphut, sphur, phal^
phull, sthà, sthag, sthiv; e ancora cfr. ìlhà e flhur)-, e circa la metà
delle restanti ci offre uno th all'uscita {katth^ kvath, granth, nàth ^
prathj prauth (pruth), mathy mith e maith, vjath, gnath^ arthy
kath)^ contro la originalità della qual consonante dice generalmente
non poco, già per sé solo, il nudo fatto che in realtà essa mai non
occorra in principio di parola. In alcune altre, finalmente, lo kh ini-
ziale è grandemente sospetto di genesi pracritica {khàdj khjàj khid\
cfr. khany e consimili tra quelle che occorrono solo in tarda età).
Se all'incontro passiamo alle 95 bene esemplate per l'aspirata me-
dia, stentiamo, dall' un canto, a rinvenirvi un qualche singolo esem-
plare in cui l'aspirata possa sospettarsi di età seriore {uggh è un
esemplare sui generis, di cui v. il § 34), e vi abbiamo, dall'altro,
l'aspirata di ciascun ordine così al principio come all'uscita, e un
tal complesso di radicali, che si per la sua funzione nel sanscrito, e
sì pei riflessi che ritrova nelle lingue sorelle, si addimostra cospicua
parte del miglior patrimonio ariano dell'India (ghar, sagh, e cfr.
§ 34; dhar, dhà, dhù, vardh, bandh, indh; bhar, bhà, bhù, grabh^
lubh\ ecc. ecc.). Di più altrove, ed anche in questo stesso Corso.
§30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 147
tenue esse danno, dove all'incontro tre di esse costantemente
distinguono i frequenti riflessi delle medie aspirate del sanscrito
da quelli delle semplici sue medie; slam condotti a conchiu-
dere, che, in ordine alla quantità degli esemplari i quali pos-
sano ripetere la propria ragione specifica dalle condizioni ori-
ginarie della favella indo-europea, le tenui aspirate non solo
cedano di gran lunga, nel sanscrito, alle medie, ma anzi risul-
tino in quantità tanto esigua, da rendersi mal certa, se pur
altro non fosse, per la sua stessa esiguità. Son quindi pochi
gli esempj ne' quali le risposte greche ed italiche accennino ad
assicurare originalità all' aspirazione sanscrita della tenue, e
se ne tocca a suo luogo; ma lo zendo, all'incontro, accompagna
costantemente, per un certo strato glottologico, la tenue aspi-
rata sanscrita con la propria tenue aspirata; locchè viene a
dire, che, per una determinata e ragguardevol parte, le tenui
aspirate del sanscrito risultin tuttavolta pre-indiane, apparten-
gano, cioè, al periodo che diciamo indo-irano. Alcuni esempj,
che facciam tosto seguire, avranno cosi a rappresentarci, dal-
l'un canto, come l'Europa non faccia differenza tra la tenue
aspirata dentale del sanscrito e la non aspirata; e, dall'altro,
sin dove lo zendo concordi col sanscrito nella aspirazione della
tenue: sscr. ràtha-, z. ratha-, carro, lat. rota, alto-ted. rad
(e non diversamente: sscr. ta-m, z. te-m, gr. to'-v, lat. \s-tu-m,
alto-ted. de-n)\ e cosi ancora: sscr. pràthas, z. frathanh, lar-
ghezza, distesa, gr. T:XaTo?; sscr. sthd, stare, lat. sta-, gr. 2TH,
german. sta {con. st rimpetto a sth sscr., com'è rimpetto a 5^
sscr. nel german. ist = asti, est), dove però anche lo zendo ri-
sponde per gtd. Un caso di ph sanscrito, in cui la risposta euro-
pea ugualmente accenni a semplice tenue, è gapha-, unghia del
cavallo, anglo-sassone hòf (pp. 50 n., 63), alto-tedesco huof*.
r * Circa la vocale, le voci germaniche non differiscono dall'indiana
se non. per la quantità, poiché l'ó anglo-sassone e Vuo alto-tedesco
rivengano ad à originario, p. es. bródor, pruodar, fratello, = bhrà-
tar sanscrito, fràter latino.
148 § 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE.
La comparazione verte dunque, per la massima parte, in-
torno a quelle aspirate che nel sanscrito son medie. Circa la
costituzion fonetica delle quali, si è potuto o voluto disputare;
poiché, dall' un canto, se i grammatici indiani sono concordi
nel porre gh dh ecc. tra i suoni esplosivi, gran fatto all'in-
contro non convengon tra di loro nella descrizione che di gh
dh ecc. essi ci porgono; e, dall'altro, surse dal campo della
fisiologia la risoluta obiezione, che non si possa dare tal suono
composto in cui a esplosiva sonora {g ecc.) immediatamente
sussegua l'aspirazione [h; che è sorda e continua); e insieme
l'ipotesi, che gh dh ecc. si avessero a tenere per sonore con^
tinue (omogenee quindi a. j, z ecc.), o, in altri termini, per
sonore spiranti, e quindi per suoni semplici, anziché per so-
nore aspirate, che sarebber suoni abbinati, doppj *. Si aggiun-
geva la singolare discrepanza tra le medie aspirate sanscrite,
dall'una parte, e i loro riflessi greci, e pur proto-italici, come
* E. BrUcke, Grundzuge der physiologie und systematik der sprach-
laute fùr linguisten und taubstummenlehrer, "Wien, 1856, p. 59, 85;
del quale autore però si considerano o si confutano da qualche lin-
guista le opinioni qui allegate, senza tener conto di ciò che più tardi
egli ebbe a dire, intorno allo stesso subietto (Uber die aspiraten des
altgriechischen und des sanskrit), nel Giornale pei ginnasj austriaci,
Vienna, 1858, p. 698-9. L'Ebel, Zeitschrift s. e, XIII, 268-9, ac-
cennava a qualcosa di intermedio, ad uno bh, p. e., che fosse una
muta (cioè un'esplosiva) assai vicina a w» E il Brucke, nel luogo
ultimamente citato, applicando alle medie la teoria statuita per le
tenui dal Raumer (Giornale pei ginnasj austriaci, Vienna, 1858,
pag. 370, = Oesammelte sprachwissenschaftliehe schriften, p. 386-7),
viene all'ipotesi della esplosiva combinata colla corrispondente con-
tinua, quindi p. e.: bv per media labiale aspirata, ipotesi che s'in-
contra colle afferra azioni indiane di cui tocca la nota che segue. Alle
quali mi fermerò piti che non avrei fatto se non mi sopraggiungeva,
durante la stampa, l'opera di Gugl. Scherer: Zur geschichte der
deutschen sprache (Berlin, 1868), nella quale si sostiene la mede-
sima sentenza.
§ 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 149
a suo luogo apprendiamo (§32), dall'altra; i quali sono sordi
anziché sonori, e condussero a sospettare che alla fin fine non
si tratti se non di aspirate originariamente sorde, le quali
sieno diventate sonore (medie) dopo avvenuto il distacco tra
la favella ariana dell'Asia e quella degl'Itali e de' Greci.
Ma son tutte dubitazioni od ipotesi, che veramente non reg-
gono a martello. Qualche ondeggiamento ne' vecchi grammatici
indigeni, fuorviati talvolta, nelle infinite loro sottigliezze, da
pregiudizj teoretici, non può contrabbilanciare l'autorità del-
l'odierna pronuncia indiana, avvalorata da argomenti istorici,
ed iu fondo confermata, a ben vedere, dal complesso delle sen-
tenze di quegli stessi grammatici. * Le testimonianze sono con-
* Nel Pràtigdkhja del Rgveda (xiii, 2; ed. Regnier, Journ. asiat.,
avril-mai 1858, pag. 291) è detto, che la natura delle aspirate sonore
(gh dh ecc.) e della spirante sonora (^) è fiato-e-suono (v. sopra,
pag. 17). Quanto alle prime, questa definizione si coucilierebbe otti-
mamente colla loro pronuncia attuale (v. sopra, pag. 12), che vi fa
susseguire un elemento sordo (fiato) ad uno sonoro (suono); e circa
lo h (y. pag. 13-4 e il § 34) è da considerarsi, che le sue ragioni eti-
mologiche volendolo, per gran parte degli esemplari, tra le sonore,
alle quali la grammatica pur lo ascrive, e la pronuncia indiana vo-
lendolo, all'incontro, sempre ormai fra le sorde, per un'alterazione
del valor fonetico che gli era primamente proprio ne' molti esemplari
a cui alludiamo, alterazione che del resto non si è di certo compita
tutta ad un punto né contemporaneamente in tutti gli esemplari; ne
viene, che la doppia natura di fiato-e-suono sussisterebbe, comechè
in senso diverso, anche per esso (v. ancora la 1." n. al § 34). Questi
potrebbero essere i fondamenti istorici dell'allegata sentenza; ma
parrebbe fare ostacolo, per vero, una affermazione precedente (ib. 1:
ubhajà vataraubhàu, cfr. Regnier, ib., 301), giusta la quale le con-
dizioni di fiato e suono si conseguirebbero entrambe per una postura
intermedia della glottide, tra V allargato, cioè, che dà le sorde (fiato),
e il contratto, che dà le sonore (suono); dal che si vuole inferire che
le aspirate sonore, alle quali di poi si attribuisce la natura di fiato-e-
suono, non s'intendano constare di doppia emissione, ma bensì di una
emissione sola, che stia tra il sordo e il sonoro. E in effetto,. un altro
150 § 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE.
Cordi neir aflfermarci , che le medie aspirate suonino in' bocca
degli odierni Indiani quali medie susseguite da Un'aspirazione
FratìQdkhyà (Tàittirija-Pràtigàkhja, ed. Whitney, New-Haven, 1869|
II, 6, 9) afferma in modo esplicito, che nello h e nelle medie aspi-
rate l'emissione è ha-kàra, cioè questa intermedia tra fiato e suono.
Ma, limitando qui il discorso alle medie aspirate, la ambigua natura
tra sordo e sonoro, e il principio della unicità fonetica, contrastano
dall' un canto colla pronuncia attuale e colla storia, e dall'altro col
complesso delle determinazioni degli stessi grammatici , pei quali pur
si tratta costantemente di base media, a cui si combina spirante (saus^
man, combinata-con-spirante , = aspirata); e la sentenza, di cui ra-
gioniamo, dovrà aversi per uno spediente, al quale conducesse la
teoria della con-germinazione anziché della con-giunzione del requi-
sito specifico delle aspirate ecc. (Rgv. Pratig., ib., 6), od altra squi-
sitezza consimile. Nello stesso Pràtigàkhja del Rgveda (ib., 5) si ag-
giunge, che, secondo alcuni, V aspiramneto delle aspirate avviene per
spirante omorganiea, nelle sonore per [spirante] sonora (cioè per h;
ha-kàraina, dice il commentario, ap. Regnier, ib. , 308, alla quale
espressione non è possibile dare, in questo caso, il valore che testé
vedemmo convenirle nel Tàittirija-Pràtigàkhja). Intendono, che nelle
aspirate sorde succeda alla tenue una continua, e quindi Vi si abbia:
/j+una specie di visarga (gihvàmùlìja, cfr. p. 14), * + «, t + s, ecc.,
mentre nelle aspirate sonore avremmo: media + h, vale a dire, astra~
zion fatta dalla sottigliezza della doppia natura di h, la loro pronun-
cia attuale. Che poi le aspirate tenui avesser mai suonato ts ts ecc. ,
è sentenza che non ha per sé il minimo argomento positivo, né dall'ef-
fettiva pronuncia, uè dall'istoria; e non vale di certo a confermarla,
anzi ha l'effetto opposto, il veder che sia senz'altro estesa, e di certo
per mero arbitrio, anche alle aspirate medie, da un'autorità a cui ve-
diamo ricorrere il commentatore del Pràtigàkhja dell' Atharva (1, 10).
Né tampoco può smuoverci il veder che questa sentenza ora trovi,
come avemmo ad accennare nella nota che precede , un nuovo e ri-
soluto fautore europeo, nello Scherer; poiché l'acuto alemanno sem-
bra non volersi dare alcun pensiero delle obiezioni che insurgono dai
fatti. Come sostenere così, senza alcuna prova, che bv, per limitarci
all'esemplare labiale, abbia potuto farsi 5 /i? Qui naturalmente si ri-
§ 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 151
'ben distinta {g-h ecc.), sia che le leggano nel sanscrito o sia
che ne proferiscano la integrale continuazione ne' volgari san-
producono le difficoltà stesse che nel testo si oppongono alla ipotesi
della semplice spirante; e sono: la mutazione per sé medesima inau-
dita, e l'essere affatto aliene dalle aspirate le lingue che nell'India
reagirono sulla favella ariana. Lo bv poi si sarebbe ridotto, secondo
lo Scherer (o. e, 47), a p/* greco, 'ponendosi la fricativa sorda al
posto della sonora*. Egli dunque vorrebbe: hv hf pf. Ma, a tacere
della stranezza di questo arbitrario hf, ha egli pensato lo Scherer
a invalidare l'affermazione, tanto ben fondata e sostenuta, di muo jph
proto-greco? Intanto noi ritorniamo alle Indie, per avvertire che un'al-
tra autorità ancora, citata dal commentatore medesimo (ib., Whit-
NEY, Journal of the Am. Orient. Soc, VII, 346, 591), descrive bensì
distesamente le tenui aspirate secondo la sentenza a cui alludiamo
(<+s, ecc.), ma delle aspirate medie dice solo, che sono le medie
con la spirante seconda: ùsmanà fia dvitijaina. Le quali parole
direbbero secondo l'interpretazione più ovvia, adottata dallo Whit-
ney, 'colla spirante che è seconda nella serie*. Ma in qual serie la
cerchiamo? Sarà forse la seconda nella seconda sezione delle spiranti
[lo gihvàmùlija], giusta l'ordine del Prà^ipàft/y a del Rgveda ? Nes-
suno può crederlo ; e confesso, che a me piuttosto pare di aver dinanzi
una di quelle costruzioni che si direbbero di composto disciolto, e tra-
durrei: colla spirante per accompagnatore, per secondo membro; e
pur qui dovrebbe per ùsman intendersi quel solo ùsman che a medie
si convenga, cioè il sonoro: h. L'ultima allegazione del commenta-
tore del Pràtigàkhja dell' Atharvaveda, è preceduta dalla breve no-
tizia che segue: 'dice un altro: la quarta [cioè la media aspirata, si
ottiene] per mezzo del h (apara àha Raturthau hakàrainaiti ', o vor-
remo qui attribuire a ha-kàra il significato di emissione intermedia,
che deve spettargli nel passo del Tàittirija-Pràtigàkhja aìlegaiio di
sopra?)*. - Io penso, che la dottrina indiana àeìV aspiramento per
spirante omorganica possa avere avuto la sua buona ragione in
qualche antica sentenza, più tardi frantesa, che alludesse al variar
dello h secondo l'organo diverso della esplosiva a cui succede, così
a un di presso come s' hanno tre diversi ùsman, che in fondo non
ne costituiscono se non uno solo (il visarga), determinati, piti o men
decisamente, dalla consonante che sussegue.
152 § 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE.
scritici viventi *. Le trascrizioni indigene in caratteri arabici
rendono l'aspirata media, del pari che la tenue, per due ca-
ratteri, il primo de' quali rappresenta la semplice esplosiva, me-
dia 0 tenue, ed il secondo uno h inglese o tedesco. Né può cre-
dersi in alcun modo che questa pronuncia abbinata sia fenomeno
di età recente. Vedemmo, discorrendo dell'alfabeto (p. 12), come
lo dh del pracrito dhzdà, figlia, consti etimologicamente de' due
suoni che stanno distinti e divisi nella forma archetipa: duhitd;
e se, nel medesimo idioma pracrito, le antiche medie aspirate,
così come le tenui, assai frequentemente si riducono al solo h
(quindi, a cagion d'esempio: ahi = sscr. ahhi, ad-; uhaja = sscr.
ubhàja-, amendue; come naha- = sscr. nakhà-, unghia, o lihanti
?: sscr. likhànti, pingunt, scribunt), e pur l'idioma palico, d'ac-
cordo col pracrito, dice lahu- e hauti {hòti; pracr. hodi) pei
* Così per es. lo Shakespear, del bh indostano: 'as b with aa
aspiration, sensibly expressed, yet closely as one individuai lettre.'
Il missionario citato a pag. 108 in n. , insegna anch'agli: ^bha secun-
dum b, quod aspirationem sibi adiungit, dicendo bha^ ; ma allo dh
attribuisce stranamente fuii^ione doppia: 'est secundum d asperum,
cui debetur aspiratio h, et etiam respondet ad graecorum 8 delta.'* Il
fisiologo BrIìcke, dal quale erano stati primamente mossi gli scru-
poli, di sopra toccati, circa l'ammissibilità di vere aspirate medie,
potè poi studiare dal vero la pronuncia delle aspirate dell* indostano;
e le risultanze della sua indagine si hanno sommariamente nelle tra-
scrizioni che ora seguono (v. Uber die aussprache der aspiraten im
hindustani, nei Rendiconti dell' Academia di Vienna, Classe fìlos.-
istor. , XXXI, 219-24). Sono da leggersi secondo pronuncia tedesca,
e la lineetta indica una pausa, comechè minima. Media gutturale
aspirata iniziale: gkhsi,s, gkhiirsi] stessa aspirata interna: pi^-Aàlnà,
pi^'-c/ilana ; stessa aspirata finale: ha,g-h. Può quindi conchiudersi,
che se, dall' un lato, la fisiologia non aveva avuto torto, resta sem-
pre, dall'altro, che la glottologia avesse ragione (cfr. p. 153-4). Il
valor fonetico rappresentato per gkh- ò prezioso per la evoluzione
delle aspirate che pi^ innanzi vediamo compiersi nel greco, nell'ita-
lico e nello zingaro (§§ 31-2).
§ 30, DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 153
sanscriti laghii-, levis, bhàvati, est, questa riduzione mal si
potrà dichiarare altrimenti, che per la progressiva prevalenza
del h sopra l'elemento esplosivo al quale si combinava, e quindi
attesterà, per età abbastanza rimote, un valore fonetico delle
aspirate medie non diverso da quello che oggi si hanno. Il quale
per doppia guisa si confermerebbe dal pracrito hahini (*baghinl)
= sscr. bhagìni, sorella, lo h essendovi cioè migrato dalla esplo-
siva iniziale alla mediana, ed avendo poi supplantata questa *.
Ma ancora nel sanscrito stesso, come si può dichiarare il feno-
nomeno assimilativo e metatetico insieme, pel quale, a cagion
d'esempio, labh, asseguire, -congiungendosi col suffisso -ta, dà
normalmente lahdhà-, o il fenomeno di aspirazion compensativa,
pel quale, a dir di un solo esemplare, dah (*dagh), ardere, fa
normalmente nell' aoristo vedico: dhàk **, se non ammettendo
tali medie aspirate, quali ce le offre la odierna pronuncia"? Gh,
dh ecc. son dunque nell'India, e da gran tempo, esplosive me-
die susseguite da 7ì; e se questo fatto ci libera dalle lievi dub-
biezze che le sofisticherie de' grammatici possono suscitare, la
esclusione a priori di simiglianti aspirate, che dal campo della
fisiologia fu avventurata, se ne addimostra, alla sua volta,
insussistente, comechè non si voglia negare che un brevissimo
interstizio debba indispensabilmente intercedere tra il proferi-
mento della media e quello dello h, e quindi la media aspirata
non si possa dire, a tutto rigore, un suono individuo. Il quale
interstizio però, a ben vedere, non solo non ripugna alla costi-
tuzione di una qualsiasi vera aspirata, ma anzi si avrà piut-
tosto a riputare ad essa inerente ; posciachè la ragion prima
di ogni vera aspirata indo-europea stia veramente per nostra
sentenza in ciò, che allo spiccato e quasi divulso proferimento
della esplosiva succeda uno spirito aspro, che viene come a
* Cfr. Lassen , Institutiones pracriticae, pag. 203, 210; e i miei
Stuój critici, II, 112.
** Cfr. dhak da dagh, raggiungere, ap. Boehtling-Roth , s, dagh
e dah.
154 § 30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE.
congiungerle il resto della parola. Cosi la genesi dell'aspirata
che è nei sanscriti dhd, porre, dhmà, soffiare, si determina, se-
condo il nostro concetto, nella guisa che segue: d'-hd, d'-hmà,
e non diversamente quella dello th di sthd, stare: st'-hd. Del
che si avrebbe, per avventura, la miglior dimostrazione in for-
me paleo-irane sulla stampa di mithra (Mitra, amico, amore;
sscr. mitra) o *mudhra (sigillo; sscr. mudrà), cioè veramente
mit'-hra mud'-hra, ridotti in pronuncia odierna a mihr muhr.
Ma riserbando ad altro luogo considerazioni men brevi intorno
alla genesi delle aspirate indo-europee *, qui intanto ci rimane
ancora questo doppio quesito: l'aspirata media, quale è oggi e
quale è da gran pezzo nell'India, potrà ella essere stata in età
anteriori una semplice continua sonora (spirante), oppure una
aspirata tenue% E la risposta dovrà pur sempre essere nega-
tiva. Poiché vi ha primamente, che entrambe le ipotesi hanno
contro di sé il fatto dello z indo-irano (§34), il quale essendo
una continua sonora ed esistendo allato a gh da cui solita-
mente proviene, attesta che gh sia consonante che dalla conti-
nua si distinguesse e fosse insieme sonora anche nell'età indo-
irana. E le ulteriori comparazioni ugualmente non persuadono
alcuno de' due supposti. Bh sanscrito , poniamo , incontrerà ce
greco e /"proto-italico (§ 32), h proto-irano, h celtico, h litu-
slavo, h germanico. Ora una continua sonora pre-indiana non
ha conferma da alcuno di questi riflessi; e il supposto della
tenue aspirata pre-indiana trova l'ostacolo gravissimo della
media irana, litu-slava e celtica **, laddove la divergenza italo-
* Per ora mi limito ad aggiungere, come al mio concetto non ri-
pugni la media aspirata finale de' volgari neo-indiani, siccome quella
che primamente era interna; e come lo favorisca il sanscrito, con
l'assoluta sua esclusione di aspirata finale.
** Quanto alla germanica, chi prenda, come fecero il Grimm ed
il Raumer, per termine fondamentale la figura greca, trova p. e. b
got. -ph (cp), e quindi conchiude che si abbia media gotica per tenue
aspirata (o spirante sorda) anteriore, così come nel secondo stadio
§•30. DELLE ASPIRATE SANSCRITE IN GENERALE. 155
greca si dichiara, come a suo luogo vediamo, in modo affatto
naturale. L'ipotesi del tutto arbitraria che la media aspirata
indiana provenga da spirante anteriore, incontrerebbe poi spe--
cialmente questa difficoltà: che se, dall' un canto, il processo
fonetico pel quale una continua si converta in media aspirata
(v, a cagion d'esempio, in bh) è affatto enorme e inaudito,
s'aggiunge, dall'altro, per l'India, che lungi dal potersi avere
una qualche legittimazione di questo singoiar processo nell'in'
dole peculiare delle lingue aborigene che reagirono sulla so-
vrapposizione ariana (Lez. VI), queste all'incontro sono affatto
aliene dalle aspirate, siccome quelle al cui fondo originale siffatti
suoni son del tutto estranei *. L'ipotesi, finalmente, che la me-
dia aspirata indiana sia primamente stata un'aspirata tenue, è
ancora sgominata da altre peculiari ed assai gravi obiezioni.
Dovrebbe, cioè, l'alterazione di kh in gh ecc. risalire, per dir
poco, all'età indo-irana, in questa distinguendosi, come le con-
cordanze zendo-sanscrite ci mostrano, la serie delle tenui aspi-
rate [kh, th,ph), rimaste sempre tali, dalla serie de' suoni che
si continuano per medie aspirate sanscrite e medie zende. Ora,
dove mai troviamo alcun' ombra di analogia per simigliante e
del tralineamento germanico, ma solo per la dentale, si ha media
alto-tedesca rimpetto a tenue aspirata (o spirante sorda) di anteriori
età germaniche (v. p. 63-4). Ma non si dovrà piuttosto ricondurre
senz'altro la media gotica alla media aspirata originaria (b a, bh ecc.),
qonchiudendo, che se per questa parte non si altera in favella proto-
germanica il metallo della consonante (media per media), ciò dipenda
dal trattarsi nelle origini di media aggruppata {b + h ecc.), e s'abbia
quindi un caso analogo alla tenue che si mantiene intatta quanto
sussegue a s, e con ciò una special riprova germanica per la media
aspirata originaria?
* Cfr. la Lez. VI; e I'rumpp nel Giornale della Società orientale
germanica, XV, 728, conWEiGLE, ib., II, 262-3. Quindi, a cagion
d'esempio, i sanscriti Vidjàdhara Gàndharva Siddha Cambhu, di-
venteranno, passando nel tamilo (idioma dravidico) : Vittijàdara
Kàndarva Citta Cambu\ cfr. Studj critici, II, 114, in n.
156 § 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
tanto estesa digradazion fonetica in cosi rimota età, e come
ammetterla in tali congiunture appunto (k + h, t + h, ecc.), le
quali tanto poco le son favorevoli, anzi tanto le son contrarie,
che i suoni, a cui per essa il linguaggio si sarebbe ridotto,
ben lungi dal corrispondere al naturale intento delle digrada-
zioni fonetiche, cioè a quello di alleviare la pronuncia, sono
siffatti, all'incontro, che perfino si vollero fisiologicamente im-
possibili'? Tutto quindi cospira ad accertarne, che i suoni i
quali sì continuano per le medie aspirate del sanscrito, diversi
dalle pure medie fin dalle origini, come il riflesso gotico vien
tra gli altri a mostrarci, fossero, sin dal periodo unitario,
esplosive sonore susseguite da più o men densa aspirazione, e
che il sistema fonetico del sanscrito non sia quindi men fedele
per questa parte al sistema originario, di quello ch'egli sia
nella continuazione della pura tenue e della pura media *.
§ 31. Viene ora la volta delle consonanti greche: •/, 5, 9; e prima-
mente si domanda , se nell' antichità ellenica fossero mere spi-
ranti, cioè continue, così come il sono, massime y, Q ^ {h e f),
nell'odierna favella greca, oppure se non fossero vere aspirate,
0 meglio esplosive susseguite dì un accessorio, la natura del
quale è insieme involta nello stesso problema. Che la pronuncia
di queste consonanti le rendesse ben distinte, nell'antichità,
dai suoni continui che in moderni tempi lor corrispondono, ed
anzi le mettesse tra le vere esplosive, risulta principalmente
dal fatti che ora enumeriamo : 1 .° / e tp debbono avere assai
notevolmente differito da. h e f, poiché i Latini, nell' appropriarsi
* Cfr. Curtius, Zeitschrift s. e, II, 323-8 (Grundzùge ecc., sec.
ediz., 373-7); Grassmann, ib., XII, 81 e segg.; Arendt, loc. cit.,
pag. 285-308. Mancano, a mio vedere, di ogni persuasività, le consi-
derazioni del Raumer : Gesammelte sprachioissenschaftliche schriften ,
pag. 391-3. E chi volesse far valere per gh da kh ecc. la trascrizione
greca 2o<p!XYaar^vo; = Subhagasainas (A. W. Schlegel, Indische biblio-
thek, l, 24S) y mostrerebbe di aver dimenticato 1' Outvotov opo; (Vin-m
dhja), i ravSdcpat {Oandhàra), e altrettali,
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. 157
l'alfabeto greco, non si adattarono a rappresentar questi per
mezzo di quelli*;- 2." nell'antichissimo alfabeto greco che si
ricava da iscrizioni di Thera e di Melos, isole del mare egeo, lo x
è ancora rappresentato per KH (cui si aggiunge QH, v. p. 59 in
nota), e (f per nH, delle quali rappresentazioni si ritocca tan-
tosto; - 3.0 l'arcaica trascrizione latina dì x, ^, (^, è e, t, p; ~
4.0-5." il fenomeno raetatetico, pel quale, a cagion d'esempio,
Tp7 + i; (trikh + s) dà 3pt^ (thrik-s), capello, capigliatura, o la
normale reduplicazione per mera tenue, come in Tt-^>)-iji.i (ti-thé-
-mi), pongo, son fenomeni che male si possono conciliare con
l'ipotesi dell'antica spirante; - 6.° si aggiungono quelle ortogra-
fie per le quali addurremo l'esempio xà^' cpa'Xapa (II., xvi, 106, ad
clavos-cassidis; per }<.olt[(x.] ^a'Xapa; cfr., piuttosto che il restituito
xocTco^ifxsvof;, l'esichiano xàTrcpays = xaracpaye), che ci dà t: per t as-
similato a cp, ed entra veramente nella regola di ■^<f per doppio
f, ecc. **. Questi argomenti, ed altri consimili, alcuni de' quali
non tardiamo ad incontrare, persuadono adunque che si tratti
di suoni esplosivi, e rimarrebbe a definirsi la qualità dell'ele-
mento accessorio pel quale si distinguevano dalle pure tenui.
Qui son due essenzialmente le opinioni che si stanno di fronte.
Per l'una, l'aspirata greca avrebbe consistito, sin dalle origini,
della tenue susseguita dalla spirante dell'organo respettivo ***;
quindi approssimativamente kh, ts, pf; per l'altra, all'incontro,
avrebbe primamente consistito della tenue accompagnata dalla
* La presenza di /^ (\1/) e cp, cioè di segni monografici per kh e ph
mal saprebbesi revocare in dubbio per quell'alfabeto greco onde il
latino deriva. Occorrono essi (a tacer dell'etrusco) negli antichi al-
fabeti greci ritrovati in Italia, e non sono estranei se non al solo
alfabeto di Thera e Melos. Cfr. Kirchhoff, Studien zur geschichte
des griech. alphab., sec. ediz. , pag. 133-4, 120, 116.
** V. ancora Curtius, op. cit. , sec. ed., p. 370-2; e qui innanzi,
a pag. 162.
*** Cfr. Ebel, Zeitschrift s. e, XIII, 265-8; Raumer, 1. e, 386,400
(ma più prudentemente ib. 98), e Brucke, Giornale pei ginnasj au-
striaci, IX, 696 (699).
lèS § 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
mera aspirazione: h; quindi kh, th,ph, come nella odierna pro-
nuncia delle tenui aspirate sanscrite. Ora, per la seconda sen-
tenza stanno apertamente due dei fatti che testé adducemmo nel-
l'intento di accertare la qualità di esplosive a x, 5, cp. Imprima
quello della metatesi (*trikh-s, thriks); poiché se ^pt'^ è tsriks ,
non si comprende come lo k mancato all' uscita del tema {trikh-)
si riversi sulla muta iniziale in forma di s. Poscia quello di
KH = •/ e IIH = cp ; poiché ben sarà vero che queste rappresen-
tazioni biletterali fossero un ripiego al quale costringeva il
non trovarsi pronti, nella scrittura fenicia, rappresentanti ade-
quati dì y e di cp, ripiego che assai per tempo cedette il luogo
all'invenzione di appositi caratteri, ma non per ciò potrà ne-
garsi che sia un fatto importante per la nostra indagine questo
dello H, cioè del carattere che insieme serviva anche per lo
spirito aspro, assunto alle funzioni di rappresentare il suono
accessorio che accompagnava la muta in x ed in <?. Dove an-
cora va considerato, per ultimo, il fenomeno di x x ti che ade-
rendo a spirito aspro si facciano -/, -^ ?> come è per esempio in
l^oStov (ciò che si ha per un viaggio), che è pur del greco mo-
derno e consta di ìm + hh-io-. Del qual fenomeno si potrà per
avventura disputare se propriamente provi che / 5 cp valessero
k-h t-h p-h *; ma certo è che per lo meno se ne addimostri,
nel più irrefragrabile modo, come k-h Uh p-h vengano a con-
tinuarsi per: i à a». Le più antiche testimonianze intorno
alla pronuncia, e le ragioni intrinseche della lingua, cospirano
* Così l'Ebel, 1. e, p. 268, vuole che le figure jonie àvr' 'tirTrou
da cavallo (stando a cavallo), sTtopao) (iTrt' + ópato), osservo, e simili ^
allato alle attiche: àcp' ^tczou, ecpopaw ecc., provino contro ^=p'h ecc.;
posciachè, die' egli, se àcp"t7nrou scopai» sono ap-h (h)ippù ep-horaó ,
non s'ha più alcuna differenza tra queste figure e le jonie. L'obie-'
aione è speciosa, ma non si regge bene; poiché la differenza starà
veramente in ciò, che lo spirito fosse poco o punto sensibile in prò-'
nuncia jonia, e quindi vi si avesse quasi apippù per Vaphippù degli
Mtici. Cfr. p. e. KUhner, Ausfùhrliche gramm. d. griechisch. spr. ,'
sec. ed., Annover, 1869, p. 100-1.
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. l59
quindi a persuaderci che il primo valor fonetico rappresentato
da X 5 cp fosse k-h t-h p-h, ed è persuasione che avrà piena
conferma dalle ragioni comparative. Ma non resta per ciò men
vero, che, a tacer d'altro, lo 5 soleva ridursi, fra'Laconj, a a;
che inoltre, sin da' tempi di Quintiliano, lo cp più non doveva
essere una tenue aspirata alla indiana, se egli lo metteva tra'
suoni dolcissimi, tra le grazie migliori dell'invidiata favella
de' Greci * ; e che , finalmente , nella odierna pronuncia degli
EUeni, /. (= eh gutt. ted. **; h) e o {= f it.) vanno a dirittura
tra' suoni spiranti o continui, e ^, alla sua volta, che si ac-
costa allo th sordo dell'inglese, o li rasenta, o affatto v'entra
esso pure. La evoluzione fonetica, per la quale da p-h, a ca-
gion d'esempio, si viene a /*, deve naturalmente essersi com-
piuta a grado a grado, e non in tutte le congiunture, o in
tutti gli esemplari di una stessa congiuntura, ad un tempo, né
» Inst. or., XII, 10, 27. 28; v. Studj critici, II, 205-6. Ma dal
passo di Platone nel Cratilo, in cui cp, <|/, d e C, si dicono lettere ven-
tose (xvsufAaTwSv]) nulla od assai poco ci è dato inferire. — La nota
sentenza di Prisciano (sesto secolo), giusta la quale non naolto dif-
feriva il gr. ^ dal f lat. (I, 14: hoc tamen scire debemus, quod non
flxis labris est pronuntianda /", quomodo ph [<p] , atque hoc solum
interest; cfr. ib. 25), si può forse sospettare di essere un po' troppo
livellatrice, stante il suo proposito di volere f tra le mute anziché
tra le semivocali, volerlo cioè àcpwvov piuttosto che :^[jLt'iytovov, come
con suo stupore gli artium scriptores facevano. 'Sciendum tamen
(aggiunge), quod hic quoque error a quibusdara antiquis Graecorum
grammaticis invasit Latiiios, qui <p et ^^ et / semivocales putabant,
nulla alia causa, nisi quod spiritus in eis abundet, inducti.' È noto
che Dionisio Trace pone i, 5, cp, come sempre si fa ancora, tra le
à^tova, dove Sesto Empirico, all'incontro, pur tenendo conto dell' o-
pione di coloro (Ti've;, Ivtot) che a questo modo le collocano, le manda
fra le ^^ixi^wva; circa le quah denominazioni, non voglionsi mai di-
menticare i contesti. V. p. e. Lersch, Die sprachphilosophie der al-
ien, 11,73, e cfr. ib., 262-4.
*• Innanzi ad e ed i, x suonerebbe come lo eh palat. dei Tedeschi.
Ì60 § 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
ad un tempo e a un modo stesso (massime per ^) nelle varie
contrade; e non saprebbe d'altronde negarsi, che lungo i secoli
venissero surgendo, per successivi inaspiramenti, tali esemplari
di X ^ <p, che non avranno mai avuto il pieno valore di k-h t-h
p-h *. Primo a volgere in spirante dev'essere stato lo p-h, co-
me è, tra l'altre, mostrato dall' aversi costantemente /*= cp nelle
voci greche venute agli idiomi romanzi pel tramite del latino,
quando all'incontro vi si ha costantemente e = /. e ^ = ^; p. e., in
favella italiana, filosofìa (nell'antico irland.: felsuh, philoso-
phus, fellsube, philosophia) = ©iXoaocptoc, ma corda = jo^H, chi-
tarra^ xt^ocpx. Lo 5 moderno, che tuttavolta ha qualche buon
diritto a restar tra le esplosive, e può dirsi, per approssimazio-
ne, suono intermedio tra ^s e 'f, è, del resto, il miglior testimo-
nio istorico della via che tennero le antiche aspirate greche per
volgere in spiranti, appunto perchè t-h si è per questa via ri-
dotto a foggie varie, in parte da lui e tra loro acusticamente
assai rimote. La base delle diverse alterazioni di t-h si può rap-
presentare graficamente per ts, e quindi vi abbiamo la tenue
susseguita dalla continua che a lei corrisponde, anziché dalla
mera aspirazione; il qual fenomeno avviene, di necessità, quan-
do il contatto, formatosi per la produzione della tenue (p. 18),
si discioglie in scarsa misura, anziché prosciogliersi di un tratto
largamente, come è d'uopo perchè dietro a lei si produca lo
h **, Ora, di questa guisa, k-h darà kh (muta e continua gut-
* Si allude principalmente alle combinazioni y^- -/5- <p5- -;p5-. Due
aspirate sanscrite, all'incontro, non si combaciano mai; ed è un'ec-
cezione solo apparente il raddoppiarsi di qualche aspirata in orto-
grafie insolite ihhRh, dìidh rdhdhy dhdh). Le aspirate sanscrite, sì
tenui e sì medie, non occorrono se non dinanzi a vocali, a semi-
vocali ed a nasali. V'ha, del rimanente, questo di comune al san-
scrito ed al greco, che entrambi gl'idiomi aborrano dal tipo radicale
in cui s'abbia insieme aspirata iniziale ed aspirata uscente (v. Vlnd.);
dal che nuovamente si conferma la qualità di aspirate vere pei ri-
spettivi suoni indiani e paleo-greci.
** Brùcke, op. cit. , p. 59; cfr. Raumer, Die aspiration xmd die
lautverschiebung , §§ 43, 52, 60, Ebel, 1. e, p. 265-6.
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. 161
turale), che assai naturalmente finisce per ridursi al sem-
plice U', e p-h, alla sua volta, darà pf {mxkÌB. e continua la-
biale), che altrettanto naturalmente si riduce a poco a poco
al semplice /! Ma dato uno t-h, il cui t sia il t'" del fisiologo
Briicke, sia, vale a dire, un t qual si produce a denti un
po' schiusi e colla fessura otturata dall' orlo della lingua , e
quale da noi si arguirà anche altronde che fosse proprio al-
l'antica Grecia (v. Lez. VII), allora l'appendice fricativa sarà
a un di presso quello g [e, z) spagnuolo che 'se forma con la
estremidad de la lengua casi morbida de los dientes no apre-
tados*, il suono, cioè, che rappresenteremo, un po' per conven-
zione, collo p dell'alfabeto islandese (al quale togliamo anche
la corrispondente continua sonora: cf) e facilmente degenera
in suoni diversi, come ha tentato descrivere il medesimo fisio-
logo *, e come noi stessi avremo occasione di avvertire in ap-
presso. Delle combinazioni intermedie che noi dunque scrive-
remmo: kh ip pf, può veramente conchiudersi che all'odierna
pronuncia degli EUeni poco di più rimanga che la parte acces-
soria {/_ = li, ^ =p, ^ =f)', 6 se dello 3- ebbi a dire poco stante,
che pure in moderne età serbi qualche diritto ad essere anno-
verato tra le esplosive, con ciò in ispecie alludevo alle sorti
dello 5 nelle colonie greche, tutt' altro che paleo-elleniche, della
Terra d'Otranto **, dove la pronuncia sua, al punto dell'im-
migrazione, si avrebbe a rappresentare, al modo nostro, per ^p;
il qual suono, avversato eziandio dall'influsso italiano, venne
* Op. cit., p. 39. — Con p rappresenteremmo dunque lo th sordo
dell'inglese (p. e. in thief, ladro), e con d lo th sonoro pur dell'in-
glese (p. e. nell'artic. the).
** Le notizie intorno ai dialetti greci di queste colonie sono attinte
per la maggior parte dalla Fonologia che di essi ci porge un mio
caro discepolo, il dott. Giuseppe Morosi, ne' suoi pregevoli Stuàj sui
dialetti medesimi, fatti sul luogo e ora in corso di stampa. Mi valgo
eziandio dei Saggi dei dialetti greci delV Italia Meridionale , raccolti
ed illustrati da Domenico Comparetti, Pisa, 1866 (p. 45-81), che
son poi la fonte principalissima per le colonie calabresi.
Ascoti , Fonai, indO'U.'C/r. Il
102 § 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
a determinarsi ora in puro t {^p, t) ed ora in i (= ,s francese;
'kl, i), secondo che ora vediamo:
1 ''■'. In tutte quelle colonie ò t costantemente per 5 iniziale (ma non
vedo eserapj per 3- iniziale innanzi a liquida): tdnato = ^y.vxTo:; ,
morte; ti'do = S-iloa, vog'lio; fermò = S'i^aó^ , caldo ;. ifero = .3"£po; ,
messe; f?"o = ^éTo;, zio; ;^eó = .S-òói; , dio; talassa ■= ^iXxnax {mes 's ti
ttdlassa, in mezzo al mare, Canto cxxv ap. Morosi; talass slt^.
CoMPARETTi, pag. 50, 51). Fa eccezione: seó = ^loq, dio, a So-
leto **. E in tutte è pur t per 5 interno, ^^quando sussegua a
* Morosi, pag. 107; cfr. 131-2. Dì ^ ridotto a x in altri dialetti
neo-greci tocca il Mullach, Grammaiik der griecMsch. vulgarspra-
che in historischer entwicklung ^ p. 28, 89; vedi ancora la n. * della
pagina che segue, e la n. a pag. 164 per x da /. Questi fenomeni
neo-ellenici mi pajono assai infelicemente giudicati da Enr. Roscher,
nella sua Memoria De aspiratione vulguri apud graecos (ap, Curtius,
Stud. zur griecMsch. u. lateinisch. gramm., fascic, li, 63-127), 117,
la quale va ricca, del resto, di erudizione bene ordinata {y. Aspi7''a-
menti). — 11 8 non è mai fricativo (e?) in Terra d'Otranto, com'è
nella moderna Grecia; ma è sempre schiettamente esplosivo (d), così
iniziale come interno (Morosi, p. 106). Questo fatto può egli infir-'
mare l'induzione che il t per ^, della stessa Terra d'Otranto, sia
documento di ^ non peranco ridotto a mera fricativa? Non parmi
affatto; è ben piuttosto avremo a dire, che o, alla sua volta, fosse
primamente, in queste colonie, uno dd collo d appena incipiente, il
quale d venisse poi a dileguarsi, come si è dileguato anche l'elemento
fricativo dello tp iniziale, dove all'incontro nello tp (onde dd ^d) me-
diano la fricativa dev'essere stata piti gagliarda, ed ha vinto.
** Non è inopportuno, ricordare, come fa il Morosi, il laconio ciò';
= -^có;, comechè mi paja piti probabile che si tratti di riproduzione
del fenomeno, anziché di continuità isterica. Anche dubiterei se que-
sta di seó = 5ìo; sia proprio l'unica eccezione; poiché in hiatéra .{e
iatéra) = romaico ^\j\^]v.xi^x^ figlia» è impossibile tener lo ?i pel se-
condo elemento del paleo-ellenico th, ma ben piuttosto avremo: 'ciuoc-
Tepa (cfr. l'equivalente zaconio ffuaxv] , che si pronuncia sdii), onde si
ottiene normalmente: sjatéra, sjatóra, e da questo, con pronuncia ral-
lentata (cfr. jp. e. il calabr. liuri = napol. sore , fiore) : hiatéra. Quanto
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. 1.631
consonatite: ecjherti - l^i^ò(\ [■^y^'p'^'ì] (Comp. , p. 55) , dèstossi ;
irta = ^i\k^x [-^X^ov], venni *; eclisti = èxÀsia^yj (Comp., p. 49),
si chiuse **; spitta = (jTttv^/j'p, scintilla; patterò = 7r£v.3-ipo?, suo-
cero; «nfrepo = cév^pwzo;, uomo. A 5 iftterrio, tra votali,
risponde il dialetto di Sternatia parte ancora col puro t e "parto
con d', gli altri, di regola, col s italiano di deriso, cioè collo z
della nostra trascrizione. Quindi, nel dialetto di Sterriatia: ■itela
na mata = romaico vj^iXx vx (xa^-w, vorrei apprendere ***; litàri
- Xt.3-ocpiov, pietra; spati = rom. UTta^i'ov, spada; pidami = <y^(r
^ait-y], spanna;- mentre negli altri si direbbe: ikela , liàdxi.ix
spazi ****; e così, a recare un diverso esempio, pezénno = rem.
è finalmente allo gh che occorre di continuo in g fiorò = romaico 5(opò>
(^ìope'w; in Terra d'Otranto: toro), io vedo, de' canti di Bova (Ca-
labria; ap. CoMPARETTi), e pur dovrebb' essere, secondo il Morosi:
(pag. 108), una continuazione del secondo elemento dell'antica aspi-
rata, a me pare abbastanza chiaro, all'incontro, comeichò non mi
sia dato di scernerne il preciso valore fonetico (si alterna con chy
G. XXXIV, XXXV, e g, C. xxxi), che esso surga di pianta in. bassi-
tempi, e si tratti di tioró (3-eopw) djoré {joró) gh[j}oròy cfr. il Mo-,
rosi stesso, p. 116 (3). 11 Witte (ap. Compar. , p. 88, 92) rendei^ebbe.
il suono iniziale del nostro verbo, ora. per eh, ed ora per gh {ì).l
. * Pur nel volgare di Grecia, oltre il p, anche il puro f: i^p^xj»
vìpToc; e analogamente: y^d'iitaxs. = ypx(^zG^i, siete scritti, va ypac^rw ^
Yfacp^co, che io sia scritto. V. Mullach, o. c, p. 287, 271, 273; cfr.
Curtius, Zeitschrift s. e, VI, 237-8, e la.n. * della p. preced.
.'** Notevole sarebbe crematza = [s]>cp£{A(X(r.&7), fa appeso, che il Com-
p.aretti (1. e, pag. 71, cfr. p. xvi) ha-da. Calimera, pure in Terra
d'Otranto; quasi collo st rovesciato. Ma il Morosi, pur da Calimera
(,Canto Lxxviii): na cremasti (cioè in trascrizione romaica: va xpe-
fAiatf^-vi), che sia impiccato; e cfr. ap. Comp., nel num. xliv : .-sii- =
-!75-, bis.
, *** Canto CLXV ap. Morosi, il qual però nella Fonologia scrive idéla.
A Zollino, che poco dista da Stern^tia, avremmo ,( Canto cxxxiii :
itela na su mazo , vorrei apprenderti (insegnarti).
**** Nel dialetto di Bova (Calabria; v. n. a.p. 161 ) trovo per.<3- ini-
Zriale: thelo = ^iXo), voglio-,, na tlierio = .^spt[.<7](o, che io mieta; Tha-
164 § 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
Tti^ai'vw (■jrat^at'vio) , muojo, insieme col più genuino peéinisco
= àTTo^-vyfoDioj , id.
Di cp, all'incontro, che suoni diversamente dal semplice f, non
veggo alcun esempio, né tra i coloni greci dell'Italia, né al-
trove. Ma kK dicon suonare ancora talvolta lo / in pronuncia
neo-greca; e in Terra d'Otranto è bensì, di regola, un sem-
plice/i {halàzi = yjxloiZ,io\), grandine; hrono = yoóyo:;, anno; ehi,
ei, = lyzi, ha, ecc.), ma pur vi ha traccia di ^^, e qualche esera-
pio ài k : i:: t: à *.
lassia;- per 3- interno, preceduto da consonante: efté (e così in Terra
d'Otranto: afte) = e/.S-£'? , jeri ; na 'rto = rom. vx 'p-^oj, che io venga;
ottria = ex-^pi'ix (rom. ò-y^-) , nimicizia ; - tra vocali : ecitten = èxéi^sv , di
là (C. XIII e XIX); ettutte «=■ rom. eSw^ev, di qui (Comp. ; C. v e xxv),
ne' quali eserapj è probabilmente preceduta una figura nasalizzata
(ecinten ecc., cfr. putte nel C. xvi), e quindi la differenza che è tra
di essi ed i seguenti: stathi = rom. ctx^/ì, stia (cong. aor. in funz.
d'inf.); alithia = àXvj'5-ctot, verità; mathenni = rom. {/.st^-xt've , apprendi
(imperat.); clotho = xltó^'à, torco; ennethe = rom. eyvs^c?, filavi; ithe-
Zesvj^sXs;, volevi. Avremmo, in fondo, sì per 5 iniziale (^^) e sì
pel mediano tra vocali (-^-), un suono stesso (th; presso il Witte:
dh; me dhelu, idhela)^ ma quale precisamente egli sia, non ci è dato
rilevare. Giova intanto esaurire questi canti di Bova , notando ancora
gl'isolati riflessi che seguono: afuda = rom. ^ouS-x, ajuta (imperai.),
afudia = rom. *pou3^£','x, ajuto (v. Comparetti, pag. 87-8; e anche a
Martano, in Terra di Otranto, fidò = jBori^w, io ajuto, afidia = ^07\-
5et!x, ajuto, Morosi, p. 107);- e cats'ora (ap. Comp., C. xxvi) = rom.
xa^'wpa, ogni ora, allato a caia pezzo (ih., C. xxi), ogni pezzo. Fi-
nalmente, potrebb' essere utile indizio lo th di spithia (C. ix, xiii,
dove il Witte ha spitia , e xv ) , spesso , se veramente si tratta della
riproduzione della parola italiana.
* Il Morosi ci off're (pag. 105) per A = ^ gli esempj che seguono:
érkome = cpyo[jLai, vengo; Cristo, XpisTo';; vascelli = [/.aff/aXr], ascella,
nei quali avremmo y aggruppato ad altra consonante. Aggiunge cor-
dónno, cui ragguaglia a -/opTto (= rom. -/opxai'vto?, pascere ecc.). Ma
astdcia o astdgia, spiche (òtjrotyu;, rom. xarx/y), e arcigno, comincio
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. 165
Rifacendoci alla grecità antica, troviamo dunque cTie 7^9
vi avessero il valore di vere aspirate tenui; ma già avemmo
(cfr. 'rsignasane, cominciarono, ap. Compar., p. 58), qui non ispet-
tano, d'altro non vi si trattando se non del fenomeno neo-greco,
già di sopra ricordato, pel quale y volge in suono palatino dinanzi
ad e ed i, fenomeno che in Terra d'Otranto non si mostra però co-
stante, di guisa che vi abbiamo simóna (scimóna) = rom. j^sifxwva;,
inverno, allato a Móni = rom. /toviov, neve. Calimera (sempre Terra
d'Otranto) ci darebbe poi talora, ma quasi esclusivamente iniziale,
gh (vera gutturale aspirata) per y: ghaldzi = haldzi = yx\xC,\.o^^ gran-
dine, egho = eho = syto, ho, ecc. ; ed è lo hli, accennato nel testo, con
media per tenue, come occorre, a cagion d'esempio, in damàzo = 'tu"
mdzo (.Jauaa^w, fo le meraviglie) appunto a Calimera. Curioso ricorso,
pel quale si ritorna alla figura fonetica delle origini {gh kh kU [1i]gh)'j
V. appunto yàXaS;» ed tyw neW Indice. — Nei canti di Bova (Calabria)
abbiamo: echo echei, s/w ^/n, ho ha; monacho, (aovx/o;, solo; zichi,
"^'jyjri, anima; [na] chiso, yufjta, che io versi; acharo, rom. à;^apo-v,
sgraziato, spiacevole, cattivo; dichia, Tsty(''«» mura (pi.); cheria chi-
ria, rom. xepiQc, mani; chili, chilucia (diminutivo italianeggiante ;
cfr. qui sotto: gortuci), rom. ytl'kiv. yetXaxia; erchome erchesai, sp-
yofxat ipyidxi, vengo vieni; chhnonia, y&i\t.Qyix, stagione invernale;
chorta, rom. yò^tv., erbe; chrono, xpóvo(;, anno; chilia, xt'^ta, mille;
chuma, yJo[i.x, terra. Sempre dunque, in sino ad ora, ■/ riflesso per
eh (con gh due volte: managhi = {xovx/yj', sola, C. xxix), sulla cui
pronuncia ci mancano però dati precisi. All' incontro è la pura tenue
in ercommo (C. xxvi) = epj^oujxouv , 1. sing. imperf., allato ad ercho-
me ecc. testé veduti; Cristo (p. 42); zicrada (C. xx), rom. ij^u/paSa,
freddo (sost.); crisi (pag. 42), rom. xpi>t7v[, aurea, e crisomandili
(C. xxxvi), rom. ^pu(To-[AavTi'Xtov, pezzuola d'oro; nei quali quattro
esempj è / aggruppato ad altra consonante. Mi restano: apocondria
(G. VII), uTioyovSpt'a , che però è probabilmente la voce italiana; gani
(C. XXV), rom. /avv], perda; gortuci, erbetta ( v. qui sopra: chorta
e chilucia); e finalmente: jereta = vora.. /atpsTa, saluta (imperat.)»
dove -/ dinanzi ad e subì l'alterazione palatina, di sopra discorsa,
alla quale sarebbe all'incontro sfuggito in chimonia ecc. — Nel ro-
maico volgare ricorre ffx per l'antico a/, Mullach, 1. e, p. 300; «
altri -X- per -/- si hanno in qualche speciale dialetto, ib. 94.
■1G6 § 31. DELT.E ASPIRATE GRECHE IN GENERALE.
d'altronde occasione d'avvertire, che il greco risponda con que-
ste aspirate alle vere aspirate medie del sanscrito, e ancora di
accennare, come la qualità di aspirate vere sia appunto con-
fermata ai sscr. gli dh oh dal fatto che essi nel greco si riflet-
'tano per kh th ph. Gli è che questa discrepanza fonetica tra
greco e indiano, onde a prima vista sembra venire un sin-
golare screzio nel generale sistema delle corrispondenze indo-
greche, le quali costantemente ci danno, all' infuori di questo
riscontro di aspirate, tenue contro tenue, e media contro me-
dia, veramente si risolve in un ordinario fenomeno di assimi-
lazione regressiva *, pel quale il primo elemento dell'aspirata
originaria si renda omogeneo al secondo; di guisa che g-h d-h
b-h si facciano k-h t-h p-h per processo non diverso da quello
che dalla combinazione etimologica g-s ci porta a h-s greco o
latino, come in Xil^ (leg-so), dirò, in rex (reg-s), e simiglianti.
•E secondo il nostro concetto della genesi delle aspirate indo-
europee, al quale in sul principio del discorso accennammo, la
trasmutazione si descriverebbe piti compiutamente col dire, che
cessato, in favella greca, l'interstizio separativo tra l'esplo-
siva sonora e il sordo h, ne viene l'aderenza dei due elementi,
la quale di necessità importa che si tolga, per assimilazione^
la differenza fonetica onde essi contrastano fra di loro **. Vi-
cenda analoga a questa che intercede tra sanscrito e greco,
, * C. A-RENDX, Beitràge s. e, II, 306; cfr. Alb. Ag. BE^fARY, Die
rómische lautlehre, p. 117.
** Rappresentandoci, a cagion d'esempio, per d-a la sillaba ori-
ginaria e sanscrita dha, — vale a dire: l'esplosiva spiccatamente
pronunciata, alla quale succede il breve interstizio (che non turba
r unità : della sillaba), susseguito alla sua volta dallo spirito aspro,
.che aderisce al suoijo a cui precede, — se ne ottiene la figura irana,
.celtica e litu-slava {da) pel dileguo dello spirito aspro, e la greca
(e pur la proto-italica, § 32) pel dileguo dell'interstizio, cioò per
J'aderenzi^ dello spirito alja esplosiva (d-a, onde necessariamente
th-al.
§ 31. DELLE ASPIRATE GRECHE IN GENERALE. 167
ricorre tra il sanscrito medesimo, o meglio tra gli odierni vol-
gari pracritici, e l'idioma zingarico; il quale, mentre in ge-
nerale concorda, nel suo sistema fonetico, col sindio, coli' in-
dostano, ed altri volgari neo-indiani di ceppo sanscrito, se na
stacca per ciò, che alla aspirata media esso, costantemente ri-
sponda per tenue aspirata, la quale poi finisce per ridursi a
pura tenue, come ora ci mostreranno i pochi esempj a cui dob-
biamo qui limitarci:
2. SsGV. ffhàsd-, ìndost ghas, foraggio,- z'ingar. khas, fleno; sscr.
dhàv-'ana-, il lavare (nettar lavando), indòst. dhó-nà, lavare, -
zingar. thau-'dva, tovdva, io lavo; sscr. bhù-, bhùmi", indosti
bhùm, bhid, terra,- zingar. phuv, puv, pu, id, *.
* Rimarrebbe di toccare ancora di y 3- o, in quanto per essi
si continuino altri suoni originarj che non sìeno gh dh hh , e
d'investigare, se del tramutarsi delle medie aspirate originarie
in tenui aspirate greche, che è fenomeno anteriore all'età cui
risalgano i più vetusti monumenti di favella ellenica in sino a
noi pervenuti, pur v'abbiano riprove per entro a' confini della
stessa favella greca. Ma queste indagini gioverà riservare ai
particolari discorsi intorno allò singole aspirate e ad altri luo-
ghi ancora; e qui all'incontro converrà che senz'altro il ra-
gionamento ora si volga ai continuatori italici, ed in ispecie
latini, delle medie aspirate originarie ed indiane.
. Mentre l'etrusco, idioma ariano sicuramente anch'esso, co- s 32,
mechè non investigato a sufficienza perchè ci sia dato di ab-
bracciarlo in questo nostro studio, ci mostrerebbe ancora ve-
gete, almeno in parte, le aspirate tenui, già pel solo fatto che
nella scrittura etrusca sieno in uso, allato a H ed a 8 {h e /"),
tutte e tre le aspirate dell'alfabeto greco; all'osco, all'incontro,
e all'umbro e al latino le tenui aspirate già affatto mancavano,
* V. StuOj critici, II, 110-13. Notevolissimo, inoltre, che si ritrovi
nello zingarico l'intero processo ph pf f, quale pel greco lo abbiamo
di sopra eruito; quindi nella voce per 'terra': phuv, pfuv, fu. V. Zi"
geunerisches , p. 83. — E v. sopra, la n. a pag. 152.
168 § 32. CONTINUATORI ITALICI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE.
od eran li li per mancare, nel più antico periodo a cui ci porti
la notizia che di essi abbiamo; poiché troviam che gli Osci,
gli Umbri ed 1 Latini abbiano rinunziato, nelle loro scritture,
alle lettere X 0 <I>, che l'alfabeto greco, pur da essi assunto,
loro porgeva *. Né di medie aspirate, suoni rimasti affatto
estranei, come appena occorre avvertire, pure all'etrusco, re-
sta alcuna traccia nell'osco, nell'umbro o nel latino. Per le
quali favelle, considerate nella loro condizione istorica, non può
dunque discorrersi di aspirate, ma solo di suoni che stieno in
istretta connessione fisiologica con esse, e sono due soli: le spi-
ranti f e h', la prima delle quali^è rappresentata negli alfabeti
degli Osci. e degli Umbri per un carattere ad essi comune con
l'etrusco (8) ed estraneo, cioè aggiunto dagli Itali, al greco,
dovechè i Latini la rappresentano pel digamma de' Greci (F),
più convenientemente adoperato dagli altri alfabeti italici ad
esprimere il t); - e la seconda è in tutte le scritture italiche
espressa per H, cioè per quella consonante fenicia che tra i
Greci vedemmo anche adoperata a significar lo spirito aspro
ed il secondo elemento della tenue aspirata dell'ordine guttu-
rale [kh qh) e del labiale {ph).
* Lo 0 veramente occorre due volte nelle tavole engubine (umbro),
ma in funzione non diversa dal T (Aufrecht e Kirchhoff, Die um-
hrischen sprachdenhmàler, I, § 1), e lo stesso si avrà a dire dei cor-
rispondenti segni che occorrono in due epigrafi s abelliche (Corssen,
Zeitschrift s. e, X, 5, 29). Pur nelle epigrafi etrusche si oscilla,
per vero, tra aspirata e pura tenue, come è i)er doppio esempio in
\1/FES0NAL (xfes5nal) allato a cfestnal, od in an\Ì/arv, laf0n, al-
lato ad ancaris', lavtn; ma, a tacer d'altro, c'è imprima, che vi
occorrono, e non iscarse, tutte e tre le aspirate (così O in ta<I>ane,
SEM^A\|/Ls); e si ha poi la decisa prevalenza dell'una o dell'altra
figura, come in larcna lar\|/na, dove è rara l'aspirata, affatto rara
anche in lavtn laf0n, quando in lar0 lart, o in arn0 arnt, di
gran lunga prevale. Non poca importanza hanno eziandio le antiche
trascrizioni di voci etrusche, quali Thania Achonia. Pur nell'etru-
sco, la prima a cedere dev'essere stata la labiale (0), e piìi di tutte
resistente la dentale (0).
§ 32. CONTINUATORI ITALICI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE. 169
Che se ora ci poniamo a considerare, coni' è principalmente
voluto dall' attuale nostro assunto , quali sieno i riflessi delle
medie aspirate originarie sanscrite negli antichi idiomi italici
a cui la nostra indagine si estende, troveremo imprima, che
questi appunto rispondano a quelle aspirate per h e per f, con-
trapponendo, cioè, allo gh il loro h, e così allo dh come allo
hh il loro f\ p. e.: lat. hietn-s = "gìijama- (sscr. hima-, freddo,
gelo, V. §34, e 35, 1.); lat. fù-mo- = sscr. dhù-mà-, fumo; rad.
lat. ed umbra: fer- = sscr. hhar, portare; rad. lat. osca ed um-
bra: fu- = sscv. hhù, divenire, essere. Senonchè, mentre nell'osco
e nell'umbro queste corrispondenze si mostrano costanti, cioè si
riscontrano non solo iniziali^ quali erano negli esempj testé
veduti, ma sì ancora interne, cosi tra vocali come tra vocale
e liquida, — e quindi nell'osco: mefìo- = sscr. màdhja-, medio,
e nell'umbro: tefe = sscr, tùbhjam, tibi, rufro-, rosso, = sscr. ru-
dhirà- (sangue, cioè il rosso; gr. l-pu5po-, rosso), — nel latino,
all'incontro, avvien di regola, che, in mezzo alla parola, gli ori-
ginarj dh e hh sieno riflessi, anziché per f, il primo ora per d
ed ora per &, e il secondo per h, e che gh interno, finalmente,
ed anche iniziale dinanzi a liquida, vi sia riflesso, quando afi*atto
non tenda a dileguarsi, per g. Cosi all'osco mefio- (= sscr. mà~
dhja-) e all'umbro rufro- (= rudhirà-), testé addotti, il latino
risponderà per medio- e rubro-, e all'umbro tefe (= sscr. tùbh-
jam) per tibt; e al sanscrito Uh (= *ligh, gr. AIX Xei^w, v. § 34,
e 35, 8.), leccare, per ling-ere, come al sanscrito mih (= *migh,
gr. MIX o-ay-iw) , spandere acqua, per mm^-ere. Il fonologo ha
quindi innanzi a sé il doppio quesito, del come si dichiari che
le medie aspirate originarie si continuino nell'osco, nell'umbro
e nel latino per h e f {h = gh, f=dh e bh), e che il latino,
date certe congiunture, le continui per vie sue proprie, con-
trapponendo ad esse le pure sue medie {g = gh, d e b = ah,
b = bh).
Della prima parte del problema si può dire, che sia presso-
ché risolta in anticipazione, poiché in fondo vi si tratti di esito
non diverso da quello che incontrammo in Grecia. L' Italia
170 § 32. CONTINUATORI ITALICI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE.
antica' rispondendo per h all'origin. gli e per /"allo hh origin.,
altro non fa se non precedere ed avanzare la Grecia su quella
via, per la quale le antiche medie aspirate, fattesi aspirate te-
nui in seguito all'adesione dello spirito, si riducono a poco a poco
a mene spiranti, ed anzi la gutturale a mera aspirazione, che
assai facilmente del tutto si dilegua. Cosi il f latino di fero^
che risale, insieme col 9 greco dell'equivalente cj-apoj, all'origi-
nario hh del sscr. hhar (ferre), equivale anche foneticamente
alla spirante neo-greca dello stesso 9^0:0; e il h latino di hu-
mus che risale a gh originario insieme col 7. del greco -/ay-xt
(per terra), altro non è che un'ulteriore debilitazione di quella
spirante che si sente nella pronuncia odierna dello stesso /aaai.
'Rimane, per questa prima parte, il f italico per dh originario;
4al quale dh {oàoh ì(/ì proto-italico) si sarebbe dovuto avere,
■parallela a /" da hh {ph), quella spirante a cui inclina 0 si ri'^
duce il moderno Sr de' Greci 0 lo th sordo degl' Inglesi, e noi
■stabilimmo di rappresentare per p. Ma gli è notorio, come que-
sta fricativa, che si ottiene frammettendo la lingua a' denti,
.acusticamente si approssimi a /* e in esso f agevolmente dege-
neri *, come appunto avviene, a tac;er per ora d' altre ana-
logia, dello th sordo inglese che fra gli stessi indigeni passa
talvolta in f, 0 dello 5 neo-ellenico che i Russi non sanno ren-r
derè se non per /"**; di guisa. che nel f del latino fù-mo-, a
cagion d'esempio, rimpetto alle sue figure anteriori: pù-mo,
Jhù-mo- {= sscv. dhù-ma-.), si avrebbe quello stesso fenooieno
.fonetico che per l' idéntico radicale molti secoli dipoi si ripro-
'duce in fumiàm\ cioè nella veste russa del greco 5u-u.-ia-aa,
'profumo. Il grandissimo tratto di tempo, onde l'Italia anticipa
.sulla Grecia nella riduzione delle antiche aspirate a mere spir
' * Là miglior dimostrazione empirica dello scarso distacco fisico
tra J) e f, sta nella difficoltà di proferire, con chiara distinzione
dei due componenti, la combinazione pf.
** Cfr. Studj critici, II, 122; Arendt, Beitràge s. e, II, 425,
'BaliCKE, Giornale pei ginnasj austriaci, IX (1858), C92.
§ 32. CONTINUATORI LATINI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE. 171
fanti, può misurarsi dal fatto, al quale già avemmo occasione
(li accennare, del non aver convenuto agli Osci, agli Umbri
ed ai Latini di adottare, per 7i e per /*, lo 7. e lo 9 dell'alfa-
beto greco.
Ben più ardua è la seconda parte del problema: come, cioè,
— a parlar per esempj greci e latini, che in fondo qui fanno al
caso quanto gli osco-umbri e latini e servon meglio perchè na-
turalmente occorrono in maggior copia — , come sia che al 7 di
yi-GYM (aprir la bocca) risponda lo li di hi-sco, mentre al 7. di
-lyyo) risponde il g dell'equivalente ango; al <f di aXsyoj (ardere,
risplendere) il / di fulgeo, mentre al 9 di vlcpo; (nube) il b di
nùbes. Trattandosi, come ormai sappiamo, nella massima parte
degli esemplari che possano ricondursi alle origini, di aspirata
media originaria, e così avendosi il sscr. bharg per parallelo
di oXe'vov fulgeo, e il sscr. nàbhas per vsz-o? nùbes, facilmente
si viene al supposto, che dove il latino, seconde le norme ;già
indicate, contrapponga la sua pura media alla media aspirata
originaria e sanscrita, egli veramente conservi il metallo ori-
ginario della consonante, e solo perda l'aspirazione, come già
sentimmo che tra l'altre facciano, ma indifferentemente in ogni
postura, la voce litu-slava e la celtica. Senonchè, a ben vedere,
le difficoltà a cui questo supposto va incontro sono tali, che a
dirittura si debbano dire insuperabili. Già il fatto per sé stesso,
'Che un'aspirata originaria si continui, per via diretta e nor-
male, in due modi, a doppio titolo tra di loro diversi, come
sarebbe, a cagion d'esempio, lo bh riflesso in principio di parola
per sorda continua (oppur sorda aspirata) e nel mezzo all'in-
contro per pura sonora ^sp^o$^^;a , onde si otterrebbe la figura
bh
f- -b-,
non avrebbe a favor suo alcuna adeguata analogia, né in fa-
vella latina, nò in alcun altro idioma della famiglia; e quindi,
se altro pur non fosse, non potrebbe concedersi cosi di leggieri.
172 § 32. CONTINUATORI LATINI BELLE ASPIRATE ORIGINARIE.
Ma si aggiunge, imprima, che ammettendo, per rimanere al-
r esempio dello bh, un b latino che immediatamente risalga
allo bh originario, che sia, vale a dire, questo bh stesso, de-
trattane solo l'aspirazione, si disvelle il latino dal sistema fone-
tico delle altre lingue italiche, si turban cioè le ragioni di quel
periodo proto-italico, in cui il lat. Ubi, a cagion d'esempio,
pur dovea coincidere col tefe degli Umbri, o il lat. amb- col-
V amf-r (= gr. àacp-i) degli Osci *. E v'ha, finalmente, che quanto
ci è stato facile il darci ragione del come venga a riflettersi,
neiritalico /', oltre che lo bh (*ph, <?) originario, anche l'ori-
ginario dh (*th, 5), altrettanto sarebbe difficile, e può anzi dirsi
impossibile, il dare una dichiarazione persuasiva del b latino
che per una intera serie d'esempj risponde allo dh originario
( p. e. lat. rubro- = umbro rufro- = gr. s-pu5po- = sscr. rudhirà-) ,
quando si voglia persistere nella teoria, che la media latina,
in cui si riflette l'antica media aspirata, altro appunto non sia
che una media aspirata, da cui l'aspirazione si dileguasse.
Queste difficoltà di ordine generale, ed altre che intralcia-
vano lo studio dei singoli fatti, si elirainan tutte, all'incontro,
quando si ricomponga l'istoria dei continuatori latini nel modo
che segue:
I. Nell'idioma proto-italico, vale a dire nell'idioma a cui con-
* Rimarrebbe una sola via per conciliare la continuazion latina,
intesa nel modo da noi impugnato, col fatto incontrastabile dell'unità
osco-latino-umbra; e sarebbe questa: che bh interno si mantenesse
talquale nel periodo di questa unità italica, e si riducesse, dopo la
separazione, a h latino, mentre nell'osco e nell'umbro volgeva in /",
come a /■ si trova sempre ridotto , in tutti e tre gli idiomi , lo bh
originario iniziale. Ma che l'umbro (o l'osco) e il latino ancora pos-
sedessero entrambi, nei primordj della loro vita individuale, lo bh
mediano, è ipotesi per sé stessa assai stentata, la quale, d'altronde
(sempre ancora tacendosi delle ragioni italo-greche, a cui tutta volta
ci ò impossibile non concedere molta importanza), non isfugge, senza
nuovi stenti, alla obiezione di cui prima dicemmo, e ad ogni modo
poi incappa in quella che ancora ci resta.
§ 32. CONTINUATORI LATINI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE. 173
vergono, come a fonte comune, il latino, l'osco, l'umbro, e gli
altri dialetti paleo-italici che lor vanno congiunti, la media
aspirata originaria si è costantemente ridotta, per vicenda ana-
loga a quella che si è compita in favella paleo-greca, ad aspi-
rata tenue; e quindi s'ebbero, a cagion d'esempio, i proto-ita-
lici: *hhiem- (orig. ghjam-), lat. hiems, *ankìi-o (orig. angh-)^
lat. ango; *thùmO' (orig. dhùma-), lat. fumu-s; *methio- (orig.
madhja-), lat. mediu-s, *ùther (orig. ùdhar), lat. uber; *pher-o
(orig. hhar), lat. fero, *luph-et (orig. lubh-), lat. lubet, *alpho-t
lat. albus.
II. Assai anticamente, durante cioè ancora l'unità paleo-ita-
lica, queste aspirate tenui proto-italiche volsero in spiranti,
come avvenne, più tardi, anche delle corrispondenti aspirate te-
nui paleo-greche. Nel periodo proto-latino, vale a dire nel pe-
riodo in cui il latino, staccatosi dagli altri idiomi italici, entra
nella sua vita individua, abbiam quindi, continuando cogli eserapj
già addotti, le figure che seguono: hieyn-, anll-o, fer-o, luf-et^
alfo: La spirante dentale, j), che avremmo a trovare al posto
di th, erasi nel maggior numero de' casi ridotta a f, durante
ancora l'unità paleo-italica, secondo le analogie che di sopra
toccammo (p. 170). Solo per un certo numero di J^ interni man-
tenevasi ancora il carattere dentale nel periodo proto-latino,
carattere che pure in questi esemplari, per quanto ci è dato
vedere, andò perduto negli altri idiomi paleo-italici. Così le fii-
gure proto-latine degli esempj di sopra addotti per l'aspirata
dentale proto-italica, eran queste: fumo-, mepio- (osco: mefìo-)
ùfer. Lo stadio fonetico rappresentatoci dalla ricostruzione pro-
to-latina: Jiiem-, fer-o, luf-et, alfo-, fumo-, ùfer, è lo stadio a
cui l'osco e l'umbro si sono di regola fermati.
III. Le aspiranti proto-latine, li e f, all' incontro, se interne ed
in ispecie se precedute da liquida (e lo li pure iniziale dinanzi a
liquida) volsero col tempo, insieme collo p (v. II), nelle rispet-
tive medie; quindi: ang-o (gr. ay/w), luh-et, albo- (umbro alfo-),
uber (gr. ou5xp), medio-, il qual fenomeno, a dire di una sola
analogia eteroglossa, non è diverso da quello per cui allo h prò-
171 §-32. CONTINUATORI LATINI DELLE ASPIRATE ORIGINARIE.
to-germanico dei gotici svaihra-, suocero, fraikan, domandare,
risponde il g anglo-sassone degli equivalenti sveger é fregnan^\
Fra la sorda spirante proto-latina e la media, quindi p. e. tra
p e d, dev'essere intervenuto lo stadio della spirante sonora:
mepio- medio- medio-, il qual processo avrebbe opportuno ri-
ncontro nelle serie germaniche di cui ci sarà esempio: hropar
got., hrodor anglo-sass., hroeder oland., fratello. Un'altra evo-
luzione latina, che si presenta analoga in quanto riduce sonoro
un elemento sordo ed insieme costituisce uno screzio tra il la-
tino e gli altri idiomi paleo-italici, non dissimile da quello che
interviene in ordine alla continuazione delle aspirate originasrie,
è il passar di s in r, tra vocali oppur tra vocale e consonante
sonora (v. Lez. XIV); quindi, p. e., veter-are veter-no- : "ve-
tes-nò- {vetus) : : rub-ro- : *ruf-ro- (umbro rufro-).
. IV. Sin dal periodo proto-latino, la spirante gutturale, Ji, era
già ridotta, in molte voci, a semplice aspirazione [h], od era
anche del tutto dileguata; così p. e. in veh-o (ve'o; cfr. l'osco
veia, § 35,3); le quali voci naturalmente si sottrassero alla
alterazione, testé descritta, di spirante in media.
8 33. Serbata, del resto, ai luoghi opportuni la considerazione di
altri uffici etimologici delle spiranti latine testé discorse, qui in-
tanto gioverà compendiare, in un quadro sinottico, l' istoria, da
noi ricostrutta, dei continuatori latini delle medie aspirate ori-
ginarie (cfr. § 35) :
aspirate originarie (e sanscrite) . gh, dh, bh.
aspirate proto-italiche (e pa-
" leo-greche) khiy), th{S- , phio).
spiranti proto-latiae .... h, -Ji- f\ f.
(Continuatori latini h- g^, -/;-, -d-, f- -')-, f- -
' * V. Studj critici, II, 119-22. — Per effetto di questa regola,
iron v'hanno combinazioni di consonanti in singola parola, proprie al
latino classico, in cui entri h (an-helare ò un composto, v. § 35);
e- quello in cui entri /, si riducono quasi esclusi«vamente a fi e (r ini-
§ 34: h SANSCRITO (i' INDO-IRANO) = gli ORIGINARIO. 175
Anche nel sanscrito occorre una spirante fra i continuatóri § 34.
delle medie aspirate originarie,, e vi ha molteplice funzione. E
lo h, che troveremo assai di frequente al posto dello gli (§ 35),
e talvolta pure a quello di dh (§ 53) e di Jbh (§ 61). E av-
venendo nell'indianità seriore, come già avemmo occasione di
avvertire (pag. 152-3), che l'aspirata sanscrita, sia media o
tenue, e in ispecie se interna, con molta frequenza si riduca,
al solo h, cioè si spogli, com'è concordemente ammesso, del
suo elemento esplosivo; era ovvia la conghiettura , che, pur
nello h sanscrito per media aspirata originaria, non si avesse
fenomeno diverso .da questo. Senonchè, a questa conclusione^
(che per alcuni singoli casi, come in appresso riconosceremo,
è conforme a verità) contrastava imprima il fatto, che già a
suo luogo accennammo, dell'aver lo li, in grammatica e in
lingua sanscrita, titolo e funzioni di consonante sonora; e Con-:
trastava poscia, più gagliardamente che mai, la risposta che
lo h sanscrito suole trovare in favella iràna, ed è z. ho z
irano è in ispecie la costante risposta dello h sanscrito nella
più solita sua funzione, che è quella di continuatore dello, ^/i
originario, alla quale il nostro discorso deve quasi esclusiva-
mente qui intendere; e quindi, a cagion d'esempio, zendo azag-
-■^(2 = sanscrito ahag-lia (greco ày/.Q? ts, lat. angor-que). Ora,
pur qui è affatto manifesto che si tratti di alterazione che
risale al periodo indo-irano (cfr. § 36); e non solo manca, dal-
l'un lato, qualsiasi indizio o probabilità analogica che per-
metta d'imaginar più genuino. Cioè meglio conforme alla pro-
nuncia indo-irana, lo h sanscrito che non lo z dello zendo, di
ziali; poiché, del pari che i composti (infelix, anfractus, ciniflo-
nes, ecc.), non entrano nel conto i nomi proprj non latineggiati, come
Alfìus, Rufrius, e altrettali, ed Aprica meno ancora, e mal vi può
entrare l'antiquata voce nefrundines, che si appaja col prenestino we-
frones (il Corssen, Aussprache ecc., 2. ed., p. 147, si confonde circa
la cittadinanza dei due termini). Circa mferus ecc., v. V Ind. e gli
Studj crii.., II, 171-2..
17G § 34. li SANSCRITO [Z INDO-IRANO) = gh ORIGINARIO.
guisa che z si possa reputare come un' evoluzione di h ; ma
vi ha ancora, dall'altro, che la favella irana offerendo sem-
plice media per media aspirata originaria (p. 154, 166), ne viene
che z per gh vi sia altrettanto legittimo e genuino dello z per
g (§ 25); e vedremo a suo luogo (§ 53 e Lez. XIV) come questa
illazione, e quelle che seguono, non vadano turbate per lo in-
contrarsi di h sscr. e z irano in altre funzioni etimologiche che
non sia la continuazione dello gh originario. Si aggiunge, che
lo h sanscrito, come tra non molto apprenderemo (§§ 42, 44),
va incontro a tali vicende, che solo si chiariscono dall'affinità
grandissima che deve essere stata, di regola, in una fase an-
teriore, tra il suono che ora è h sanscrito, q \o z irano. Cosi
adunque come nella continuazione del g originario vedevamo
impuntarsi una parte degli esemplari dello g sanscrito, e lo
zendo z, in uno z indo-irano (p. 105, 107, 117-8), saremo del
pari ora condotti a stabilire una consonante sonora indo-irana
poco da questo z diversa, alla quale faccian capo lo h sscr. e
lo zendo z nella continuazione dello gh originario; e quanto è
alla differenza acustica che intercede fra il suono indo-irano
(non dissimile dallo J francese) e l'attuale h del sanscrito, mi
limiterò per ora a citare le sillabe latine gè, gi, che nel por-
toghese, come nel francese, suonano ze zi, e nello spagnuolo
all'incontro: he M. Questa alterazione indo-irana dello gh ori-
gin., la quale sarà da noi rappresentata per z, presuppone, alla
sua volta, affezioni della gutturale aspirata (gh^ gh^, cfr. § 36)
non diverse da quelle che inducevamo per g e z provenienti
dal semplice g (p. 118, 128). Ma quanta parte dell'antica aspi-
razione in sé conservasse lo z indo-irano, mal si tenterebbe
definire in preciso modo. Di certo l'antica aspirazione valse ad
imprimergli quel particolar carattere, pel quale, di regola, ri-
mase distinta, in favella indiana, la continuazione alterativa
dello gh da quella del semplice g {z, g); ma non veggo indizj
abbastanza sicuri per stabilire che durasse uno zh (il qual
sarebbe una doppia continua) nel periodo in cui avvenne il
distacco dei due rami asiatici o nelle prime età dell'indiano;
§ .'M. /t SANSCRITO (i' INDO-IRANO) = gli ORIGINARIO. 177
ed anzi ne veggo tali, che debbono farci ritenere la primitiva
pronuncia indiana assai più vicina a i che non a zh *. Del
rimanente, come la connessione etimologica ò\h e^, o g & g {z),
si manifestava dalle stesse favelle degl'Indi e degl'Irani per la
vece che sempre ancora queste ci offrono tra il suono originario
e l'alterazione sua (§§ 13, 15, 24, 25), cosi anche nella con-
tinuazione dello gh si avvicenderanno nel sanscrito: gh eh, e
rispettivamente nello zendo: g {gh) e z**; e qui pure, quando
* Dello 'zh, che ad ogni modo sarebbe la figura genealogicamente
corretta, può a prima vista parere integrai continuazione lo gh del
verbo sanscrito uffc/h lujghdti, abbandonare, che veramente consta
del prefisso ud (onde, per assimilazione: i(^) e della rad. hlà], ab-
bandonare. Alla qual forma, che non risale ai piti antichi periodi
della lingua, si aggiungerebbe il pracrito ghina, abbandonato, per
l'equivalente hina del sanscrito (Lassen, Institution. Iwg. pracrit..,
pag. 199). Senonchè, l'esser queste forme di bassa età ed affatto
solitarie, già senz'altro dissuaderebbe dal riconoscervi l'antichissi-
mo zh; e il miglior modo di dichiarare questo gh seriore, o pracri-
tico, è di certo quello di ripeterlo normalmente dalla combinazione hj,
alla quale vedremo risalire lo gh pracritico di un obliquo singolare
del pronome di prima e di seconda, e di altre forme {saggha- « sahja-
§ 40, 5; maggha = mahja-, tuggha «= 'tuhja-, § 61). Allato alla con-
jugazione ha gd-hà-ti hina-, avremmo così: ha 'hja-ti 'ùd-hja-ti (cfr.
dà dà-ti djd-ti, recidere), onde normalmente p'/ia-^i (e (\mnai ghina-)
e ug-gha-ti. Di altri fenomeni, che parrebbero stare per zh, v. ai
§§ 42 e 44. I migliori indizj, all'incontro, per la pronuncia vicinis-
sima a z, sarebbero nei casi di coincidenza del continuatore di gh
con quello di g, tra' quali primeggerebbe: ustra-, bufalo, cammello
(a ustra- zendo, cammello; cfr. vas-tar §44), cioè quello-che-porta
o tira, dall' indo-irano vaz uz (zendo vaz uz, sscr. vah uh, % 35, 3),
portare, tirare; e nella forma indo-irana della voce per cuore, di
cui alla Lez. XIV.
** Per la esatta ragione di gh allato ^ g, o dà z allato a z, nella
continuazione zenda dello gh orig. , v. la Fonol. ir. ai rispettivi §§.
Circa la vece sanscrita, v. in ispecie la nota al § 36,3 11, in f.
Ascoli, Fonol. indo-it.-gr. 12
178 § 35. RIFLESSI INDO-ITALO-GRECl DELLO gh ORIGINARIO.
le due figure fonetiche appajano distribuite fra nome e verbo,
l'anziana è del nome. Lo ^ e \o gh hanno d'altronde per re-
duplicatore comune lo g (cfr. p. 103 e Reduplicazione)', così:
ha gà-hd-ti, abbandonare; ghrà gi-ghra-ti, mandare odore,
odorare *.
§ 35. I cenni che precedono , diligentemente richiamati appresso ai
singoli casi, potranno bastare a renderci chiara la serie delle
corrispondenze indo-italo-greche per lo gh originario, parte della
quale ora ci facciamo a mostrare:
1. Sscr. himd-m Cghjama-, 'zjama-, v. V Ind.), gelo, freddo, himà
inverno (e quindi: anno; p. e. gaia hirnà;, cento anni, r^u., I, 64,
14, II, 33, 2; cfr. zendo thri-gatò-zima , trecent'anni); - gi\
ystu-ax-, -/et.ti(.wv- ()(^eiaa, •/Et[j.wv), inverno, intemperie invernale
(e se è genuina la glossa esichiana: y£ttx«[v]« /st[xa)va, la quale
è suffragata anche dal derivativo x,£t[ji.tvi, gelo, se ne ricava un
fem. x^^V-^^1 ^^^ sarebbe tal quale l'equivalente lituano zèmà\
V. § 36, I, e cfr. il fem. sscr. himà), yelu.-z--{ko~^^ '/t'[;.-£-5-Ào-v,
gelone ; - lat. hiem-s **.
2. Sscr. hjas Cghjas, 'zjas) , jeri; - gr. /.5e? ( v. Jnd.),, jerì; - lat
her-i Cìies-i), hes-terno-.
3. Sscr. vah vdh-a-ti ('vagh, 'vaz; zendo vaz), vehere, ferre, vdha-a
(cioè: il conducente), carro, via; - lat. (§ 32, IV) veh-o, veh-i-
-culo-, veh-es, e con totale dileguo del h: via, umbro ve a
(1.* tav. eug.) e via (3." tav. eug.), osco viù; cui si aggiunge-
rebbe l'osco veia, plaustrum, serbatoci da Paulo. Del riflesso
greco tocchiamo più tardi (s. /'). Lo gh è ancora intatto nel
nome sscr. augha- (v. Ind.), propriamente: che-porta, trascina
* Cfr. àncora, circa lo h sscr., la Lez. XIV, e St. crìi., II, 126
e segg.; e circa lo z indo-irano, il luogo ult. cit. e il § 36.
** Intorno al greco X'°"*'*' (X'^'^) ^ '^^^^ zendi zojana zaèna, vedi
l'Indice; intorno al lat. hiber-nu-s (hlber ~ 'hinfer- 'hinfro «= j^L^t.tB'ko-,
cfr. § 54), gli Studj crii., II, 97-8; e circa V Imaùs di Plinio (sscr.
Himavant- a Himàlaja-), ghiaccioso, nevoso, gli Studj orient. e lin-
guist., l, 268.
§ 35. RIFLESSI INDO-ITALO-QRECI DELLO gh ORIGINARIO. 179
e quindi: corrente, fiotto, e anche: frotta (così il nostro frotta
riviene, insienie con fiotto^ a fluctus *).
4. Sscr. torh ta-tdrh-a (3. sg. perf. att.) , fracassare ; - lat. (§32, IV)
trah-o, trah-ax, trah-a^ trah-ea. La stessa successione dì
significati (rurapere, lacerare, distrahere, trahere) sì riproduce
ne' normali continuatori germanici (p. 64) della radice origina-
ria e sanscrita: dar, dirumpere; cioè: got. tairan (ga-tairau)
destruere, alto-ted. ani. zeran, id. , zerjan, moderno zerren,
distrahere, trahere. [Cfr. Studj critici, II, p. 146 e seguenti.]
5. Sscr. plihan- ('splaghan v. Indice, 'splaz'an 'splzan, zendo gpe~
reza), milza; - gr. cnrXaYX^*» l6 viscere, c7rXv]'v {'splehen, vedi
VJnd.)',- lsit.lièn Cplehèn, 'plièn, v. § 32, IV, e l'Ind.).
6. Sscr. ràh, scorrere, correre, raghù-s, che è in rapido corso, la-
ghù-s, rapido, leggero, minuto, insignificante; - gr. 6-Xa;(u-(;
V. Ind.), minuto, lieve, insignificante; al superlat. : l-Xijiaio-c, =
sscr. Idghistha-s ; lat. (§32, IV) lèv-i-s ('leliu-i~s). Come
lev-i-s Cle1iu-i-s) ad ì-Xóiju-^, così sta brèv~i-s CbreTm-i-s) allo
equivalente Ppàp'-;.
7. Sscr. mih mdih-a-ti {'migh 'miz\ zendo miz) , urinare, maighd-
(zendo maègha), nube (propriamente: spanditore d'acqua**); -
gr. Ò-IXI-/-SW (V. Ind.), urino, o-}xt.-/^ii.x , urina, o-y.r/-X7^ (v. Ind.),
nebbia, nuvolo; - lat. mèjo ('meih-o ***) e mingo ("minho,
§ 32, III); — 'meiho (mejo): mingo : : Xet'yco : Ungo (n. 8).
8. Sscr. rih rih-d-ti, leccare, Uh U-ldih-a (3. sg. perf. att.), id,
{'Ugh 'Uz, cfr. l'armeno Uz-an-el)-, - gr. AIX, X£r/-w, lec-
co;- lat. Ung-o (LIH im/i-o, § 32, III; cfr. n. 7).
9. Sscr. à'h-'as (rad. 'angh, 'anz)i zendo àz-og[-Jia], strettezza.
* Anche ra/ia- (V. sopra) direbbe ^fiotto' (Bopp): dadarga.... nadi:
punja-vahà: , vide fiumi dalle onde pure {sàvitrjupàkhj., 4, 30-31).
** Si aggiunge: mih, nebbia; e in una raccolta indigena di parole
che hanno piti significati, V Anaikàrthasàgraha di Haimaìiandra , sì
adduce anche mihira, nube, dì cui il Fick, o. c. , p. 144, si vale per
stabilire la forma indo-europea 'migh-rà, che genererebbe, oltre
che mihira, il greco ò-iAr/Xy] , il lituano mig-là, e il paleo-bulgar.
mìg-la.
*** Circa 'meih-o 'meij-o mèj-o, v. Studj critici, II, 146.
180 § 35. RIFLESSI INDO-ITALO-GRECI DELLO gh ORIGINARIO.
angustia, sanscrito e zendo agha-, dannoso, malo; periglio,
danno; - gr. ol^i-m, stringo, strozzo, ax,~°?» angustia (cfr-
p. 182);- lat. ang-o Ccinli-o, § 32, III), ang-or, ang-us-to-'
10. Sscr. dhi-s m. e f. Cccghi- 'azi, zendo azi-), biscia, vipera; -
gr. 6)(_t-; (cfr. § 36, v. 1. f.) m. e f., vipera;- lat. angui-s
{'anìivi-, § 32, III; e cfr. § .36).
I quali esempj ci danno imprima la giusta misura della fre-
quenza dell'alterazione sanscrita (indo-ìrana) dello gh origina-
rio; la quale se già a primo tratto non apparisce meno estesa
di quella dell'originario g (§§23,25), avrà poi a risultarci, per
più attento esame, ben più profonda di questa, tanto che la
quantità del danno patito dalla media gutturale aspirata ori-
ginaria debba dirsi superiore pur di quella a cui è soggiaciuta
la originaria tenue (v.p. 107)*. E nei continuatori dello gh
avremmo d'altronde, tra lingua e lingua, più di un saggio di
equivalenza fonetica ed etimologica, la quale implichi tutta-
volta diversità istorica dei suoni coincidenti. Poiché, secondo
i ragionamenti che facemmo precedere, se, a cagion d'esempio,
coincidono in hima hiem- (35, 1.) lo h del sanscrito q\o h la-
tino, la ragione evolutiva dei due h riman tuttavolta affatto
diversa, avendosi per la spirante indiana: ghgh zh z h {%34:),
e per la latina: ghkhkhhh (§33); e cosi la coincidenza del
g latino col g del gotico, p. e. in angustus ed aggvus (angvus;
stretto), del pari che ogni altra normale coincidenza di medie
latine e medie gotiche, non esclude la diversa istoria dei due
suoni, altro non essendo la media gotica se non la continua-
zione del primo elemento della media aspirata originaria (p. 154,
169), dovechè la media latina, nella funzione che qui si consi-
dera, ci risultava trasformazione seriore della spirante italica
(§32, III). Ancora va considerato, circa i continuatori latini dello
gh originario, che uno stadio di maggiore robustezza, che non
* V. § 36,3,11, e la nota; ma considera tuttavolta l'ultima parte
di questa.
§ 35. RIFLESSI INDO-ITALO-GRECI DELLO gli ORIGIXARIO. 181
sia quello della semplice aspirazione, ci sta dinanzi nelle com-
binazioni et cs di vec-tO' vec-si, trac-to- trac-si; le quali forme
a buon diritto coincidono con mino-to- mic-to- mine-si mie-si,
linc-to- line-si, poiché nelle fasi anteriori punto non differisce
la uscita di veli- vekK, trali- trakJi (35, 3. 4.) da quella di minJi
minkJi, Unii linkU (35, 7. 8.). Altro documento della vigoria che
aveva in fasi anteriori lo h lat. da gli orig., s' incontrerebbe
eziandio nelle forme an-hèlus an-hèlare, le quali contengono la
stessa base che è in hd-l-are e hio e yi-cx^ (io sbadiglio), base
con gh iniziale originario, come è in ispecie confermato dai pa-
ralleli germanici e slavi, - e ci mostrano V*amf- amb- di amh-
-edo ecc. (§60), che si ottunde, nello stringersi allo h, come
fa dinanzi a suono esplosivo in an-eeps e altrettali, od in an-
-fractus*. Poi domanda la nostra attenzione lo liv (gv) dell'ul-
timo fra i riflessi latini dinanzi rassegnati (anguis, *anlivis),
intorno al quale surge il quesito, se il v continui una parassita
ante-italica, oppur se non sia uno sviluppo semplicemente ita-
lico 0 latino, quesito che si coordina ai ragionamenti da noi
tenuti nello studiare il v che abbarbicavasi a k oà a, g origi-
nario (§§ 19, 26). La risposta litu-slava, e un termine greco
non peranco addotto, verranno tra non molto (§36) a farci ri-
tenere di antica radice pure il v latino di anguis {*anJiuis),
come altrettanto antico ci apparirà quello di ninguit, esemplare
che entra anch'esso, col suo parallelo greco, nella continuazione
dello gh originario. All'incontro, pel v di lingua allato a Ungo
{"Unlio, 35, 8. ), il quale del resto non ha per sé che la sola au-
torità della lezione dei nostri manuscritti di Prisciano **, non si
* Circa an-helar e '=>'aìnf-\-halare, v. Pott, Wurzel-wdrterb.,l,83-i.
** X, 11: haec tamen non videntur in uo divisas terminare, in qui-
bus u vim literae amittit, unde in guo quidem syllabam terminantia
huiuscemodi servant regulam in go terminatoruin , sicut et quae in
quo finiuntur, rationem sequuntur in co desinentium: dicimus igitur
unguo unxi et linguo linxi, ut pingo pinxi .... Cfr. Corssen, Beitr.
z. lat. formenl., p. 68.
182 § 35, RIFLESSI INDO-ITALO-GRECI DELLO gh ORIGINARIO.
vede affatto alcun indizio di esistenza ante-romana. Per la parte
greca, finalmente, il penultimo degli eserapj da noi riferiti
(ay/ojecc.) ci conduce a toccare di tal fenomeno, che interessa
alla sua volta l'istoria generale delle aspirate. Poiché, se ad
àyx-w, stringere, rivengono manifestamente, da un lato, ày-z-ou
ay-/-: (da presso*), mal si potrebbe, dall'altro, per le lievi
dubitazioni del Pott ** , staccarne l' equivalente lyyu-S-t eyyu-?
(da presso), quando in ispecie si consideri la coincidenza mor-
fologica del greco lyyó- col sscr. ahù- (*anghù), stretto, strettura,
e col got. aggvu- (angvu-), stretto. Ora la semplice media greca
per media aspirata originaria o per la corrispondente aspirata
tenue del greco stesso , è fenomeno che occorre in tutte e tre
le serie di consonanti (cfr. §§ 52, 60), comechè affatto raro per
la gutturale e per la dentale, e solo un po' men raro per la
labiale; ma sempre si tratterà, negli esempj sicuri, di media in-
terna preceduta da nasale. Quindi, non contemplandosi qui i casi
pei quali v'abbiano testimonianze, o probabilità, che le due pro-
nunzie risalgano entrambe ad età remotissima od abbian fonda-
mento nell'indecisione del suono originario ***, ci resta il doppio
quesito, se in lyyu-; = *engìius , ed altrettali, si tratti di vera
aspirata che smarrisca nella Grecia la sua aspirazione, e quindi
ce ne vengano altrettanti documenti che ancora fosser medie
aspirate, nelle prime età greche, le consonanti che rispondono
alle medie aspirate originarie e sanscrite, oppur se non vi si
tratti, come nel latino {*minJio mingo ecc.), di tenue aspirata
scesa a spirante sorda, la qual poi diventi media per effetto
della precedente nasale. Io mi decido per la seconda sentenza,
considerando, che se ci atteniamo alla prima, l'efficacia della
* Così presso è da pressum , conformità ideologica già registrata
dal DiEz, nel suo Etymolog. wórterb. d. romanischen sprachen.
** Etymolog. forschung., 2. ed., I, 276, n. ; e cfr. il nostro Indice.
*** Si allude all'attenenza che è tra il gr. ysvu-;, mascella ( inferiore),
e l'equivalente sscr. hanu-s, e in altrettali. Vedine Vlnd. s. yóvù-? e
anche il §60.
§ 36. ETÀ. E VAUIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gfl ORIGINARIO. 183
nasale rimane enigmatica, dove, all' incontro, per ng da n/i, ecc.,
vale a dire pel fenomeno di spirante sorda che si renda sonora,
e finalmente consonante media, perchè le corde vocali restino
nell'attitudine medesima in cui sono nel proferimento della na-
sale, non solo s' ha questa ragione fisiologica, ma insieme si
hanno, come ho altrove compiutamente mostrato, oltre le ana-
logie latine e le germaniche, paralleli albanesi assai conclu-
denti.* È fenomeno affine l'aversi iig 7id mb, da nk nt mp an-
teriori, nel greco moderno e nell'albanese. E l'esistenza di un
modesto numero di voci in cui •/ ^ cp fosser vere spiranti in rimoti
periodi ellenici, la quale è presupposta dalla dichiarazione che
noi adottiamo, punto non ripugna, ed anzi ben si adatta, al-
la istoria generale delle aspirate greche (p. 159-60). Intanto, per
esaurire il discorso di ng ^nli, noteremo ancora che (jLdcyyavov,
ammaliamento, andrà con [X7]xavy(, arte, mezzo, stromento, dove
s' hanno i paralleli ideologici del sanscrito krtjd , faccenda,
opera, ammaliamento, e degV iÌ3i[ÌQ.m fattura, fattucchiero, ecc. ;-
e finalmente l'esichiano à^ypia (Xutiv); quindi: affanno, dolore; e
senza la nasale: ày^ise; =i XuTcat ) , che anch'esso potrebbe rive-
nire, come lyyu;, ad ay/-co, stringere (angustiare).
Ora converrà che ritorniamo alle alterazioni asiatiche dello e 36.
gh originario, per iscrutarne l' età e la genesi, alla luce dei ri-
scontri litu-slavi, i quali insieme ci ricondurranno a compir lo
studio de' continuatori italo-greci di questo suono. E quanto
avemmo a dire, ne' corrispondenti luoghi, intorno alle conti-
nuazioni di ^ e di ^ **, ed in ispecie, con discorso che sarà po-
tuto parere soverchiamente sottile, intorno alla continuazione
del secondo, avrà qui ora, dal parallelo dell'aspirata media, com-
piuta ed assai notevole conferma.
Già avemmo ad affermare, e a mostrar con parecchi esempj , la
speciale e continua concordanza, fra sanscrito e zendo, anche
I
* Studj critici, II, 120-22, 124.
** Si confrontino, per tutto quanto concerno il presente paragrafo,
§§15,19,25,26.
184 § 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gh ORIGINARIO.
rispetto al fenomeno di spirante da gh originario, e a riportar
quindi all'età indo-irana pur questo scadimento di antica gut-
turale (§§34,35)*. Vedemmo, all'incontro (§§31,32), come
la spirante italica [li, h), e tanto più quella del greco seriore,
per lo gh originario, dipenda da un principio generale, che si
attua costantemente nel gruppo greco-italico, per tutte le aspi-
rate e per sue proprie vie; e come, in ispecie, essa presupponga
l'esplosiva aspirata mantenutasi per lunga serie di secoli dopo
che era avvenuto il distacco della favella degl' Itali e de' Greci
da quella degl'Indi e dei Persi. Quindi rimane affatto escluso
che si possa ripetere una qualsiasi speciale consuonanza, tra i
continuatori italo-greci e gl'indo-irani di gh originario, da al-
terazioni che si fosser consumate prima di quella divisione. E
le favelle dei Germani e dei Celti ci mostrano, alla lor volta,
g per gh originario, secondo l'analogia generale di cui pur già
toccammo (p. 154, 169); quindi pure in esse non mai si ripro-
duce lo scadimento indo-irano {z da gh) del quale ora si parla **.
Ma, anche per questa parte, le cose mutano affatto di sembianza,
quando ci volgiamo al gruppo litu-slavo. Il quale nuovamente
qui ci offre una particolar concordanza coli' indo-irano, rispon-
dendo per z e z *** allo z asiatico {z dello zendo, h del sanscrito)
per gh originario, come si può vedere da' seguenti esempj :
* Vediamo tantosto ( p. 190 ) come si dichiari 1' apparente discor-
danza che è, tra sanscrito e zendo, in duhitdr- s. , dughdar- z., fi-
glia. Tocchiamo pure di han s. allato a gan- z. (p. 192-3 n.), e di
drag che nello zendo si aggiunge a dare z = sscv. dark (p. 189 n.).
** Esempj celtici e germanici per la continuazione di gh originario,
mantenutosi gh o fattosi z' indo-irano, sarebbero, dall' irl. ant. : gaim,
inverno (35,1.), Ug-im, io lecco (35,8.), dall' irl. seriore (Stokes,
Irish glosses, p. 118): sealg (*selg), milza (35, 5., 36, 1.); e dal got.:
gistra-, jeri (35,2.), vig-a, via {vag-en, carro; 35,3.).
*** Quindi lo stesso rappresentante lituano {z) e slavo (i) clie ave-
vamo nella continuazione alterativa dì g originario, com' è consen-
taneo all'indole della favella litu-slava, che non discerne tra media
pura e media aspirata dell'idioma primitivo.
§ 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gh ORIGINARIO. 185
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
\'zjama, z. zima-, s. himà (35, 1.), 1. ziìmà, b. zima, id.
inverno.
'vaz, z. vaz, s. vah (35, 3,), vehere. 1. vcz-ù, b. vez-o, veho.
'tarz,s.tarh(àisceTpere,v.3ù,4.). h. trùz-ati, veliere.
'splazan, z. gpereza., s. plihan, h. slezena, id.
milza (35, 5.).
'miz, z. miz^ s. mih, urinare (35, 7.) 1. my'z-ti , id.
'liz, s. Uh, leccare (35, 8.). 1. lez-ti, b. liz-ati, id.
*an;s M-,s.ft/iM-, angusto (cfr. 35, 9. h. ozù-ku, angusto.
e p. 186).
'darz, z. darez, s. dark, fermare, b. rad. druz-, tener fermo *.
fissare, consolidare.
Il valore della quale concordanza è pur qui accertato, imprima,
dal trovarsi ancora concordi il litu-slavo e l' indo-irano nei casi
non gran fatto frequenti di conservazione indo-irana àell' antica
* Questo esempio , non meno saldo degli altri , ha d' uopo tutta-
volta di qualche schiarimento. Il Lessico di Pietroburgo pone allato
al sanscrito dark il paleo-bulgarico drùz-ati, tener fermo, padro-
neggiare (cfr. Curtius, num. 316), e ben si appone di certo. Ma
drùz-ati non farebbe prova per z si. e /i sscr., poiché il suo z tanto
potrebb' essere il prodotto di z-j, quanto quello di g-j {'drùz-jati
'drùg-jati). All'incontro avremo netto ancora il tipo druz nel pa-
leo-bulgarico drùz-ati, druz-noti, audere, che mal si è tentato di
raccostar direttamente al sscr. dhars, poiché lo z si. non può rispon-
dere allo s sscr. (cfr. Schleicher, Formenlehre der kirchensl. spr.,
p. 117-8). La successione ideologica: tener fermo, sostenere, opporre
resistenza, osare, ha molteplici conferme. Così il greco roXacc, audacia,
dice veramente: la forza di sostenere, sopportare; e il sscr. dhar-s,
audere, rampolla alla sua volta da dhar, tenere, portare (v. Vlntro-
duz. alla MorfoL, s. vv., e nella Fonologia irana il gruppo in cui
entra l'armeno v-sta-h, confidente, ardito).- 11 significato di 'le-
gare' (tener fermo, fissare, legare) si manifesterebbe nello zendo cZc-
reza-, vincolo, catena, e nel lituano dìrza-s, correggia, donde ulteriore
conferma al nostro riscontro fonetico.
186 § 36. etX e varietà delle alterazioni dello gh originario.
gutturale. Dove in primo luogo si vuol notare, come la vece
ìndo-irana di z e gh, che avvertimmo tra il verbo miz, uri-
nare, e il nome ìnaigha-, nube (35,7.), avrebbe ora il suo ri-
scontro nel lituano mig-là, paleo-bulgaro mìg-la, nehwÌQ., allato
al lituano m?/i- (36,1.), urinare. Si aggiungerebbero, tra gli
altri, dallo slavo antico: ligù-ku, le vis, allato al sanscr, laghù-
(35, 6.; cfr. si. oiw-M = sscr. ahù-, 36, 1.), e stig-no-ti, arrivare,
allato al sanscr. stigli siigh-nu-tdi, ascendere *, gr. czdyM, pro-
cedo **. Dall'altro canto, non v'ha pur un solo valido esempio,
in cui il gruppo litu-slavo abbia ridotto a suono continuo l'an-
tica gutturale aspirata, e l' indo-irano la continui per suono
esplosivo *** ; e la reale divergenza tra lituano e slavo si ri-
duce anch'essa, per tutta quanta la continuazione di gh ori-
ginario, a proporzioni affatto insensibili****. Resterebbe la serie.
* Questo verbo, addotto dai grammatici indiani, non è peranco
esemplato; ma trova piena conferma ne' riscontri europei, ed in ispe-
cie, per l'aspirata, nel -riscontro greco, allegato dal testo.
** Pei riscontri lituani, ed altri esempj, vedi intanto lo Schleicher,
nel Compendio, §§ 178, 187. E anche spoglio di quel po' di artificio
che il FiCK ci mette (o. e, 13), ben si potrà aggiungere l'esempio
da lui statuito: lit. alga, prezzo (salario), sscr. arghd-, pregio, prezzo.
*** Si potrebbe per vero citare il lituano zèr-iù {zèr-u ap. Nessel-
mann), ardere, risplendere, a cui si trovano anche paralleli slavi,
di contro al sscr. ghar, che si traduce splendere, e che in effetto,
ne' suoi rampolli, mostra piuttosto il valore di ardere, riscaldare,
Senonchè, a tacer d' altro, lo ghar originario e sanscrito {gar zendo)
ha intanto la sua normal continuazione litu-slava nel paleo-bulgar.
gor-je-ti, ardere, cui pongono a fianco il lituano garas vapore. Ora
si può consultare, intorno a questo gruppo, il secondo voi. del Wur-
zeh-icòrterbuch di Pott, p. 252.
**** 11 paleo-bulg. stìza, semita, allato allo stig-no-ti, arrivare, che
testò citammo, od al lituano staìg-ù-s, precipitoso, non costituisce già
uno screzio radicale; ripetendosi la forma collo z da fenomeno se-
riore, peculiarmente slavo {'stig-ja; Schleicher, Formenl. d. kirchensl.
spr., p. 151, Compendium, § 182,5). Meglio ancora è manifesta la
i
■P § 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gh ORIGINARIO. 187
in cui, a primo aspetto, par che litu-slavo e indo-irano discor-
dino all'incontro per ciò, che il secondo gruppo abbia il suono
continuo e l'altro l'esplosivo. Esempj:
Sanscrito e zendo. Lituano e antico bulgaro.
2. 'daz\ z. daz, s. dah, abbraciare. 1. deg-ù, abbrucio.
'duzUar, s. duhitdr (del riflesso l. dukter-{'dug-ter~), nom. duktc\
irano si parla tantosto), figlia. figlia *.
'sniz\ i.gniz, nevicare. 1. swì^-^z, nevicare, SMé''^a-s, neve;
b. snjegu, neve.
*ai:'2,z.aÌi-,s.d/it-, biscia (35, 10.). \. angi-s, id. **.
modernità dello screzio in zlù-tù paleo-bulg. ( con z, non con z), giallo,
accanto al lituano ^èZ-?a-s, id., e simiglianti; dove l'alterazione slava
proviene dal l attiguo; cfr. Schleicher, Compendium, § 182, e il pres*
voi. a p. 55. Ad altre apparenti divergenze arriviamo tantosto. Diver-
genza reale vi avrebbe all'incontro fra gosl paleo-bulg. e zàsì-s li-
tuano, oca, allato all' equivalente sscr. hàsd- hàsi. Ma il caso essendo
così isolato, può surgere il dubbio, che lo slavo abbia assunto la de-
nominazione germanica di questo palmipede {gans[i]).
* Il riflesso paleo-bulgar. d'usti, gen. dusier-e^ ripete dall'i l'alte-
razione di kt in su.
** L'equivalente paleo-bulg. àzl (addotto da un less. del 1704, e
confermato dai riflessi de' moderni idiomi slavi ; cfr. Miklosich, Lexi-
con palaeoslovenico-graeco-latinum , 1862-65, p. 1163, e qui sopra,
l'ult. n. a. p. 114), ripete il suo z dalla vocale che sussegue. - Due
nuovi esempj, per la serio a cui ora siamo, son proposti dal Fick,
o. e, p. 19, 148; cioè: il Ht. ig-iju, conseguo, ottengo con fatica,
mi do pena, allato al sscr. ih ih-a-tai, agognare, darsi pensiero;
e i lit. pa-jegù-s, róbnsio, jég-iii, son forte, allato al sscr. jaM-, zendo
ja-zu-, che traducono: grande. Senonchè, circa il primo è d'avvertire,
che difficilmente esso ò diverso dal composto t-gyiù (,% non è diverso,
nella pronuncia, da i\ ed ?/ lo ò solo per la quantità), conseguo, co-
mechò il Nesselmann ( Worterbuch der littauischen sprache, 24, 254 )
li tenga divìsi. Circa il secondo, si desidererebbe maggior convenienza
ne' significati; ma è caso, tuttavolta, ben degno di considerazione.
V. ancora l'ultima nota a questo paragrafo.
188 § 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO fjh ORIGINARIO.
Ma aguzzando l'occhio noi ci faremo capaci, che simili diver-
genze hanno lor proprie ragioni, e lungi dal togliere, crescono
importanza alla serie in cui coincide la alterazione indo-irana e
la litu-slava; coincidenza che qui anzi risulta più esatta che mai.
Come riuscivamo a scoprire, nel g sanscrito, due diversi gradi
di alterazione del g originario (§§25, 26), l'uno de' quali ci era
rappresentato dal tipo varg vrk-tà , e V altro dal tipo marg
mrs-tà, cosi nel h sanscrito {z indo-irano) ne scopriremo due
diversi dell'originario gh; nel primo de' quali si ha la costante
vece grammaticale ài h q gh (cfr. p. 104-5), mentre nel secondo,
che è il più solito, avremo dh {*z-^t, v. §44) per prodotto di
h-t 0 h-th (cfr. p. 105). Si osservino:
3. I. Continuazione di gh orig. parallela a quella di g orig. del tipo
varg vrk~td~ ('vrg-td): duh, mungere, 3. sg. del fut. att. :
dhauk-sjdti (v. Metat. delVaspiraz.), partic. perf. pass.: dug-dhd
{]^ev 'dugh-ta, v. § 40, ap. 5); dah, abbruciare, parile, perf.
pass.: dag-dhd', snih, amare, 3 sg. fut. att.: snaik-sjd-ti ^
partic. perf. pass.: snig-dhd-,
II. Continuazione di gh orig. parallela a quella di g orig. del
tipo marg mrs-td (che è il caso infrequente per g e solito per
gh, cfr. p. 106-7 e 180): vah, vehere, tarh, discerpere, mih,
mingere, Uh, Ungere, darh, firmare (36, 1.), daranno bensì an-
ch'essi figure sigmatiche sulla stampa ài vak-sjd-ti, vehet; ma
se passiamo alle figure residue, che possono esserci rappresen-
tate dal partic. perf. pass, in -td, avremo ùdhd trdhd midhd
lidhd drdhd (cioè 'uz-k-ta trz+ta ecc., v. § 44) *.
* La grammatica indiana statuisce, che il tipo duh dug-dhd- sia
proprio delle radici che incominciano per d, e il tipo mih midhd- sia
di tutte le residue; e la special concordanza, tra la voce asiatica e
la litu-slava, che stiamo per avvertire, manterrebbe tutta la sua im-
portanza anche data questa regola, tanto più che si estenderebbe anco
all'eccezione. Giova tuttavolta considerar più d'appresso quest'affer-
mazione de' grammatici. I complessi radicali, sulla formola d-..-h, si
riducono veramente a questi cinque: dah dih duh druh darh. Ora il
quinto di essi ci dà, come il testo mostrava, il partic. drdhd-, e non se
§ 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gh ORIGINARIO. 189
Ora, ei non può essere opera del caso, che il litu-slavo risponda
per g quando il sanscrito ci offre il tipo duh dug-dhà-, e allo
incontro risponda per z {z) quando il sanscrito ci mostra l'altro
tipo darìi drdhà- {*drz ^ia)\ così come rispondeva con seg
al sscr. sag sak-tà-, mentre con melz al sscr. marg mrstà-
(p. 117). Quindi legittimo il lituano deg-ìb allato al sscr. dah
{dag-dhà-), abbruciare (36,2.), quanto son legittime le radici
litu-slave vez trùz miz liz drùz (36, L), rimpetto ai paralleli
sanscriti che testé rassegnammo (36,3.11), la cui uscita, nel
congiungersi con qualsiasi suono esplosivo, più non si mani-
festa per esplosiva gutturale, ma si per linguale continua. Le-
gittimo quindi ancora il lituano duk-ter (dug + ter), figlia, allato
all'equivalente sanscrito duh-i-tàr (36, 2.), poiché non d'altro
ne ha alcuna figura verbale che ritragga il tipo duh dug-dlid [un' an-
tica oscillazione attesta forse lo zendo drag drakh-ta-, allato a darez
deres-td, pure dello zendoj , eccezione assai importante, che lo stesso
Benfey ( Volisi, gramm. , § 66, 5 ) ha omesso di avvertire. Di druh
dicono i grammatici che ammetta amendue gli aspetti , ma veramente
non vedo esemplato se non il tipo drug-dhà-. E a druh aggiungen-
dosi gli altri tre {,dah dih duh), resta notevole, senz' alcun dubbio,
la relativa abondanza del tipo dug-dhd- tra i complessi radicali che
incominciano per d. Ma, all' infuori di questi, pur lo avremmo, ol-
treché in snih snig-dhd, addotto dal testo, che è, per quanto io posso
vedere, il solo tipo esemplato in questo verbo, a cui la grammatica
li concede entrambi, anche in muh, turbarsi, di cui ricorre così mug-
-dhd come mùdhd-; e ancora comparirebbero l'uno e l'altro in snuhy
che non vedo esemplato. Cfr. , per simiglianti oscillazioni, la fine
della n. a p. 106. - Del rimanente, la vece tra h e gh, in quanto
s'abbia la prima figura nel verbo e l'altra in formazioni nominali,
vece solita, come è naturale, dove ricorra g-dh per entro al verbo
stesso (quindi: dah, ni-dàghd-, calore; duh, dugha-, che porge latte,
e anche nel partic. medio: dughdna- = dùhàna-', dih, san-daigha- =
san-daiha-, dubbiezza; druh, -drdugha- = drauha-, offesa), occorre
anche nell'altra categoria, e così già incontrammo augha- maighd-
allato a vah mih (35, 3. 7.). Cfr. la n. a p. 107, in f.
190 § 36. KTÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gh ORIGINARIO.
vi si tratti che della radice duh, mungere, allattare *, che ap-
punto dà, come già vedemmo, il participio dug-dhà, e dà quindi ,
nello zendo, dugh-dhar-, figlia **, pure in questo sostantivo
zendo incontrandosi immediatamente l'uscita del radicale con la
consonante del suffisso, dal che dipende l'apparente divergenza,
fra sanscrito e zendo, circa l'abito radicale dello stesso nome
{duh-i-tar, dugh-dhar) ***. Per tal modo, anche delle due con-
tinuazioni alterative dello gh originario, le quali ci potremmo
raffigurare, ne' lor primordj, per gh^, del pari che delle ana-
loghe dell'originario k (ks §§ 14, 15), e del g originario (gS § 25),
la favella asiatica ha comune la più profonda, e più antica, con
la litu-slava, e l'altra no; e circa la dichiarazione cronologica
della special comunanza, che pur ne viene tra' due gruppi, dob-
biamo riferirci a quanto pei fenomeni analoghi ne abbiam detto
ne' discorsi precedenti ****. Ma ancora una corrente alterativa
incontravamo nell'istoria delle altre gutturali, quella, cioè, la cui
base volemmo rappresentare per k^ gy *****^ e soleva determi-
narsi per kv gv nel fondamento di varie favelle europee e per
kj gj nelle asiatiche (onde H g, coincidenti con l'esito esplosivo
di k^ gi), mentre nel litu-slavo qui trovavamo costantemente illeso
il k ed il g. Ora, ei non vorrà di certo esser caso fortuito se la
* la questa voce per ^figlia', si è voluto vedere ^la mungente',
dall'ufficio affidato alla giovane donna nella famiglia patriarcale. Io
piuttosto ci vedo una semplice indicazione del sesso, cioè ^che allatta ,
che dà latte, femina', senso che si conviene a una derivazione da duh
(dugh); v. gli Studj orientali e linguistici^ I (1854), 102, e il dùglia-
citato in sulla fine della n. che precede.
** Vedi, in ispecie per -dhar = '-tar, la Fonol. irana, s. v., e in-
tanto cfr. lo zendo ukhdha, parlato, 'uk-ta- ( 15, 2.).
*** La sibilante si avrà quindi pur nella risposta irana, là dove segue
o susseguiva vocale; si confrontino p. e. le voci neo-persiane: dukh-
-tar^ figlia, dùkh-tan, mungere, dùs, mungi!, dùs-i-dan , mungere
(s = *i, v. Fon. ir. s. v.).
**** V. p. 56-7, 118. ***** V. p. 84-85, 127-28.
§ 30. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gii ORIGINARIO, 191
stessa attinenza si ripete nella continuazione dello gh, e quindi
le voci per neve, nevicare (36, 2.) si ragguaglino nel modo che
segue:
4. 'snighv~\ indo-irano: 'sniz, zendo: gniz, nevicare;- base greca,
italica, germanica: 'snigh^'-; gotico: snai[h]v-s* , neve; greco:
*vt/ /'- vfcp-st { cp : j^ : : X : x/-, p : y/*), nevica ; latino : 'niìiv- 'ninUv-
(§ 32, III, e cfr. p. 126, ISO-l) , nic-s nlv-is, ningv-i-s (neve), «m-
gv-i-t**;- forma li tu-slava swi^-, come si vede dalle voci che
già adducemmo (36,2.).
Al quale esempio troveremo ancora analoga la voce per ""angue'
(35, 10., 36, 2.); poiché, dall' un canto, il termine asiatico, il la-
tino ed il lituano {azi, animi, angi) qui si stanno nuovamente
fra di loro in quella identica attenenza; e, dall'altro, si ag-
* Cfr. p. 69-70.
** V. Curtius, o. c, num. 440, e la nota che qui sussegue. Le
voci per 'neve' mi costringono ancora, mio malgrado, a censurare
due uomini, che per vario modo sono assai benemeriti de' nostri studj.
Afferma cioè il Corssen, con singolare imperturbabilità {Kritische
beitràge ecc., p. 55, Aussprache ecc., 2. ed., p. 85), che Vu di ninguis
non sia di mero sviluppo fonetico, ma sia all' incontro il suffisso u
come in le-u-i-s {leìi~u-i'S £-Xa;(_-u-; lagh-ù-s, 35,6.), suffisso ch'egli
ritrova anche nel parallelo paleo-bulgarico, al quale affibbia costan-
temente un u finale. Ora, prescindendo dalle ragioni comparative che
sono svolte nel nostro testo, l'w, onde veramente si chiude il paleo-
bulg. snjegié, è il normale rappresentante sì dell' a e sì dell' w ori-
ginario e lituano; e quindi è affatto arbitrario lo staccare la forma-
zione bulgarica dalla lituana, mentre l'una, come suole, risponde con
esatto ragguaglio all' altra {snjegù = sneja-s ). Piti grave è il peccato
di Max MìIller. Il quale, nell'immaginazione di aver trovato un
nuovo esempio dì <p = w orig. ed in Ntopv] una dea della neve, esce a
parlarci {Zeitschr. s. e, XIX, 42-3) di un tema sniv o niv al quale
risalgano i nomi dì questo frutto invernale. Senonchè il chiaro uomo
tralascia non solo di dirci com'egli ne ricavi le forme litu-slave, che
non adduce, ma tace ancora del modo in cui egli conciliì, col suo
sniv originario, lo zendo pn/^, che ha pur citato.
192 § 36. ETÀ E VARIETÀ DELLE ALTERAZIONI DELLO gli ORIGINARIO.
giunge il greco o<pt-;, angue, che sta ad angui-s così precisa-
mente come v?'(p-a (nivera) a ningu-em. Né può sturbare il greco
E/i-?, vipera, che già a suo luogo adducemmo; stando ò'cpt-;
(v. Ylnd.) ad e/t-; così come il jonio xorspo; al TOTapo? degli altri
dialetti (§ 20) *.
Nessuno dei casi che sapemmo addurre per g litu-slavo al-
lato a h sanscrito (§ 36, 2), vale dunque a scemare importanza
al fenomeno di z (i) litu-slavo di contro a h sanscrito {z zendo),
coincidenza peculiare, che ci era imprima attestata da una serie
di esempj (36, 1 .) ** ; e se ora, pressoché al fine, come siamo, del-
* Il ragguaglio ooi- = tyi- = ahi- ecc., proposto dubitativamente dal
PoTT nella prima edizione delle Etymologische forschungen (1,144),
e poi affermato dal Benfey ( Wurzellexihon^ I, 144-5) e dal Bopp {Glos-
sarium, s. ahi), i quali dichiaravano l'equazione 9 = x per vie che
non potevan persuadere, fu poi rifiutato dal Curtius, che si avven-
turò a propugnare la derivazione di ©(pt; ('ox^t?) da OK [OH], vedere,
cfr. Spdtxojv (o. e, num. 172, 627). Ma il nostro ragionamento compa-
rativo dovrebbe pur togliere ogni dubbio. L'obiezione della qualche
diversità de' significati (Ìyi<; vipera, ocpt? biscia), è per due versi in-
sussistente ; poiché, dall' un canto, entrambi i valori si fanno proprj
anche del sanscrito ahi-, e, dall' altro, andando a maggiorità di voci,
piuttosto si avrebbe a staccare £/^i?, che non 6<oiq, da anguis, angls ecc.
E l'una delle due voci greche valendo. pel genere e l'altra per una
specie, se ne attenua, d'altronde, la singolarità dell'aversi simulta-
neamente amendue le figure ne' dialetti stessi ; singolarità che ad ogni
modo non potrebbe sgomentarci, se, a dir di un solo esempio consi-
mile, già avemmo a notare, che Tzi^t-Tz-xo^, quinto, il quale presuppone
TO[X7re, è pur de' dialetti che dicono ttsvte (17,4.). La lunghezza me-
trica della prima sillaba di ocpi? ('o/jf t?) avrebbe dunque, oltreché la
stessa legittimità, anche la stessa ragion genetica della lunghezza
dell' t di vicp-£i i'viyjf-).
** Né varrebbe ad infirmarla l'esempio del lit. -jegù-s allato al
88cr. jahù', z. jazu-, toccato alla n.** di p. 187, poiché non ci è dato
di vedere come la radice se ne atteggi nelle forme caratteristiche
del sanscrito o dello zendo. Quanto è infine al caso iniziale di han
§ 36. etX e varietà delle alterazioni dello gh originario. 193
l'ardua nostra indagine intorno ai continuatori delle gutturali
originarie, la più ardua, per avventura, di quante occorrono
al fonologo nel campo sul quale ci moviamo, se ora volessimo
tentare di raffigurarci per sommi capi, a guisa di riassunto che ci
raiBfermi e ci rinfranchi, le principali risultanze che ne ricavammo
in ordine all' istoria delle diverse alterazioni che questi suoni
hanno subito^ ce ne uscirebbe il prospetto che qui si delinea:
Indicazione
approssimativa
dell' intacco.
k. ki(p. 46,56),
k^ seriore ( p.
51,85),
ky(p.85),
g. gMp.118),
g^ seriore (p.
117-8),
gy(pag.ll7,
128),
gh. ghM§§34,
36),
gh^ Seriore
(C.S.),
ghMc.s.),
Sanscrito.
P(§11),
fé (§§12, 13),
K(§§ 16-19),
^'(s-t§§24-5),
g(h-t,%%24-5),
^(p.l28),
h ( 'z-d , dh ,
p. 188), '
h (g-dhy C.S.),
Ti (p. 190-92),
Riflesso
0 base del riflesso
greco e latino.
^(§11),
^(§12),
^^(§§16-19),
^^(§23),
^^(§23),
/7V(§26),
M(§35),
[kh(%35)l,
khv (^.190-2),
Lltu-slaro.
sz,s(% 15,3).
^(§15,4).
^(§15,4;p.85).
i, i (§.25,2; p. 128,
cfr. §36).
Y7(§25,4;p.ll7).
g{% 25, 4; p. 117,
128).
i,i(§36,l-,p.l89-90).
^(§36,2; e. s.).
(J(c.s.).
sscr., pulsare, icere, paleo-bulg. ^na-f», pellere, impellere (Miklosich,
Lexicon s. e., p. 131, cff. Fick, o. c, p. 64 e 246, e Nesselmann,
o. e, s. gemi e ginù), va imprima considerata l'assiduità della vece
sanscrita di h e gh per entro alla stessa conjugazione di questo verbo
(jjerf. gaghàna, desider. gighasati, ecc.), e inoltre la risposta, zenda,
in cui si ha g (e non z), che alla sua volta si alterna, nel verbo,
con g (gh): gan ghna- = sscr. Jian ghna-. Quindi ne abbiam conferma
anziché contrasto alle deduzioni nostre.
Ascoi-i , Fonai, indo-il.-gr. 13
. 194 § 37. ETÀ E corrispondp:nze dello hh sanscrito.
37. Rimane che attendiamo con breve discorso alla cronologia ed
alle corrispondenze della tenue aspirata sanscrita, kh, prose-
guendo, con particolare riguardo a questo individuo, le conside^
razioni già svolte, sulle generali, intorno alla specie (p. 145-7).
E si tratterà di povera messe.
Le tenui sanscrite son di frequente aspirate quando susse-
guano, nella radice, a s {skh-, sth-, sph-, cfr. §§ 41, 49, 58,
e Dilegui); la quale aspirazione non si può in verun caso affer-
mare pre-indiana, poiché, od è affatto peculiare alla favella
ariana degl'Indi, o se, per singoli casi, incontra il fenomeno
corrispondente in altra parte della famiglia, l'incontro, quando
pur sia esatto, piuttosto che a comunanza originale, vuole es-
sere attribuito a effetto identico d'identica causa. La quale non
risiederà punto, come alcuni glottologi hanno voluto, nella effi-
cacia aspirativa della sibilante, che mi parrebbe un'azione af-
fatto misteriosa; ma bensì in ciò, che la sibilante aderendo assai
strettamente alla esplosiva che le sussegue (ed il sibilo è, nel
sanscrito, la sola specie di consonante che possa precedere, ini-
ziale, a un'esplosiva), la attrae come a sé e la distacca dalla
vocale che lor tien dietro, per guisa che uno spirito aspro si
venga a frammettere tra questa e la esplosiva aggruppata {sk-a,
si- a, sp-'a; cfr. p. 154). Comunque, ad ogni modo, surgesse,
per limitarci alla gutturale, l'aspirazione del k sanscrito nella
combinazione skh, riman sempre che il semplice sk si avrebbe
a riputare, secondo la generale analogia, normal risposta eu-
ropea di questo gruppo indiano ; e cosi il lat. scel-us legittima-
mente si raccosta al sscr. skhal skhàl-a-ti, vacillare, shhal-i-
-tà-, il porre il piede in fallo, caduta, peccato, colpa. * Ma
noi siamo, d'altra parte, preparati a trovare alcuni casi, in
cui la comparazione accenni ad aspirajsione originale della te-
nue; ed ora ci conviene toccare del modo, pel quale abbia a
continuarsi, in generale, nel greco e nel latino, una tenue aspi-
rata del periodo originario. Dove noi affermeremmo, comechè
* V. ancora il § 41.
§ 37. ETÀ E CORRISPONDENZE DELLO kh SANSCRITO. 195
la scarsità dei fatti qui imponga la maggiore cautela, che 1
continuatori greci e latini delle tenui aspirate coincidano con*
quelli delle aspirate medie, ed a buon dritto, poiché la prima
evoluzione ellenica ed italica della media aspirata originaria
riduceva questa, secondo le conclusioni nostre (§ 33), a coincidere
colla tenue. Supposto cosi un originario nkh, noi ne dovremmo
avere y-/ greco, e *nìi ng latino, cioè prodotti non diversi da
quelli che avremmo per ngh originario, che diventa nkh nella
base italica e nella greca *. Gli scarsi amminicoli di prova, che
intanto si possono addurre in ordine alla tenue gutturale aspi-
rata, sono questi che seguono.
1. Sscr. gahkha-s, gahkha-m, conchiglia;- gr. xóy/^o-t; (5c,c, = f,
§ 11), y.ó'f/ri (concha), conchiglia bivalve, conca (vaso e mi-
sura di liquidi);- lat. 'conlì-io-s, cong-iu-s ** . - Sscr. na-r
khd-s, unghia, artiglio, nakhard-s, fatto a forma d'artiglio; -
gr. owu/j- (v. Ind.), nomin. ovul, unghia, artiglio; - lat. 'onìiuis,
unguiSf 'red-uhuia, reduvia (v. Ind.', pipita o panereccio). Qui
però insorge qualche altra favella, e in ispecie la lituana col
suo nàga-s, unghia, artiglio, ad accennare a. gh e non a kh
originario; e sappiamo che il greco ed il latino ugualmente si
adatterebbero ad una forma originale collo gh. Ma la tenue
aspirata ha ancora per sé i riflessi irani, p. e. il neo-persiano
nàkh-un, unghia. Ai precedenti due esemplari, i quali, co-
munque si consideri la ragion fonetica dell'elemento gutturale,
sempre rimangono inconcussi, se ne aggiungerebbe un terzo,
che non ha, quanto a' significati, la stessa evidenza, ma tut-
ta volta mi par sempre assai notevole; ed è il sscr. mùkha-m,
bocca, fauci, allato al greco }AUy(^o-;, pi. [ji.ux^» luogo riposto,
seno di mare, recesso.
Giova finalmente citare un esempio, in cui a kh stia allato,
nel sanscrito stesso, la sola aspirazione, lo h, sordo in questo
* Cfr. Stadj critici, II, 161-9.
** V., anche per l'esempio susseguente, il l. e. nella n. che precede,
e Vindice.
196 § 37. ETÀ E CORRISPONDENZE DELLO hìl SANSCRITO.
caso, e nei consimili, sin dal suo nascere, e insomma la spo-
glia pracrìtica dell' antica aspirata *. E makhd-, brioso, gajo.
licenzioso, e come sostantivo maschile: dimostrazione di letizia,
festa, premio, sacrificio, allato al verbo mah, rallegrare, rav-
vivare, onorare, celebrare, onde mah-i-tà-, onorato, celebrato,
Dalle quali voci sanscrite mal si potrà staccare il latino mactus ,
macie, bravo! da bravo! (macte), celebrato, onorato di offerte
(mactus osto, macte esto), consacrato (mactus taurus), e ne de-
riva il verbo macie, propriamente: celebro, indi: offro sacrificiOj
sacrifico. Onde s' inferirebbe un caso latino di c-t = *li-t = kh-i,
parallelo ai casi di c-t = *1i-t = gh-t {vec-tu-s ecc., § 35, p. 181 **).
Il n gutturale, che ancora rimarrebbe ad esaurire la serie,
si considera più tardi, nel discorso intorno al n dentale (§ 55).
* Cfr. p. 152, la Lez. XIV, e Stuàj crii., II, 128 e segg.
** Pure intorno a makhd- ecc. si voglia consultare il luogo citato
nelle note precedenti (p. 168-9), dove è discorso anche di maeellum.
LEZIONE SESTA.
Palatine e Linguali.
All'ordine delle gutturali sussegue nell' alfabeto sanscrito, che § 38.
regola le nostre mosse, quello delle palatine. Ma la pura tenue
palatina del sanscrito (It), e la media corrispondente {g), i due
suoni più importanti della serie, già furono ampiamente con-
siderati, in ordine alla loro funzione etimologica, nel nostro
discorso intorno alle gutturali, siccome quelli che surgono, di
regola, Tuno per alterazione di k, l'altro per alterazione di g *',
e l'ufficio etimologico della nasale palatina (n) vorrà alla sua
volta essere altrove descritto, insieme con quello di altre na-
sali (§ 55). Qui all'incontro mi pare utile, per più rispetti, che
ci soffermiamo alquanto a scrutare V entità fonetica di queste
consonanti sanscrite secondo la attuale loro pronuncia, e con
ciò pur quella delle consonanti d' altre lingue che per costitu-
zione fisiologica rispondono ad esse, quali sarebbero, con mi-
nime differenze, e e g italiani {selce, argento), o eh ej inglesi
{church , Joy). E ci risulterà, nel progresso del nostro studio,
sempre in più manifesto, quanto grande sia l'importanza della
sottile controversia di cui ora slam condotti a toccare.
All'idioma tedesco mancando i suoni che noi rappresentiamo
per e 0 ^ ** e per g (selce, argento), e mal perciò riuscendo a
* Cfr. ancora, per la funzione etimologica di R, i §§ 40 (6) e 41 (4).
** Ji, in quanto rappresenti l'attuale pronuncia della tenue palatina
sanscrita (e zenda), equivale dunque a e, e potrebbe, per avventura,
198 § 38. FISIOLOGIA DI ó, ,<7, n.
riprodurli chi abbia per idioma materno il tedesco, avvenne che
in Allemagna sempre apparisse soddisfacente quell' approssima-
tiva rappresentazione che se ne ottiene, secondo ortografìa ger-
manica, per tsch e dsch, vale a dire, secondo la trascrizione
da noi adottata, sch essendo l'italiano se di scemo, per ts e ds.
Ma ancora si aggiunse, che i più fra quegli scienziati tedeschi
i quali cosi proficuamente attesero alla fisiologia de' suoni, pie-
namente confermassero il concetto che deriva da tali modi di
rappresentare lo e e lo g, solo correggendo, com' era naturale,
la trascrizione del secondo, con introdurvi lo ; francese in luogo
dello sch tedesco, vale a dire, siccome è richiesto dalla natura
sonora della media, non più la sibilante sorda che noi trascri-
viamo per s, ma sì la corrispondente sonora, che noi rendia-
mo per i; così ottenendosi: ts = é, dz=g'^. Laonde i glottologi
tedeschi, pressoché senza eccezione, si stimano sicuri, che e eg
sieno suoni 'composti, nei quali cioè v'abbia, chiara e distinta,
una esplosiva dentale {t, d), susseguita da un'appendice sibi-
esserci fatto rimprovero di questa duplice rappresentazione grafica
d'uno stesso suono. Ma questa si legittima principalmente per ciò,
che lo li indo-irano e lo e romanzo così concordano colla figura della
gutturale onde etimologicamente dipendono; p. e.: sscr. kar^ facere,
/tarara, fecit; lat. dulcis, ladino dóué, due.
* V. p. e. Raumer, Die aspiration und die lautverschiebung, § 47
e la prima appendice; Bindsbil, Ahhandlungen zur allgemeinen ver-
gleichenden sprachlehre^ p- 435 e segg., il quale però colloca tsch ecc.
fra i suoni misti, tra quelli, cioè, in cui la durata (wahrung) di uno
o di ciascuno degli elementi non equivale alla durata che ha quando
è singolo (p. 379, 461); Schleicher, Zur vergleichenden sprachenge-
schichte, p. 149, il quale in realtà nulla modifica col distinguere i
suoi dittonghi (ts ts ecc., p. 128 e segg., 146 e segg.) dai gruppi di
consonanti; Lepsius, Standard alphabet, sec. ed., p. 72; Brììcke,
Grundzuge der physiologie ecc., p. 67. Il Merkel, nella sua Physio-
logie deY menschlichen sprache (Lipsia, 1866), che mi soprarriva,
meglio parmi accostarsi, per questa parte, alla verità (p. 205 e segg.,
cfr. 195 e segg.).
§ 38. FISIOLOGIA DI ó, y^ n. 199
lante (s, z)\ il qual concetto, erroneo come fermamente io credo,
venne, tra l'altre, ad impedire in sino ad ora la corretta in-
telligenza di molteplici fenomeni, ne' quali s'involge l'azixìne di
e 0 di ^ *.
Noi siamo ben lungi dal volere affermare, che non v'abbia
differenza tra la qualità specifica di e e di g, e quella, a ca-
gion d'esempio, di p e di &, e che e e ^ si abbiano perciò a
collocare, senz'altro, fra le esplosive semplici y cosi come a
buon dritto vi stanno, senza riserva alcuna, p e &. Ma questo
intanto possiamo affermare con ogni sicurezza, che e e g sono
suoni non meno momentanei di quello che sieno p e
h; e che se quindi ci proviamo a pronunciare e o g
per modo ch'essi contengano, pur per la minima quan-
tità di tempo che far si possa, uno s o uno i, essi
cessano d'essere quello che sono; come ugualmente
cessano di essere quello che sono, quando si tenti
che un t od. vliì d venga a formar parte della pro-
nuncia loro. Quale pur sia la rapidità con cui si possa pro-
ferire il gruppo ts 0 dz in vintsere o tindzere, non si otterrà
mai, che, serbatine distinti i due elementi, n'esca il vincere
0 il tingere della pronuncia italiana.
Ma tra i suoni assolutamente semplici e i suoni giustaposti
che si succedono l'un l'altro, "Vi hanno quelli che si possono
addimandare complessi, quelli cioè, i quali si ottengono, a par-
lare col Brilcke, « per ciò che le parti della bocca sieno simul-
taneamente accomodate a due consonanti diverse** » Sono tutti
continui i suoni che il valoroso fisiologo fa entrare in questa
categoria, e son principalmente: s e z. Cosi egli decompone lo
5 in s + /i***; ma naturalmente conviene, che nello s non si oda
netto né 5 né Ti. , e afferma soltanto, che la disposizione, mercè
la quale si produce lo s, è quella che si domanda nella produ-
zione di li, modificata nel senso di quella che ci vuole per s ;
* V. Vlnd. s. - +j e il luogo cit. a p. 142 in f.
** O. e, p. 03. *•** Ib., 04.
200 § 38. FISIOLOGIA DI e, <j, n.
e rimari sempre che s sia veramente anche pel Brticke suono
unico, e non già composto alla guisa di x {c-vs) od altrettali.
Ora io certo non posso entrare, senza perplessità, a suggerire
nuovi discernimenti ai fisiologi; ma pur debbo avventurarmi a
dire, come a priori non ripugni una special categoria di suoni,
che ^\eno complessi e mor/ienfanei. I fisiologi fatican sempre
a descriverci ed a mostrarci come si formino i diversi contatti
per la produzione delle varie esplosive; ma importerebbe an-
cora, e per la fisiologia e per la linguistica, che si studiassero
e si descrivessero 1 diversi modi pe' quali i contatti si prosciol-
gono. Il modo del proscioglimento può produrre, per l'istante
dell'esplosione, quella disposizione medesima che si richiede a
formare una determinata continua, o affatto semplice o com-
plessa; e in questo caso si otterrà un suono unico e momen-
taneo, ma pur complesso, od anche doppiamente complesso, per
causa di conformità parziale con un suono continuo. Immagi-
niamo un'esplosiva, per la quale la lingua formi il contatto a
un di presso come è per t, e passi poi rapidamente, per l'i-
stante dell'esplosione, alla postura in cui è nel proferimento dì
s, ed otterremo, non t o s, ned entrambi, ma l'esplosiva e, e
quindi, a corde vocali raccostate, la esplosiva g*.
Della portata di queste considerazioni abbiam tosto oppor-
tunità di fare esperimento, riconducendo il discorso alle pala-
tine sanscrite. La pronuncia attuale di ^ e ^ equivalendo pei
dòtti alemanni a ts e dz, essi trovano che anche i fenomeni
d'assimilazione, provocati da ^ e da ^, riescano affatto assurdi
od inconcepibili, se non si ricorra alla anteriore pronunzia di
questi elementi, la quale si può a un di presso raffigurare, come
* Se fosse corretto il cenno di Max MiIller, Lectures on the
science of lartguage, II, 141 in n., il Briìcke già avrebbe conceduto
che ó e g sieno esplosive complesse ; ma il Miiller, il qual del resto,
inglese come si è fatto, giudica rettamente circa l'entità di questi
suoni, applica ad essi, per isbaglio, la sentenza che il Briìcke non por-
tava se non intorno allo se simiglianti (o. e, 63 e segg., cfr. 67).
§ 38. FISIOLOGIA DI C, (/, n. 201
la etimologia vuole ed ognuno concede, per Iv e g^ *. Difatti , il
s di anjà-s, alius, a cagion d'esempio, passa normalmente, per
assimilazione parziale, in g, quando s'incontri in uno k, e quindi:
anjàg-Ua, aliusque; e il <^ di anjà-d, aliud, passa nel caso stesso,
per assimilazione normale e totale, in È; quindi: anjàk-lia, aliud-
que. Ora, dato che ka equivalga a tsa, è assurdo che non ri-
manga dentale il s che vi s'imbatte; e cosi appare affatto ca-
priccioso quel mostro fonetico che avremmo in anjàts-tsa, poiché
l'assimilazione naturale sarebbe in questo caso anjat-tsa. Quindi
la conclusione, che, per intendere quei fenomeni, sia d'uopo ri-
portarci a' tempi in cui li e g erano ancora palatine vere , e
che, nell'attuale ortografia e pronuncia del sanscrito, si man-
tenga, per questa parte, a dispetto delle ragioni eufoniche, l'ef-
fetto eufonico di una causa che più non sussiste. Ma lo studioso
italiano resta attonito al sentir simili raziocinj. Poiché, quando
ha appreso che lo % e lo ^ del sanscrito non differiscan da quelle
sue esplosive in-composte che noi trascriviamo per e e per g,
il caso di assimilazione che s' ha in anjàh-ka (per anjàd+Ua
anjàt-Tia), e ogni altro fenomeno consimile, gli pajono le più
naturali cose del mondo. Sono anzi fenomeni che non si fanno
ben chiari se non dalla pronuncia attuale di K e di ^. E se ve
ne sono degli altri che fanno testimonianza delle anteriori fasi
della loro pronuncia, come fu a suo luogo da noi avvertito (§ 13),
non sappiamo tuttavolta vedere alcuna ragione, per la quale si
possa legittimamente revocare in dubbio la molta antichità della
pronuncia attuale. Anzi vediamo che tutto induce a farla sicu-
ramente risalire in sino al periodp indo-irano **; nel quale tro-
* Cfr. p. e. Lepsius, 1. e, p. 93 (cfr. 72); Trumpp, Giornale della
società orientale germanica, XV, 700.
** Le antiche trascrizioni greche non confortano di certo l' ipo-
tesi di uno lì. che di poco si scostasse da un mero k palatale. Avremmo
così: SavBapo-cpàyo? e ilavox-^àXa (1. "Piyx) ^ Jlandra-bhdgd, nome di
fiume (cfr. A. W. Schlegel, neìVIndische bibliothck, Jndische Sphina;,
§ IO, Lassex, Indische alterthurnskunde, I, 44; nel quale esemplare
202 § 38. FISIOLOGIA DI e-, (/, n.
vìamo, che già fossero per intero compiute anche le alterazioni
di k in Q [darg drsta) e di ^ in i [marz mrsta) *, che sono
più profonde di quello che non risultino le alterazioni rappre-
sentate da K e ^r secondo pronuncia attuale.
È ben chiaro, del rimanente, che noi per ciò non trascuriamo
la molta distanza che è tra T incipiente affezione delle guttu-
rali e la odierna pronuncia delle palatine sanscrite. Già accen-
nammo testé come la base di queste possa per approssimazione
indicarsi per k"- g\ sia, vale a dire, limitandoci per brevità alla
tenue, un k palatale (cioè un k formato al palato duro, e non al
molle 0 pendolo, dove si forma il /« da noi chiamato, secondo l' uso»
gutturale), il cui contatto si formi e si prosciolga per guisa da
favorire lo sviluppo della vocal palatina, i, e quindi della frica-
tiva che le risponde, cioè di j. La qual continua palatina, inva-
dente per eccellenza, come già, per piccola parte, potemmo vedere,
passa rapidamente, di grado in grado, in suoni affini di forza
sempre maggiore, sospingendo di mano in mano, verso alla radice
dei denti, il contatto dell'esplosiva che le precede, sì che ad un
certo punto avviene, sempre sotto il doppio impulso della ten-
denza ad agevolare la pronuncia e dell'affinità acustica, che i
va ancora considerata la doppia corrispondenza greca tp p per hh
sscr. ; hhag- suggeriva il greco tpxy-, v. pag. 156 n., e cfr. Lassen,
1. e, IH, 176);- ^lacvSpo-xuTTTo; e ^xvSpo-xoxTo; t= ìiandra-gupta-, nome
di re (cfr. Schlegel, 1. e, § 5);- e la stessa radice, con la mede-
sima trascrizione greca, ritornerebbe, dall' un canto, in adcvSavov aàv-
SaXov (TocvTaXov = Randana-, sandalo, e, dall'altro, per regioni asiatiche
diverse, in SàvSy)?, l'Ercole assiro e cilicio (cfr. Phil. Luzzatto, Jour-
nal asiatique, avril-mai 1851, p. 470 e segg., Ahrens, Orient. u. oc-
cid., II, p. 1 e segg.). È affatto improbabile che le trascrizioni greche
riflettano gRand- anziché Uand- (v. 41, 4.); e aàvS- per gliand- sarebbe
•del resto prova ancora pili convincente del molto distacco fra M e k.
Né ci potrà turbare l'isolato SocvSpàjxv];, nome di re (= Randrdmas,
luna, Luno; Schlegel, ib. , §6). Si aggiungerebbero: i IlpxGioi
<= prdRja-, Lassen, 1. e, I, 93, II, 691) e i llxCocXoct' {- panMla-, ib.).
* V. i §§ 24, 25 e 43.
§38/ FISIOLOGIA DI c, f), n. 203
dae elementi si fondano in uno solo; onde abbiamo, e pel san-
scrito e per altre favelle, l'approssimativa serie: h' kj kz ^'s
('5) Ji*, dove la momentanea complessa {U) è la risultanza
individua di due diversi suoni, cosi come lo s, che è una con-^
tiìiua complessa, è frequentemente la risultanza individua di
due diversi elementi istorici (di sk, di sj, ecc.). Lo K, alla sua
volta, per ulteriore alleviamento della pronuncia, passa facil-
mente da suono esplosivo in continuo, che è quanto dire si sem-
plifìca**', e ne surgono sibilanti diverse, che anch'esse man
mano semplificandosi, offrono la serie: s, g, s ***. Cosi avve-
niva, che sul campo romanzo trovassimo la serie che si può de-
scrivere con questo esempio (v. p. 44-5): vaha vak^a vaca vasa ;
e così nell'India, oltre a *y% ^(p.e. ruk-ruTi-, 12,3. 13, IL), ave-
vamo pur l'altro esito dell'affezione, pel quale, continuandosi
quasi la serie romanza che or' ora adducemmo, s'arriva, a ca-
glon d'esempio, dall'originario dik (11, 16. 13, 13.), mostrare, al
sanscrito dig-, e al dis- pracrito****.
* Per la media: g\ gj, g% { ^%)^ g. Cfr. Schleicher, Zur vergi, spra-
chengesch., 149; Lepsius, 1. e, 71-2.
** Vedemmo di sopra, come e, pure essendo suono unico e momen-
taneo, pur si risolva in t + s + ìi, e così g si risolve ìa d + 2 +j. Ora,
la stretta complessa, non preceduta da contatto, ci ridurrà a. s + li
( = s), s+j (2); e per semplificazione della stretta stessa, si può fi-
nalmente arrivare a' semplici s, z.
*** Trovammo nel toscano, p. 22-3, anche un'altra continua, vi-
cina di, s, e sempre emanazione etimologica di k. V. ancora Vindice
s. ce ci, gè gi.
**** Va qui ancora toccato di un'ipotesi che si è ripetuta così pel g
sanscrito dirimpetto al k originario, come per lo s (eh) francese di-
rimpetto a e latino innanzi ad a; l'ipotesi, cioè, che tra la guttu-
rale e la sibilante vi avesse lo stadio della fricativa o spirante gut-
turale, che noi trascriviamo per li. Messa così, in questi casi, per
base della serie alterativa una spirante, nel resto la vicenda non si
avrebbe a mutare; poichò, avanzandosi nel palato la stretta per lo Ti,
o quindi avendosene imprima un li palatale, otterremmo: lì', llj, ''z-i
204 §38. FISIOLOGIA DI e, f/, h.
La descrizione fisiologica delle due aspirate {ìih, gh) potendosi
dir contenuta nella generale definizione che l'aspirata si ottenga
''Sj s. Ma io confesso, che non solo non vedo alcun indizio che per-
suada l'intermedio dello /i, ma anzi trovo che ogni cosa gli parli
contro. E per incominciare dal fenomeno sanscrito, v'ha imprima, che
la sentenza, per la q[uale andrebbe allo g attribuito, in uno stadio
anteriore, il valor dello H palatino che per esempio ricorre nel te-
desco ich (io), sentenza che ha per autor principale il Kuhn (in Hoe-
fer. Giornale per la scienza del linguaggio, II, 166-74), non su d'altro
in fondo poggia, se non sopra un postulato teorico, cioè sopra ra-
gioni di simmetria fonetica, per la quali sarebbe opportuna l'istitu-
zione di questa spirante sorda palatina. Non ha per sé alcun positivo
fatto; ha contro di sé la pronuncia tradizionale e le antiche rappre-
sentazioni eterografiche; ed è scompigliata dai paralleli etimo-fonetici
che abbiamo in favella irana e nella litu-slava; né può essere cor^-
ciliata, quando non si accumulino ipotesi sopra ipotesi, colla vicenda
parallela che s'incontra, ed in queste e nel sanscrito, per la media
(§§ 24-25), dove per brevità ci limitiamo a ricordare, che g zendo
(foneticamente non diverso da s) sta a R, così come lo z (z) della
stessa lingua sta a ff. Quanto poi alla differenza fonetica che rimane
da statuire, pel sanscrito, fra ? e s (v. p. 13), abbiamo un'analogia
opportunissima nel toscano, dove il e di piace (p. 22-3) non è più il
e di selce, ma volge, senza raggiungerlo, allo s di scemo.- E pas-
sando al fenomeno di s(ch) francese per e lat.. innanzi ad a, qui l'ipotesi
dello il, o vogliam dire di e aspirato, ha per autore il Diez, il quale
ha insieme avventurato l'arditissima ipotesi che l'aspirazione possa
provenire dall'influsso del k aspirato di alcuni antichi dialetti alto-
tedeschi, parlati nella Francia o a' suoi confini. Crede inoltre il Diez,
che possa giovargli l'analogia romancia (ladina) di charn per car-
ne, ecc., e ancora un indizio in favor suo vorrebbe vedere nel modo
grafico per quest'alterazione francese di e latino (c + /i). Senonchò, lo
h è fallaeissimum signum (cfr. p. es. il suo ufficio nelle nostre sillabe
che chi; S.chuchardt, Vokalismus des vulgàrlateins, I, 73-4); e io eh
romancio (ladino) di charn ecc., del quale anche il Roscher (ap. Cur-
tius, Studien zur griech. u. lat. gramm., II, 153) con piena fede si vale
come di un e passato in aspirata od in spirante, altro non rappresenta
§ 38. FISIOLOGIA DI c-, f/, n. 205
col far succedere uno spirito aspro all'esplosiva pura, rimar-
rebbe ancora, circa le quattro momentanee, la questione, ab-
bastanza sterile, del nome dell'ordine a cui ascriverle. Quello
che una varietà di e, come già avemmo occasione di veder piti sopra
(p. 44-5), ned altro rappresenta lo gh inventato dal Pirona per rendere
lo e friulano. E come « (eh) frane, fta a e lorenese (Ban de la Roche),
ladino e friulano nell'antica formula ca, così sta ;? (j) francese a, g
lorenese, ladino e friulano nell'antica formula ga (v. p. 118), dove
mancherebbe, per giunta, come il Diez medesimo ha veduto, l'ana-
logia germanica, alla quale per la tenue egli allude. Del resto, ben
lungi dall'aver piena fiducia nella propria conghiettura, il Diez ( Gram-
matik der romanischen sprachen, 3. ediz., I, 249) ne raccomanda ora
a' suoi lettori una di affatto diversa, messa innanzi da N. Delius
{Jahrbuch fur romanische und englische literatur, I, 357). Giusta la
quale avremmo a dire, che primamente si avesse lo s (eh) francese
in esempj sulla stampa di cher = carus^ cioè dinanzi ad e frane, da a
lat., ne' quali si tratterebbe di fenomeno congenere a quello degli
it. ce e ci, e che poscia simili esempj, per amor di coerenza, con so
traessero la medesima mutazione pur ne' casi in cui l' antico a si man-
teneva {chaleur t= caXov ecc.). Ma qui si risponde, imprima, che se è
frequente lo scadere dell' a lat. di ca in e frane. , è tutt' altro che
raro quello in cui si mantenga, e che affatto ripugna l'ammettere
che un fenomeno fonetico venga cosi ad estendersi, non piti per la
causa sua efficiente, ma quasi per ragionamento etimologico. E v' ha
inoltre, che si ha costantemente ca ladino e friulano per ca latino. -
Quindi sosterremo con animo sicuro, che lo s (eh) attuale del fran-
cese altro non sia che una semplificazione dello e che etimologica-
mente gli corrisponde nel ladino e nel friulano, e ancora si mantiene,
dall'una parte, nel lorenese (Ban de la Roche), e dall'altra si con-
serva nella pronuncia inglese delle parole importate di Francia (cham-
bre ecc., con ch<=c, Diez, P, 448, P, 460; cfp. il nostro ciarnherlano,
che anch'esso vien di Francia). Per e che si riduce a s, va pur qui
ricordato il e toscano di piace, già citato in questa stessa nota, e lo
eh portoghese («=> s) che in Tras-os-Montes è ancora e. Pure nel val-
lone abbiam ca per ca lat., e il fenomeno non è estraneo pure al pro-
venzale (Diez, 1. e. e sotto eh prov.)*
206 § 38. FISIOLOGIA DI e, y, n.
di ordine 'palatino sembra a dirittura un sacrilegio ai dotti che
altro non vedono in K e ^ se non ts e dz; e dal canto nostro
potremmo aggiungere, che, per alcune varietà romanze di e e
di g, il posto del contatto è assolutamente a' denti. Tuttavolta,
siccome le più notorie varietà di questi suoni vogliono il con-
tatto più in su che non per le solite dentali, cioè in prossimità
della concavità palatina, e sicoome nel sanscrito e nello zendo,
e di solito pur negli idiomi romanzi, le palatine vere, che la
scienza ricostruisce, coincidono etimologicamente coi portati fo-
netici che qui venimmo descrivendo, cosi noi ci arrendiamo vo-
lentieri alle esigenze dell'uso, e continuiamo a dir palatini lo
% e \o g dell'attuale pronuncia sanscrita, ed i consimili suoni
di altre favelle. Quanto è finalmente alla ragione fisiologica
della nasale sanscrita dell'ordine palatino, sembra oggidì pre-
valere, fra gli studiosi europei, l'opinione ch'essa equivalga
in ogni incontro al suono composto che noi trascriviamo per
n { = nj). Ma quest'opinione, che ha per sé l'autorità di Gu-
glielmo Jones, e recentemente si è divulgata per gli scritti di
Max MùUer e del Lepsius *, non può tuttavolta non essere
inesatta. Il solito posto di questa nasale avrebbe ad essere
secondo grammatica sanscrita, dinanzi ad esplosiva palatina
{nìi, ng); ed ognuno vede, che, né in simile congiuntura, co-
munque s'intenda costituita l'esplosiva, né riportandoci alla
figura etimologica anteriore con la gutturale {nk, ng), mai si
può ragionevolmente ammettere che si sviluppi o si proferisca
un j tra l'elemento nasale e l'esplosivo che sussegue. Bene,
all'incontro, nell'altra congiuntura in cui occorre la nasale pa-
latina, cioè dietro a. li eà a. g {'hna gna ecc.), può essersi svi-
luppato un y dietro di essa, ed anzi é sviluppo naturalissimo,
poiché si tratti di doppio contatto palatino a cui succeda vo-
cale. Quindi terremo per fermo che sia esatta quella notizia che
* W Jones, Asiatick researches, I, 5. ediz. (Londra, 1806), p. 25;
M. MiiLLER, 0. e, p. 158 (cfr. 152 e 146); Lepsius, o. c, p. 77.
§38. FISIOLOGIA DI e, (jy h. -07
vediamo accolta dal Bopp * e proviene ili certo anch' essa da
osservazioni d'indologi inglesi fatte sul luogo, giusta la quale
il n altro in fondo non è, nella prima categoria di combina-
zioni (p. e, jungànti, jungunt), se non una semplice nasale pa-
latina, vale a dire una nasale, il cui contatto viene a formarsi
in quella stessa posizione, che è richiesta per la esplosiva sus-
seguente**; dove, all'incontro, nella seconda categoria di com-
binazioni (p. e. jagnà-, culto), il n equivarrebbe a gn italiano»
e quindi allo n delle nostre trascrizioni romanze. Ora, siccome
nelle combinazioni della prima specie si suole scrivere Y anu-
svàra in luogo del proprio carattere della nasale (p. 14), cosi
si chiarirebbe il perchè lo Jones ci abbia parlato sol del va-
lore che questa viene ad assumere nelle combinazioni della se-
conda specie, nelle quali è esclusivamente rappresentata dalla
lettera che ad essa è propria; e di fatto, altri eserapj il Jones
non cita, tranne gnd, conoscere, gndna-, cognizione ***.
* Bopp, Krit. gramm. d. sanskrita-sprache in kùrz. fassung, 3* ediz.,
§ 25; cfr. Benfey, Volisi, gramm. d. sskritspr., p. 5, e qui sotto la n. ***.
** Quindi il t:* di Brìicke, o. c. , p. 50, 80.
*** Notevole che il missionario italiano , già altre volte citato
(p. 108 e 152, in n.), non ricordi lo gn di nostra lingua nel descri-
verci il n indiano, il cui nome egli rende per nghion: Haec per la-
tìnam literam describi nequit, cum plures simul prolatae ejus sonum
expriraere valeant; palato enim simul, et naso cum aliqua aspiratione
erit pronuncianda. usus te docebit. - Abbiamo, all'incontro, un altro
missionario italiano (Clemens Peanius alexandrinus, carmelita excal-
ceatus provinciae pedemontanae ) , che neW Alphabetum grandonico-
malabaricum sive samscrudonicum , Romae 1772, così ci descrive la
nasal palatina (p. 82): gna, ut gn italicum, efformatur prope dentes
cum aliquo narium ministerio. Ma va considerato, a tacer d'altro, che
questi aveva esercitato il suo ministero nel Malabar, cioè in regione
di favella dravidica ( § 42 ). - 11 Wilkins {A gramm. of the sanscr.
lang., p. 8) ha questo strano adclitamento : . . . the just articulation
of which {cioè del radicale gnd) is found so difficult, and the sound
so harsh, that it is frequentìy softened into gjd.
208 §39. sk originario;- fih sanscrito, sk europeo.
§ 39. Dopo questo ragionaìnento fonetico, al quale dovremo in ap-
presso non poche volte riferirci, il nostro discorso si rifa eti-
mologico, e messa per ora in disparte la media aspirata, gh,
peculiare all'India, la quale è nel sanscrito di uso assai scarso
e di quasi nessuna importanza per la comparazione europea *,
si rivolge alla tenue aspirata Uh, peculiare all'India anch'essa,
ma di non poco momento pel nostro studio, si per la genesi sua,
6 si pei riflessi che ritrova nelle lingue affini. Dai quali inco-
minciando, vedremo essere sk la costante risposta europea dello
Uh sanscrito ** :
1. Sscr. Hhdjà, ombra; gr. axta, ombra, a cui si aggiunge, da Esi-
chio: (jìioió-ci ((jxot3c<= cr/.oT£ivdt), oscuro. La parte radicale di
questo vocabolo, riapparisce, a dir solo di alcuni esemplari
(cfr. Vlntrod. alla Morfei.), nel sscr. Jihad Rhd-d-dja-ti , rico-
prire, velare, nascondere, nel got. ska-d-u-s, ombra (ufar-shadv-
Jan, eTcì-ffxia^eiv ), nel greco axo-ro-;, oscurità, e nel latino ob-
-scù-ru-s (cfr. sscr. sku, § 41 al pr.).
2. Sscr. Rhid Jihinddnti (3 pers. pi.), scindere, discindere; lat. SCID,
scld-i scind-o {scindunt ^ sscv. Jihinddnti', pro-scindimus <= sscv.
prd-Rhindmas ', ab-scindunt «= sscr. dpa-Jihindanti). Il lituano ri-
sponde ugualmente per SKID, onde p. e. skeda *** ( 'skaidd, f. ),
scheggia, ayi^iov, che risponde a capello, salvo il genere, al
* Non va tuttavolta trascurato, malgrado l'onomatopea, il paral-
lelo già messo innanzi dal Pott e dal Bopp: sscr. ghilli- ghilli-kd,
grillo, lat. grillo-, ted. grille. Saremmo ad una forma originaria
*ghrilla-, cfr. Vlnd. s. bhang, ed avremmo, nella voce asiatica, uno
gh men profondamente alterato di quello che soglia {gh in luogo di
'z\ h; cfr. /i e p, = A, il § 36, 3 e la p. 193 in n.). - Circa la ge-
nesi pracritica di gh, v. intanto: § 34 n., § 40, 5. e ult. n.
*♦ Pur la risposta gotica si mantiene qui all'unisono, il traligna-
mento (p. 63-4) essendo impedito nella formula s + - (cioè: esplosiva
preceduta da s), cfr. atd, ist, a p. 147.
*** Nesselmann, 1. e., dal lessico dello Szyrwid (1713), ed è forma
che si ripete nello «Aaida lettone.
§ 39. Sk ORIGINARIO ; - Rh sanscrito , Sk EUROPEO. 209
sinonimo sanscrito hhaida- {'skaida-, m. )• Del riflesso greco
si tocca più innanzi (§ 41, 1).
' 3. Sscr. ]lhd Hh-jd-ti, tagliare, part. perf. pass*( /t/ià-tó- e Rhi-td-;
dal quale esemplare avremmo preso le mosse, se ragioni di op-
portunità non ci suggerivano di mandarne innanzi altri due, di
più facile ricostruzione. Qui dunque risaliremmo a 'skd, alla
qual forma starà il SEC lat. di sec-tor, sec-dre, così come tra
di loro stanno, per entro al latino, stev' e strd- (ster-no, strd-to-),
o per entro al sanscrito: par e prd, empire (v. Vlnd.), e tanti
altri siraiglianti *. E qui spetterà ancora il lat. scio, che pri-
mamente deve aver valso: decidere, decretare, come si vede
da scitum e da scisco, indi: riconoscere, conoscere, sapere; e
'decidere' è 'tagliar colla volontà, cól giudizio' (de + caedo; cfr.
p. 30, in n. ). Così sciunt (veramente: decidono) risponderà a
capello al sscr. Uhjdnti Cskjantì, recidono)*, ma scio, per la sua
particolare costituzion fonetica, fu naturalmente attratto nel-
r analogia della quarta, e quindi seimus (allato a capio captmus),
scl-tum sci-sco ecc. **.
4. Ma l'esemplare più importante è -Hha-, vale a dir la figura san-
scrita dell'elemento ascitizio che nel greco e nel latino si ri-
percuote per -axo- -SCO' (-(txs- ecc.). Già avemmo ad incontrar
questo elemento in gd-liliha ***'=> pi-cy^t, va! (26,8.), e dovremo
riparlarne fra non molto (§ 41); ma qui intanto, per misurare
brevemente la sua principale attività morfologica, vorremo an-
cora considerare, che i tipi verbali sanscriti: ar-ìlha- {ar-Jiha-ti
r-Mhd-ti, aggreditur), ga-Mha- {gd-RJiha-ti, it, venit), ji*a-/^/ia-
* V. Zeitschrift s. e, XVI, 207.
** Quindi starei col Curtius, 1. e, n. 45 h, senza però poter con
lui ripetere che alla forma sanscrita manchi il s (v. § 40). IIPott,
all'incontro {Etpm.forsch., 112,734, Wurzel-ivOrterb., 1,60,459,704)
ed il Benfey (Kurze sskr.-gramm., p. 28 in n. ; e altrove), insistono,
ma infelicemente di certo, sulla combinazione di scio col sscr. Ili, col-
ligere, dichiarando ciascuno a proprio modo la sibilante della forma
latina. - Cirtfa il riflesso greco di questo numero, v. § 41, 1, in n.
*** Circa la ragione dello M, che qui si aggiunge alla nostra aspi-
rata, V. il §40.
Ascoli . FohoI. ìndo-it.-yr. 14
210 §39. sk originario;- Rh sanscrito, sk europeo.
ijà'JiJiha^ti , cóhihei) , non vanno al di là dei tempi che addi-
mandano speciali', così come lo -san di Yt-ywj-Txoj (riconosco)
più non si vedrebbe nell'aoristo l'-yvci-v, nò quello del latino
nosco nel perfetto nó-vi.
5. Giova finalmente considerare un qualche esempio di altro lingue
europee, in cui ancora si contenga, come per ulteriori indagini
ci sarà manifesto, l'elemento medesimo del quale testò si è di-
scorso. Abbiamo cosi l'ant. alto-ted. vunsc, desiderio, vunsk-ian,
desiderare, allato ai sanscriti vdhUh vànJlha-ti, optare, desi-
derare, vdhlihà, desiderium, optatio (cfr. van, amare, cupere); —
e il lituano [jjesk-óti ( = *aÌ3k-), paleo-bulgar. isk-ati {'aisk-,
'j-eìsk-), quaerere, ant. alto-ted. eisc-dn, petere, allato ai san-
scriti z^/i f^/^/ia-ii (*isk-), quaerere, petere, optare, ihRà, desi-
derium (cfr. § 41,3, n.**).
§ 40. Le analogie discorse nelle Lezioni precedenti , e tutte quante
le osservazioni, cosi d'ordine generale, come dello special do-
minio di questo singolo riscontro che più innanzi verremo ap-
profondendo, ci rendono affatto sicuri, che nella risposta euro-
pea, cioè nello sk, si continui ancora incolume la combinazione
del periodo originario; ed ora c'incomberà di scoprir la via, per
la quale si consumasse questa così grave alterazione di sk ori-
ginario in Uh sanscrito*. È fenomeno di decadenza profonda,
a chiarire il quale giova imprima ricorrere alle lingue medie-
vali dell' India sanscritica, cioè al pali ed al pracrito **, per in-
terrogarli sul come essi rispondano a combinazioni congeneri
che ancora vigono nell'antica favella. E ritroveremo, che l'an-
tica sibilante, la quale immediatamente preceda a consonante
nasale od esplosiva, si converte costantemente in h e viene
insieme a posporsi alla consonante che imprima a lei succe-
deva; che è quanto dire: aversi per le formule sanscrite -+"
* Si vegga il secondo Saggio indiano nel secondo volume degli
Studj critici.
** Per pracrito senz'altro, s'intenda il principal dialetto pracritico
che occorre nei drammi.
§ 40. DEL COME sk ORIGINARIO PASSI IN kh SANSCRITO. 211
(sibilante e nasale) e*+^ (sibilante ed esplosiva, sempre sorda),
1-e formule palicke e pracrite ^-f/i ed ^i-h; dove non è inutile
l'avvertenza, che, nella base palica o pracrita, non si può più
parlare se non di una sola sibilante, che è la dentale (5). Li-
mitandoci per ora ad esempj pracriti, vediamo dunque imprima,
per la formula sscr. •^+*:
1. s. iismz, io sono, i).[a]mhi', s. grismd-, estate, ]).ghnha-',
vi-smita-, stìi^ito, vi-mhida-; visnu-, Yìsum, vinhu-.
Indi per la formula sscr. *+^ * data l'esplosiva pura e a com-
binazione iniziale:
2. sscr. skandha-, spalla, pr. khandha-^- sscr. stimitd-, umido,
rigido, ^v.thimida-',- sscr. scarpa-, contatto, pr.pTiasa-;- sscr,
dfs-ti-, vista, T^r. ditthi-;
e a combinazione interna:
3. sscr. maskara-y bambù, pr. makhara--,
àsti, è, atthi',
hdsta, mano, hattha-;
vi + stararti- , che spande , vi + ttharanta- ;
pùspa-y fiore, puppha-',
vdspd-, vapore, lagrima, vappha- **.
Troviamo quindi nel pracrito, ove si tratti di combinazione in-
terna, aggiungersi costantemente all'aspirata la sua pura tenue.
E una specie di raddoppiamento, che pure ove si tratti di com-
binazione iniziale si riproduce sempre entro il composto; quindi
p. e. sarira-pphasa- = sscr. Qarira-sparga- (cfr. 40, 2.), contatto
del corpo, e veramente era un composto anche il testé addotto
vi-ttharanta-. Il quale raddoppiamento ci apparirà come un ri-
* Nel § 41 in. n, si avrà la confutazione di un diverso modo pel
quale si è tentato dichiarare la genesi del riflesso pracritico di questa
formula.
** Figura pracritica, assunta a far parte del lessico sanscrito, è
guph , torcere ( intrecciare ) , onde gumpha , gumphana , V intrecciar
ghirlande, e guphitd-, allato al vedico^w*pi7à-, intrecciato.
212 § 40. DEL COME sk ORIGINARIO PASSI IN kh SANSCRITO.
piego dell'ortografia indiana, richiesto da ciò, che il prodotto
pracritico di sk st ecc., cioè k + h t^h ecc., non si scrisse per
le due diverse lettere che rappresentano i due suoni onde esso
consta, ma bensì, come l'uso rendeva pressoché inevitabile, per
l'unica lettera che rappresenta quell'affinìssima comÌ3Ìnazione
fonetica che ne è la singola aspirata kh ih ecc. Ora kh th ecc.
non davano, come pur la ortoepia voleva, una doppia consonante,
vale a dir tal composto fonetico che {a.cesse posizione; e quindi
voluto il raddoppiamento per mezzo della rispettiva tenue, me-
diante il quale si acuisse la pronuncia della vocal precedente e
restasse ben divulso 1' elemento esplosivo dall' aspirazione che
sussegue, per guisa che sicuramente si avesse in at-hi (atthi),
a cagion d'esempio, un trocheo (-v^) e non un pirrichio ("^)*.
Nel prodotto pracritico di sm sn ecc. , cioè m + A n^h ecc.,
il raddoppiamento non interviene, perchè mh nh ecc. son dì
necessità rappresentati da due diversi caratteri per ciascuno,
e quindi è senz' altro pur graficamente manifesta la posizio-
ne **. Rimane ancora il caso, in cui l' esplosiva sia aspirata
* Anche essendo iniziale staccato, e massime succedendo a uscita
vocale, deve primamente esser valso per due consonanti ogni kh
th eoe. ottenutosi nel ^racr. da sh st ecc. (cfr. Mh- sscr., di cui si
tocca in sulla fine di questo paragrafo). Ma, a poco a poco, simili
gruppi iniziali si ridussero a non avere diverso valor prosodico da
quello di una semplice aspirata. Cosi, per un esempio iniziale che
spetta alla categoria a cui tosto arriviamo, s' ha la prova metrica di
questa riduzione in via phulanti (t=sscr. iva sphuranti, come.... tre-
molano), alla fine del quarto emistichio d' un* àrja (è esempio di
dialetto mdgadhico, ap. Lassen, append. alle Institut. Unguae pra-
criticaCj pag. 59; ma circa tdhà khalanà *=> sscr. tasja Ékhalanam, il
vacillare dì costui, che ricorre nello stesso luogo, cfr. Stenzler,
wrliìlhakatikà, pag. 256). E vedi ancora il Lassen, nell'op. cit., a
pag. 282-3 e 397.
** Esempj di mh che fixccìa. posizione: mahuara vimharidosi r^sscv.
madhuhara vismrtau 'si (o ape, hai obliato), Cakunt., ed. Boehtlingk,
50, 10; yim/«a- = sscr. vismita- (attonito), i/rrt/j.-ì, ed. Bollensen,
58,6 (cfr. 529).
§ 40. DEL COME sk ORIGINARIO PASSI IN kk SANSCRITO. 213
nella combinazione sanscrita; e qui il pracrito darà figure non
diverse da quelle che vedevamo per la formula con l'esplosiva
pura, perchè lo h, che proviene dall'antico s, vi si imbatte o
fonde con quello, onde si costituisce il secondo elemento dell' an-
tica aspirata. Così avremo:
4. sscr. skhdlati, egli yeLCXÌla, pariskhalant-, che vacilla intorno; -
pr. hhaladi, pari'kkhalanta-'\ sscr. ava-sthdpajati, egli col-
loca; - pr. ava-tthdbedi; sscr. dsthi-, osso;- t^t. atthi"-, sscr.
sphurdti, coruscat, vi-sphurati, tremit; - pr. phuradi, vi-pphu-
radi *.
Di s che passi in h troveremo del resto a suo luogo (Lez. XIV)
più altri casi indiani; ma qui giova ancora ricordare, come la
trasposizione [asmi *ahmi amhi), e anche il raddoppiamento
dell'esplosiva [asti *ahti atthi), si ripetano negli idiomi pra-
critici anche per quelle combinazioni in cui lo h già sia proprio
della forma sanscrita.
5. Sarà quindi normale che il pracrito risponda per mh a hm san-
scrito in bamhana- ^ brdhmana- sscr. bramino. Così il pali, alla
sua volta, risponde per majham al sscr. mahjam, mihi ; il quale
invertimento di jh per antico hj si riproduce nello ffr/h pracr.
per hj sscr. (p. e. in saggha- « sscr. sahja-, da tollerarsi, e ap-
punto ricorre anche un pracrito maggha, di cui v. al § 61),
poiché vi si tratti di j che per veezo pracrito si f a ^ (v. V Jnd.)
e quindi forma col susseguente h una lettera sola, cioè l'aspi-
rata ghy che ha poi bisogno del raddoppiamento per ristabilir
la posizione. E per processo affatto analogo l'antico hv diventa
bùh pracrito in gabbhara- 'gavhara-, sscr. gahvara-, profondo,
profondità, nascondiglio **.
Che se, finalmente, per mancare al sscr. la formola h + ^ {h sus-
seguito da esplosiva), non possiamo aver sicuri esempj pracri-
tici di metatesi d'antico h in combinazioni affatto parallele a
* . . . naanà me vippJiuradi, [T] occhio mi tremola; Cakunt., ed.
Chézy, 97 (ed. Boehtlingk, 63).
** V. il sec. voi. degli Stadj crii. s. gabbhara-, gibbh[d], bàbkana'
('bdvhana , brahmana-, v. § 64).
214 § 40. DEL COME Sk ORIGINARIO PASSI IN ìlh SANSCRITa.
quelle in cui trattavasi di antico s {st *ht th; ecc.), l' analogia
troverà il suo compimento nel sanscrito stesso, cioè nel feno-
meno metatetico a cui va incontro il secondo elemento dell' a-
spirata sanscrita per la legge che riduce la formola etimologica
media asp. + t alla figura ortoepica media + dh; quindi p. e. lab-
dha-, ottenuto, da lahh + ta\ dove si aggiunge, a rendere proprio
perfetta l'analogia, che se l'elemento accessorio incomincia per
th, l'aspirazione trasportata si confonde con l'altra in cui
s^imbatte (40,4; cfr. § 44 e Metatesi).
Ora, l'istoria documentata e riprovata di un pracrito amhi
dair antico asmiy e di un pracrito thar dall'antico star, viene
a sparger piena luce sul fenomeno di 'kh sanscrito da sh ori-
ginario, che a noi qui importava di chiarire. Lo sk originaria
poteva cioè facilmente ridursi a sk [qK] indo-irano, pel frequente
fenomeno indo-irano di ^ in i^ anche dietro a continua , del quale
fu a suo luogo parlato (§§14,15); e questa fase fonetica è
ancora intatta in alcuni assai importanti esemplari zendi, né
manca del tutto al sanscrito stesso. Abbiamo cosi :
6. gliid zendo, rompere, allato a Uhid sanscrito, SKID europeo (39, 2.) ;-
gMd zendo, ingannare, allato a Hhad sanscrito {'ska-d, 39, 1.),
coprire , nascondere , onde Khdd-man-, inganna, coperchiella ; -
e per lo -SK ascitizio (39, 4.) giova qui intanto considerare il
verbo zendo gragk, gocciolare, grandinare, che è manifestamente
un frequentativo, ed ha allato, come si conviene *, la figura con
la gutturale nel sostantivo gragka, grandine; e insieme vedere,
dal sanscrito, il verbo vragM, vulnerare, lacerare, che deve an-
ch'esso andar munito dell'aggiunzione a cui alludiamo, e ri-
viene ad ogni modo a uno vrask anteriore**, il quale alla sua
* Cfr. p. 36, 38, 101, 107, 177. ,
** Allato a vra-gli sta il vra- del sscr. vra-na-, ferita, cicatrice,
cui risponderebbe il lat. vul-n-us (Benfey, Griech. ivurzellexik., 1, 48) ;
e il rapporto fra "vrask e 'vrak (sscr. vfka-, offensivo, lupo) è quello
stesso che interviene fra 'prask (sscr. prahh, chiedere, ricercare; ger-
man. for-sk-) e 'prak (lat.prec-, got frah-)\ v. la Introduz. alla Mar"
fol.y a. vv.
§40. DEL COMK sk ORIGINARIO PASSI IN ìih SANSCRITO. ^^15
volta sarebbe intatto nel nome vraska- (Jùpa-vraskd-, digros-
satore del palo *).
Ma lo s^ [gh] indo-ìrano doveva tosto o tardi subire, nell'India,
queir alterazione a cui man mano vi si vennero assoggettando,
come testé vedemmo, tutti i complessi congeneri; anzi esso è
stato, per la sua particolar costituzione , il primo che vi an-
dasse incontro; e quindi abbiamo la proporzione esatta:
Khid sscr. (39, 2.) : ^Hid indo-irano : : khandha pr. (40, 2.) : skandha sscr. ;
la quale, se avesse bisogno di altre conferme, si potrebbe in
ispecie confortare della riduzione pracrita di quelli gU che si
mantengono oppur surgono nel sanscrito, ed appunto è Jih, p. e.
in paJikhd pracrito ^er pagkdt sanscrito, dietro, di poi (§ 57), od
in tiriJiUhi pracrito pel tiraghi sanscrito, di traverso. Il raddop-
* Cfr. Benfey, Orimi u. occident, I, 395; Boehtlingk-Roth, VI,
180. — A stare alle apparenze, l'India anzi ci offrirebbe due diversi
modi di costante e integrale continuazione della fase indo-irana: gii.
V ha cioè imprima che in un libro vedico, nel kdthaka (jagur-vaida
nero, secondo una particolare scuola; cfr. la pag. 221 in n.), s'abbia
gRh pel sohto -Mh-, vale a dire per lo ìih con quel raddoppiamento
normale che già vedemmo (39,4.5.) e di cui tosto si ritocca; quindi
p. e. gtìgKhati •= gaMhati , it, ve.jit, a-ghhinad, scindebas scindebat,
(suparni) gKìiandasi, hymni, metra. Ora il Benfey {Gottmger gel.
anzeig.j 1856, p. 758, Or. u. occ, III, 194, e altrove) si è venuto
sempre in più raffermando nella sentenza che questa particolare or-
tografia ci rappresenti una fase isterica più antica, e che da g.ìih, dove
avremmo aspirata l'esplosiva per opera della sibilante, si venisse poi,
per assimilazione, a Mih. Ma la critica mal potrà accettare queste
conclusioni, che a noi importa di qui infirmare, anche perchè ne par-
rebbe sturbata l'istoria che dello ìih (ìiRìi) sanscrito e pracrito ve-
niamo facendo. Imprima dunque diciamo, che quanto sarebbe irra-
gionevole l'escludere l'ipotesi di qualche gii indo-irano che nell'India
primamente si facesse gRh, e altrettanto ripugna lo ammettere che
vi si compisse così costantemente questa aspirazione. Ripugna in se-
condo luogo il concedere alla ortografia del kàtìiaka questo ampio
privilegio di anzianità etimologica, non trattandosi, dall'una parie.
2Ì6, i^ 40. DEL COME Sk ORIGINARIO PASSI IN Uh SANSORITO.
piamento della qual forma pracrita è affatto normale, come
ormai sappiamo (39, 4. 5.), e corrisponde al raddoppiamento che
in ortografia sanscrita è a buon dritto voluto od ammesso per
ogni Uh a cui segua e preceda vocale. Gli è sempre che con ciò
si addimostra, e in modo ancor più compiuto che nel pracrito
che l'idioma di esso libro si distingua nel resto per speciali suoi ca-
ratteri di antichità maggiore, e non trovandosi, dall'altra, in tutta
la rimanente letteratura sanscrita, pur un solo esemplare di questo
f^/i. Ma l'obiezione piìi poderosa vien di là appunto donde a prima
vista può parere che venga efficace soccorso alle induzioni del Benfey.
Poiché v' ha ancora , che il grammatico HaimaHandra e' insegna,
aversi nel pracrito maghadico: -gli- per -Txh- {-Mkh-) sanscrito (v. We-
ber, nei Beitràge s. e, II, 363); il quale q^ si crederebbe a primo
tratto proprio tal quale lo gli. indo-irano = sk originario , tanto pid
che sì tratta d' un idioma pracritico che non fa subire agli antichi
sm st ecc. quella elaborazione a cui nel principal pracrito scenico e
nel pali essi soggiaciono. Senoncbè, già la costante differenza tra la
figura che è nel kàthaka {gJlh) e la figura maghadica di Haimak'andra
{gH,) basterebbe a destar grandissimo sospetto intorno alla importanza
etimologica di entrambe. Al che si aggiunge, che lo gh mughadico
si avrebbe per lo /ih del pracrito anche dove questo non risale di
certo a sk originario [vaghala- « pr. vaJihala- >= sscr. vatsala-; l'e-
sempio tirigRi ^ T^r: tirilihi non è veramente conclusivo, perocché la
corrispondenza sanscrita non ne sia già tirjak ma bensì tiragRi). Così
un qualsiasi -Rh- (-RRh-) pracrito trova nel dialetto gakdrieo, e non
in questo soler, oscillare i manuscritti fra -RRh -Rh -gRh -gR e -gg; p. e. :
gaRRh-dmi -gaRha gagRh-ia gagR-ia gagg-a (mrRRhakat., ed. Stenzler,
p. 132,303-4; cfr. § 39,4); pa-RRhdd-emi pa-gRàd-emi = sscr. pra~
-Rkhàd-ajdmi {mrRRh., 132, 303; cfr. § 39, 1); maRRha- magRa-
magga- >=> ssQv. matsja", pesce (mrRRh,, 10,241, Cakunt., ed. Chézy,
111, 5. 12. 112, 3); pekkh-dmi [peRh-adi] pegRh-a pegR-dmi [pegg-igà]
-sscr. pra-lks-, mirare (mrRRh. 132, 303; 21, 247; 35, 255). Siamo
quindi condotti a conchiudere, che ben lungi dal trattarsi di reliquie
di antichità singolare, tutti questi gRh gR gg altro affatto non ci rap-
presentino se non assibilamenti provinciali dello -RRh- del sanscrito o
del pracrito. V. ancora il sec. voi. degli Studj critici, 9. Rh,
§ 40. DEL COME Sk ORIGINARIO PASSI IN Uh SANSCRITO. 217
non avvenga, non aversi in simil prodotto una semplice aspi-
rata (M), ma bensì due distinte consonanti (^ + /i), a cui spetti
legittimamente anche di far posizione. Quindi si scriverà: gà-
Uhha = pàcjxs (39, 4.), jàsja ^Uhdjd (39, 1.), la cui ombra; e così
discorrendo *.
* V. Panini, ed. Boehtlingk, pag. 387, Benfey, Volisi, gr., § 17.
Se il raddoppiamento sì può tralasciare tra parola e parola, dopo vo-
cale lunga, ciò dee provenire dalla considerazione metrica, ch'esso
in questo caso sia superfluo; ma veramente avrebbe pur sempre a
starci, come è voluto nel mezzo della parola pur dopo dittongo, p. e.
in diliJihìka-, elettivo, e anche tra voce e voce dopo le particole ma
([juT]) ed d. I manuscritti sogliono trascurarlo (sogliono cioè dare,
p. e., gaJihati e non ga'hlihati), ma l'effetto prosodico resta natural-
mente il medesimo, e quindi suol dirsi che la lettera ^/i faccia po-
sizione; cfr. p. e. Bopp, gr. sscr., § 60, e Lassen, ugW Indischey hi-
bliothek, III, 50; intorno al quale particolare metrico, può spiacere
che taccia il Benfey nel 1. e; cfr. Sdmav., JEinleit., xlvi. Il Lassen,
alla sua volta, dice nelle Institutiones ling. pracriticae, pag. 208, che
Tih non faccia posizione nel pracrito, e si riferisce a una sentenza
del Lenz. Ma questi altro non dice {Urvasia , fabula Calidasi, Be-
rol. 1833, p. 202) senonchè: littera Uh inter duas vocales non semper
positionem facit (cfr. Bollensen, Urvagl, p. 524), accennando a due
esempj (mrMhak. , 297, 4, 155, 8, ed. Cale), i quali veramente non ci
danno kh per semplice consonante nell'interno della parola, ma bensì
al principio di parola nell'interno del composto {gìga-Jlheano- ^ sscr.
girsu-ìilihaidana- , taglio del capo; gatt a-Rhid da- = sscv. sapta-lilihi-
dra-, dai-sette-fori ; ed. Stenzler, pp. 157, 3, 79, 13; neìVUrvagi, ed.
BoLLENS., avremo -Hhh-, che è quanto dire lih che faccia posizione,
^n saììJihanda 59, puMhia 72, seMhd- 74; ma M.h tenuto per conso-
nante semplice in puJihimi 65), e provano questo solo, che i dialetti
pracriti abbiano fatto, pure in questa parte, qualche passo di più su
quella via per la quale già vedemmo che si mettessero in ordine ai
prodotti delle altre combinazioni congeneri (p. 212 nelle n.), e sulla
quale il sanscrito, alla sua volta, si è piti che mai inoltrato in ordino
a quei prodotti di cui pivi innanzi si discorre (§ 41, p. 224; §§ 43,
44). - Notevole eziandio, per la genesi della media aspirata pala-
tina (cfr. la n.* a p. 208), che interna tra vocali essa non ricorra
218 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINAR,IO.
§41. Ma tutto ora ci spinge a proseguire con qualche abondanza
l'istoria dello sk primitivo. Nella quale indagine avremo a veder
vie meglio, quanto sia vana, massime allorché si tratti, com'è
nel caso nostro, di consonanti abbinate, l'espettazione di coloro,
che sperano di veder trasfusa tutta la grammatica comparata
in un quadro sinottico di semplici ed esclusive equazioni, il quale
ci renda atti, quasi per incanto, a risalir con facile sapienza
a tutta quella gran parte delle origini che pure si è scoverta,
e ad accompagnare poi le forme primigenie, per un semplice
meccanismo di armonie alfabetiche, attraverso a tutti i tempi
e a tutte le contrade*. Tutti i fenomeni patologici (§8), nel-
r amplissima sfera dei quali ora appunto per incidenza entriamo,
dovrebbero ad ogni modo andare esclusi dal quadro magico, si
per la propria natura di essi, e si perchè la loro successione
mal coincide con quella delle fasi generali onde si costituisce
la serie genealogica delle lingue. Ma se dobbiamo rassegnarci
all'impossibilità del saper facilmente, che è del resto una dif-
ficoltà universale, e insieme ancora all'impossibilità di arrivar
sempre, nello stato attuale della cognizione, a un saper certo,
ifoi sentiremo tuttavolta ad ogni passo, pur movendo pe' sen-
tieri più scabri, come la scienza per ogni parte maturi; e là
dove non ha guari il pensator severo s'impauriva d'inestrica-
bili nodi, e la poesia delle combinazioni fantastiche avea libero
il corso, troveremo problemi risoluti, o posti almeno per modo,
che sia messo strettissimo assedio intorno all'ignoto.
Mirando principalmente all'India, gioverà qui scernere e se-
guire due diversi filoni etimologici, che, sulle generali, si pos-
sono brevemente così definire: quello in cui lo sk originario
uscisse ancora intatto dall'età indo-irana, e quello in cui fosse
mai semplice, ma sempre si abbia, in tale congiuntura : \j/^/i (Benfey,
1. e., § 12, 2). E finalmente, ritornando ancora a. Kh, è ormai quasi
superflua l' avvertenza, che data per un qualche esemplare la fase 'gJlh
da gk (cfr. la nota che precede), il prodotto di essa non avrebbe a
differire da quello del semplice gli (40, 4.).
* Cfr. Stucfj critici, II, 9 e seg.
§ 11. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO. 219
ridotto, come testé vedemmo, a sU [f^] indoirano. Alla com-
binazione proto-indiana con la gutturale, iniziale in complessi
verbali o radici e iniziale o mediana nel nome *, vediamo rivenire
non poche forme del sanscrito; ma come l'indo-irano sK [p^] sog-
giacque a vicende specificamente indiane, così accadde, in misura
non diversa, pur dello sk. Esso dura ancora intatto in skand
(10, 9.), ed in shu, che è tradotto per 'coprire', e quindi si com-
bina col latino ob-scù-.ru-s , coli' anglo-sassone skù-a^ ombra,
coir antico sassone sceo, cielo coperto, e simili, e si tocca con
l'indo-irano sHad [cìiad] che più addietro adducemmo (39, 1.) **.
Per sk interno, avemmo vraska- (40, 6.) Ma facile alterazione
indiana di sk doveva essere skh, di cui già vedemmo esempio
(§ 37); ed altra vena di alterazioni indiane s'ebbe per un ac-
comodamento che è l'inverso di quello che tra noi occorre p. e.
nel caso di lasco dall'antico lacso (laxus), ed è altrove da noi
considerato con la debita larghezza (v. sscr. ks = *ks). Quindi skh
e ks*** sanscriti per sk primitivo; entrambe le quali formole
* All' uscita del nucleo verbale, per quanto si può vedere (cfr. 40, 4. 5.,
e più innanzi in questo stesso §), è sempre gii indo-irano. Gli elenchi
de' radicali sanscriti, offerti dai grammatici indigeni, ben ci darebbero:
kisk, duskh, nisk, mask , vask , svask. Ma eccetto duskh, — che alla
sua volta è un esemplare illusorio, denominativo com' è di dutkhd
(dus-kha-, dolore; il contrario di sukha-, piacere), — son tutti radi-
cali non esemplati, e tutti privi eziandio dì ogni conferma eteroglossa.
I tre seguenti: mash {mask makk), vask (visk), svask {svask svask
svakk sukk), inventati probabilmente per dar la radice a qualche
forma nominale di oscura provenienza, direbbero ire, che è una specie
di traduzione universale dei radicali dubbj o immaginarj. Restano :
nisk, pesare, che si conjuga secondo decima classe, e proviene mani-
festamente dal nome niskd (v. Boethlingk-Roth, s. v.), e kisk {hisk
hikk), uccidere, che è di decima classe e quindi di apparenza deno-
minativa anch'esso.
** V, Vlntroduz. alla Morfol., s. vv.
*** Dietro a k, il sanscrito non tollera, nella stessa voce, altra
pronuncia sibilante dallo s infuori.
220 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO.
avrebbero per lor normale continuatore pracrito: -kkh-, kh-. Ora
al lume della comparazione si trova, che anche il solo kh san-
scrito continui l'originario sk. Intorno alla esatta istoria del
quale fenomeno, vedremo tantosto quel di problematico che possa
rimanere; e intanto facciam di rassodare le nostre equazioni per
qualche buon esempio, che anche ci ricondurrà all'Europa*.
1, Un originario skad (skand), coi signiflcàti di ^rumpere, dirumpere,
disjicere', è intatto nello zendo gkenda- ('skanda-), rottura, ro-
vina **, che ha il suo riflesso sanscrito in khandd- (cfr. § 43),
rottura, frammento, pezzo, parte; allato alle quali forme acqui-
sta valore anche il sscr. skhady che va tra le radici non peranco
esemplate, ed è tradotto anche per d&struer^^ scindere^ lacerare.
Ma lo skad originario si continua eziandio nel sanscrito lisad,
che dice: mettere in pezzi, trinciare, e quindi anche: mangiare,
e così, oltreché a hhad khàd-aja-ti (v. § 43), mandare in pezzi,
che non è peranco sicuramente esemplato, si rannoda a khdd
khdd-ati, masticare, mangiare, sempre di lingua sanscrita.
L' Irania ci porge alla sua volta, allato a ska[n]d, qualche
forma che accenna a skid *** ; e , ad ogni modo , legittima con-
tinuazione di un antico skid sarebbero le figure sanscrite sMzd,
khid, le cui significazioni fondamentali potremmo rendere per
'abbattere, strappare* ****. Questo antico skìdy che altro non
* Il Kuhn ha dedicato particolare attenzione ai fenomeni di cui trat-
tano questo paragrafo e il precedente, nel quinto de' suoi articoli sul-
r antico S, Zeitschrift s. e, III, 321-31, 426-40. Io non convengo con
esso circa la genesi flello Kh sanscrito e circa i fenomeni pracritici che
vi si connettono, come ho mostrato nella stessa sua Zeitschrift, XVI,
442 e segg. (cfr. pag. 223-4, in n., e Studj critici, II, s. ìih). Ma ciò
non toglie che io riconosca il molto merito del lavoro del Kuhn; e se
presumo dì averlo anche in altri punti oltrepassato, com'è facile a
chi viene dipoi, do prova insieme di averne appreso non poco.
** L'antico skand traluce ancora intiero pur dalle forme neo-per-
siane: s[i]kan, frangi!, allato a sfijkas'tan {^skad^tan), frangere.
*** V. la Fonol. ir., s. 'skid.
**** Cfr. BoEHTLiNGK-RoTH, II, 611-15, e la n. che qui susseguo.
Il significato di questo verbo sarebbe nel medio: sentirsi abbattuto; o
§ 41. ALTRE VICENDE DELLO s/i ORIGINARIO. 221
sarebbe se non skandskad con la vocale assottigliata (v. VJnd.),
rasenta lo sìiid {gUid, scindere), di cui già toccammo (39,2.);
ma sebbene sien tutte figure fontalmente identiche, vanno tutta-
volta ben separati, anche nella genesi loro, pur questi due verbi,
poiché risulta che simultaneamente vivessero, nel periodo indo-
irano, indipendenti l'una dall'altra, eia figura colla gutturale
(p. e. shand-) , e quella con la palatina (sRid; cfr. § 13, 10)*.
Similmente nell'Europa, 1 riflessi dello skand (shad skid) indo-
irano si toccano con quelli dell' indo-i rano shid. A skad skand
vanno cioè congiunti, nel greco, (t>cs5-o!,vvu-iji.i , dissipo, dispergo,
ma insieme pure il verbo mediale axiS-va-ixat, mi spargo, dalla
cui figura radicale affatto non si distinguerebbe il riflesso greco
dello sliid indo-irano (Rhid sscr., SCID lat., ecc.) se non v'in-
tervenisse l'aspirazione: 2XIA, cr/t'Cw (a/tS-jw, v. Vlnd.) , fetido,
. c/tS-ax- (ayjBxl), scheggia, — così come la vedemmo intervenire
in una delle propaggini indiane di skad (sscr. shhad ) **. Altra
il part. perf. pass, dice: abbattuto, stanco (rotto, cfr. il lat. fatisco).
Gli autori del lessico di Pietroburgo pongono ^oppresso' anziché ^ab-
battuto', e quindi, io credo, vennero all'idea di àa.v teoricamente per
valori fondamentali del nostro verbo: premere, comprimere (stossen,
drttcken; niederdrticken). Ma poi vengono i composti, per la cui tra-
duzione debbono usare il tedesco -reissen, strappare. — La figura con
la sibilante (skhid) ricorrerebbe nella taittirija-sàhitd (Veda, jagus
nero, v. Studj orient. e Un//., I, 79), e non è ortografia intorno alla
quale possano surgere di quei sospetti che vedemmo legittimi in or-
dine allo gkh del kdthaka (pag. 215, in n.), poiché skhid è singolo
esemplare, non vedendosi che la taittirija-sàhitd differisca dalla so-
lita figura rispetto a khjà (ava-khjat) o ad altri. - Notevole la forma
Ra-kJidd-a (ki-hhdd-a) che si adduce, allato a ki-khaid-a, come perf.
di hhid.-
* Il Kuhn, 1. e, p. 427, non potè venire a simili discernimenti tra
khid e khid. Le due vene si distinguono anche ne' significati: skad-,
skid-, rompere, abbattere, disperdere; sìiid-, fendere. Per me è so-
pratutto norma sicura: che la palatina, in generale, ò sempre comune
a sanscrito ed a zendo, è sempre, vale a dire, pre-indiana.
** Si aggiungerà ad un tempo l'aspirazione greca, sì nel riflesso
di skad- e sì in quello di sak- ska- (39,3.), cioè della più semplice
222 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sh ORIGINARIO.
coincidenza di aspirazione, fra indiano e greco, avremo nello sk
interno. La vece zenda che vedevamo in gra-gR gra-gka- {-gJi nel
verbo, gh nel nome; 41, 6.) trova cioè il suo analogo anche nella
vece sanscrita che intercede fra il verbo mùr-Rh mùr~Rha-ti
(*mur-ska-ti), irrigidire, rimanere sbalordito, ecc., ed il nome
mùr-khd' ('mur-ska-), balordo; nel quale esempio si tratta ve-
ramente ancora dello ska ascitizio di cui già parlammo (39, 4. 5.),
il quale perciò a buon dritto manca nel partic. perf. pass, mùr-td-.
Ora, appunto questo sk ascitizio potrà aspirare pur nella Gre-
cia la sua gutturale, e perdere insieme la sibilante (v. y^^ sk) ',
di guisa che ipy-otxxi (per erskhomai) , vado, vengo, risponda a
capello al sscr. ar-Rha-ti ( *ar-ska-ti ) , aggreditur, che già in-
contrammo (39, 4.). Allegheremo finalmente un altro lucido
esempio di sk iniziale, continuato per kh sanscrito, e sarà khang
khdng-ati (*skag *skang), zoppicare, al quale si raccosta, ol-
treché l'antico islandese skakk-r, zoppicante, il greco ffxdci^to,
zoppico, per 'skag-jo ( v. K,^gj)-, solo mancando la riprova di
forme greche in cui si rimanifesti \\ g *.
La figura sanscrita shh { = sk) ricorrendo adunque tuttora ed
essendo confortata d'ogni analogia (§ 37), potrebbe parere che
il sscr. kh, in quanto occorra nella medesima funzione etimo-
logica, abbia a dichiararsi da skh per semplice dileguo del s,
figura di questa famiglia di verbi per 'fendere, rompere', se qui ve-
ramente spettano <rx_à(J(o ('a/jx'ò-^oì) e (j^'^m. Mala serie dei significati
che ci è offerta da questi verbi greci (fendere, aprir pungendo, aprire'
slogare ecc., lasciar andare, calare, trattenere; cfr. yót-^o) e -/aivoj),
basterebbe essa sola a renderci alquanto esitanti. Vedine ancora V Ind.
* Manca .cioè, a cagion d'esempio, un fut. ax.iloì (skak-só)', ma
d'altra parte non contrasta il futuro axà^w, che si trova ne' lessici
e accennerebbe a 'skady poiché è voce che in realtà non occorre. —
Il parallelo nordico skakk-r skak-r, addotto dal Fick, rasenta vera-
mente lo skak-ttf islandese e svezzese, quassare; ma ugualmente si
tocca lo khang sanscrito, claudicare, col sanscrito khag, commovere,
agitare;- e si aggiungerebbe il riflesso, altrettanto normale, della
forma priva di s, nel ted. hanc- hink-en, zoppicare, v. p. 03 e Dilegui
(Kuhn; il quale però si confonde circa il ragguaglio del suono ini-
zialo di hanc', che risulterebbe esatto, cioè: h^'k).
§ 41. ALTRE VICENDR DELLO sk ORIGINARIO. 223
tanto più che vediamo trattarsi di combinazione iniziale, o di
combinazione interna in cui il s riesce tra consonanti, che son
due posture in cui la perdita di s è tutt' altro che insolita
(v. Dilegui). Tuttavolta, quando si consideri, da un lato, sulle
generali , che il sistema fonetico del sanscrito è affetto, per non
poca parte, di pracritismo, e dall'altro, che nel caso particolare
delle combinazioni originarie della formola5 + ^ (s susseguito da
esplosiva) abbiamo nel sanscrito il costante fenomeno pracritico
dello Uh da 5^, ed altri eserapj in cui il processo pracritico è
affatto manifesto (cosi guphità- = guspità-, p. 211), è giocoforza
riconoscere, che la dichiarazione più semplice non è in questo
incontro la meglio conforme a verità, e che, almeno per un certo
numero di esemplari, si dovrà ammettere, anche pel sanscrito,
quella elaborazione di sk o skh che nel pracrito è affatto nor-
male; quindi kh sscr. cosi per sk come per skh anteriore, e
intesa l'evoluzione al modo che più addietro descrivemmo (40,
2. 3. 4,); al che ancora si aggiungerebbe kh sscr. per uno ks
anteriore (che può essere, come vedemmo, sk originario), fenomeno
anch' esso regolare nel pracrito *. Un'obiezione generale parrebbe
* Una prova indiretta, ma assai efl3cace, per la genesi pracritica
del sscr. kh o del sscr. ph rimpetto a. sk o sp originario (cfr. § 58),
si ha ancora in ciò, che non esista th iniziale sanscrito , vale a dir
che non si possa discorrere di simil processo per st iniz. originario.
Questa induzione si fonda sopra un fatto, che per sé stesso ha molta
importanza in ordine a tutti i fenomeni de' quali trattiamo, ed è
(cfr. Lez. XIV): che quando nel sanscrito si incontri, fra parola e
parola, la combinazione etimologica s + ^ o s+p, il s si debba ridurre
a visarga (' + /£, .°+p; che è quanto dire h + k, h+p), cosi ottenendosi
il primo stadio dell' alterazione pracritica di ogni combinazione della
formola s + -; dove, all'incontro, se si formi tra parola e parola la
combinazione etimologica s + t, essa rimane intatta; quindi p. e. indrat
krnauti, Indra fa, indrat pibati, Indra beve, ma indras targati, Indra
minaccia. Ed è legittimo che la piìi resistente delle antiche formolo
sia quella in cui s si combina con la esplosiva ad esso omogenea. —
Non mi è sempre ben chiaro, se il Kuhn, nel luogo di sopra citato,
stia pel semplice dileguo di s, o stia pel processo pracritico. Ad ogni
224 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO.
insorgere, per vero, contro ogni dichiarazione di kh sanscrito
per genesi pracritica; ed è il non vedersi mai il raddoppiamento
che per simiglianti prodotti pracritici, e quindi anche per la pa-
latina sanscrita kh, vedevamo normale. Senonchè, è bensì fatto
singolare, ma pure incontrovertibile, che il sanscrito, quando
si prescinda dalla palatina Kh, supera di gran lunga il pracrito
nel ridurre alla semplice esplosiva aspirata i prodotti alterativi
dei quali si ragiona (v. p. e. i §§ 43, 44). Resterebbe dunque di
scernere i casi sanscriti nei quali si abbia a riconoscere la evo-
luzione pracritica, e di determinare, per ciascun caso, quale dei
tre modi di essa vi sia intervenuto. Ma qui l'indagine trova
ancora, per molta parte, le sue colonne d'Ercole (cfr. § 58),
modo, cade qui iu acconcio di avvertire, che il processo pracritico
si aveva a dichiarare, secondo la sua sentenza (nella quale non so se
ancora mantengasi) per ciò: che nel pracrito ogni tenue dietro a s
finisse per aspirarsi, ed il s, alla sua volta, esercitata questa funzione
di aspiratore, vi passasse in h, e si assimilasse alla esplosiva sus-
seguente per guisa di renderla doppia. Egli quindi voleva, a cagion
d'esempio, questa serie: st sth hth -ttJi; e pel caso dello Rh, la serie
sR sJih hRh -RRh. Ma si deve pur dire, che l'ipotesi kuhniana si
fondava sopra ipotesi ripugnanti. Poiché, a tacer d'altro, ripugna
l'ammettere aspirata ogni esplosiva per effetto del 5 che le precede
tanto più che vediamo, da un lato, rimaner pura la esplosiva in
que' dialetti pracritici in cui la sibilante si regge (quindi p. e. nel
Qàkàrico : hagta- « sscr. hasta-, mano, pa-nagta- = sscr. pra-nasta-,
perduto, sparito; e nel màgadhico secondo Haimak'andra : vnhaspadi-
= sscr. vrhaspati-, il pianeta Giove; ecc.), e, dall'altro, mancare ogn|
addentellato, fra sanscrito e pracrito, per la supposta aspirazione nel
caso di combinazione ottenuta fra radice e suffisso (as-ti drs-ti ecc. ;
il doppio suffisso -is-tha-, di cui è parlato ai §§ 43 e 49, non offrirebbe
analogia sufficiente); ed ò ancora affatto arbitraria l'immaginata as-
similazione di ht ecc. in tt ecc. All'incontro, l' invertimento da noi inse-
gnato, e la ragione che del raddoppiamento noi diamo, hanno positiva
conferma nei fenomeni a cui sottostanno, e nel pracrito e nel sanscrito,
le analoghe combinazioni che furono di sopra rassegnate (41, 1. 5. e
sogg.), e affatto escludono, come ognun vede, la via tentata dal Kuhn.
§ 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIOINARIO. 225
e non dà che risultanze affatto parziali. Cosi per khid (41, 1.)
l'ipotesi del mero sk in kh resterebbe eliminata dall' aversi la
serie skhad skhid khid; e la stretta corrispondenza dei signi-
ficati suggerirebbe di rappiccare khàd a ksad (41, 1.), e quindi
di vedervi kh pracritico da ks. La voce zenda non può darci
alcun lume circa le evoluzioni indiane dello sk indo-irano; e
solo ci giova a sottrarre qualche kh sanscrito ad ogni sospetto
di genesi pracritica. Cosi è dello kh di sàkhì-, amico, sakh-jà-,
amicizia (cfr. il lat. soc-iu-s), che il Fick vorrebbe ingegnosa-
mente ricondurre a saski- saskja-, vedendovi quella forma ra-
dicale che altrove si determina in sagk sanscrito (16,5., 17, 6.),
Seguire. Ma la risposta zenda, che è hakhi ( = *sakhi), esclude
questa dichiarazione, poiché non si può ammettere kh zendo per
sk originario, e siamo veramente ad uno sakhi- indo-irano, il
quale è probabile che rivenga al semplice '^sak (onde il verbo
indo-irano sak seguire), con uno sviluppo indo-irano di aspi-
razione nella formola - + ^ + ^ (esplosiva tra vocali), che ha in-
tanto le sue esatte analogie negli indo-irani ratha- gapha-, già
in un precedente incontro da noi allegati (p. 147).
Un' altra dubitazione, ma del tutto vana, ora ci condurrà a
quella serie di continuatori svariati dello sk originario, la quale
ha per base lo sk [gh] indo-irano. Vedemmo che il sanscrito
possa continuare per ks uno sk originario. Ora, siccome avviene
che lo ks sanscrito si riduca alla sua volta, per un certo numero
d'esempj, a Jih (anziché a kh) pracrito, la quale alterazione
pracritica si vede anzi alcuna volta per entro al sanscrito stesso,
cosi potè surgere il dubbio che la palatina tenue aspirata del
sanscrito rimonti di regola allo sk originario per l'intermedio
di ks; il qual dubbio parrebbe sgominare tutta quanta l'istoria
che dello kh sanscrito noi facemmo. Ma non si regge; perché,
dall' un canto, l'alterazione di ks in Rh è infrequente pur nel
pracrito*, e quindi, senz'altro, ben ripugnerebbe di ammettere.
* ìih pracr. per ks sscr., è p. e. in riHha-^ sscr. rksci-, orso (indost.
rlkh, sindio rikhu-y raaratt. rìsa); e Uh di sscr. seriore allato a ks
Ascoli Fonol. indo-U.-gr. 15
226 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORieiNARIO.
pe'più antichi periodi della favella sanscrita, non solo il con-
tinuo invertirsi di sk in ks, ma insieme il continuo stiacciarsi
di questo, al modo che avviene per solo un limitato numero di
esemplari neir ultima degenerazion fonetica di età seriori; e
"dall'altro canto noi troviamo, tacendo della presenza e degli
avanzi di gli nello stesso sanscrito, che in tutti quanti" gli esem-
plari a cui la comparazione si può estendere, Tlrania attesti la
fase dello sK [ffe] là dove l'India ha un antico ^h; locchè, se si
badi all'esatto concordar che fanno il sanscrito e lo zendo nei
limiti entro a cui si compie il fenomeno di ^ da ^ (§ 15), è so-
vrano argomento per conchiudere che qui si tratti di uno sU [qK\
che risalga al periodo indo-irano, e per escludere quindi il so-
spetto di un processo indiano che dia la formola sk ks kh. La
fase dello sK [gK] già a suo luogo vedemmo intatta allato allo
Uh del sanscrito (40,6.); ed ora giova che impariamo a cono-
scere una semplificazione zenda di questo gk, anche perchè sia
pienamente provato che la voce irana di continuo affermi uno
sH [gii] per lo M dell'indiano antico.
2. Lo gli indo-irano che vedemmo ancora avvicendarsi con gk in
grag^ gragka- (40,6.)*, di regola si riduce, per assorbimento
della esplosiva palatina, a solo g zendo, in quell'elemento asci-
tizio la cui figura originale vedemmo essere -ska { 39, 4. 5.). Quindi
avremo: z.gaga-i-ti ( v. p. 109, in n.), it, venit, = sscr. gaMha-ti',-
z. perega-i-tè, ìnterrogat, ° sscr. prRìlha-tai; - z. iga-i-ti, optat,
= sscr. ikhha-ti;- z. -uga-i-ti, lucet, « sscr. uliUha-ti. Un esem-.
pio per lo stesso assorbimento in gruppo iniziale, ci è offerto
dal neo-persiano sàjah ( gàja ), umbra, = sscr. Khdjà ( 39, 1.) **. È
sscr., è in khurikd = ksurikd, coltello. V. Jihuri nel sec. voi. degli
Studj crit., e ib. la n. 4 al sec. Saggio indiano.
* La presenza di -ska nel nome, allato a -slia nel verbo, che piti
non ò attestata dall'India, per quanto io posso vedere, se non da
-vraska vragR (40, 6.) e mùrkha mùrlih (41, 1.), risulterebbe, in
proporzione, assai men rara nello zendo; v. il voi. ultimam. citato,
s. aragka- e peregka-.
** Che si tratti di palatina assorbita ( quindi della serie sk sk [gkjg).
§ 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO. 227
fenomeno assai poco da questo diverso, il ridursi tra noi le an-
tiche sillabe ske ski, pel grado intermedio di sce sei, a se si del-
l'odierna favella italiana.
Il sanscrito alla sua volta ci ha ormai mostrato lo gk indo-irano
in due diverse figure: la intatta, che è rara (40, 6.; cfr. 41, 4.),
e Uh (§39). Ma allo gU intatto, cioè ad età anteriore a quella
in cui esso andò travolto nella alterazione specificamente in-
diana, risalgono alcune semplificazioni sanscrite di cui per ul-
timo ora parliamo. La prima di esse appien s'incontra con la
semplificazione irana che testé vedemmo.
3. Alludiamo in primo luogo a prag-nd-, domanda, questione,, allato
a praJih {prJUihd-ti pa-prdJlRha) , domandare, al qual nome
sanscrito risponde a capello l'equivalente zendo fras-na- (fr
z. ^ pr sscr., sn z. = gn sscr., e cfr. z. frag-a-, domanda). Ma
la figura prag (^prafih; civ. pereg-a-i-ti zendo, 41, 2.), oltrechò
ritornare nel nome sscr. pràg, chiedente, che fanno avvicendare
con prdRh (p. e. nello stromentale: prdhh-d e prdg-d), ci sarà
e non di elisione della gutturale intatta, è per sé manifesto, e rm-
tiero complesso delle corrispondenze indiane viene alla sua volta a
raffermarlo ( v. ancora 41, 3.). Si aggiungono altre conferme da idiomi
neo-irani, come intanto si vede dal Saggio indiano che è citato nelle
note precedenti. L'armonia indo-irana potrebbe a prima vista sem-
brar turbata dal verbo che appare presso il Justi nella forma di skd
e risponde allo Jihd, tagliare, del sanscrito (39,3.), e da un altro
riscontro al quale tantosto arriviamo. Ma già lo s in entrambi i casi
ci direbbe, non trattarsi di forma irana che affermi la fase dello .<;^
(cfr. 40,6.; 41,1.); e del citato verbo altra voce veramente non oc-
corre, tranne vl-skjdtd, dove abbiamo il gruppo skj, che è una com-
binazione ortografica, od ortoepica, la quale deve stare per gUj an-
teriore, e legittimamente si alterna con sj o s. Per lo stesso vl-skjdtd
si hanno le varianti vlgjdtd vlsjdtd visjdtd. Così per lo sJiju (gJìju)
indo-irano, che stiamo per toccare nel testo, avremo dall' un canto le
forme paleo-irane su (zendo) siju (perso), e dall'altro il derivato zendo
skjao-thna. Di piìi vediamo nella Fonol. irana, s. skj ski. Cfr. Justi,
o. e, p. 309-10; Spiegel, Gramm. d. altbaktr. spr., p. 35.
228 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO.
ancora attestata, nella stessa conjugazione sanscrita, dalle com-
binazioni con tenue dentale, nelle quali lo f = 'sk (gR, ìlh) si
tratterà naturalmente come se fosse il solito g indo-irano (= *fc),
ned è altrimenti nello zendo; quindi le forme sanscrite: jsrs-td-
(zendo: pars-ta-), chiesto, pras-tar-, chieditore, prds-tum, do-
mandare (cfr. pag. 40 e § 48). Ora, la figura sanscrita prag-
prg- risale manifestamente a 'pragR- (onde pr alili) , come Sj
riproverebbe anche per entro al sanscrito stesso, dandosi vras-
-tar- vras-tum per correlativi ài pras-tar- pras-tum, dal verbo
vragìi , che già citammo per gR rimasto incolume nell' India
(40,6.)*. Un'altra e assai poco diversa semplificazione san-
scrita di sR [gR], la quale non si può peranco dire dimostrata,
ma è grandemente probabile (cfr. Lez. XIV), sarebbe lo s di
la-s Id-sja-ti (Id-sa-ti), aver bramosia, e bhd-s bhà-sa-tai, dis-
correre; col primo de' quali s'incontra il latino lascivo-, e col
secondo il greco ^dc-axto ( e-cpa-axo-v ) , dico **.
* Cfr. Panini, 8, 2, 36 (ed. Boehtlingk, p. 607). Ma. vragitvd sta.
solo per isvista presso il Westergaard (s. vragR), in luogo di ura-
gJiitvd. Circa vfk-na-, cfr. la n. a pag. 105; e intorno a k-s da Rh + s
V. la Lez. XIV.- Parallelo all'usitato prog-nd- {praRh), citano
ancora vig-na- {viRh), splendore. - Lo Schleichbr, Compendiuni^
sec. ed., p. 169 (§ 123), mal risaliva T^ev prag~nd- ad un anteriore
'prak-na-; ned era bene inspirato nel reputare inorganico il s di prask
(onde praRh). Lo turbava il lat. prec-or, e qualche altro parallelo
europeo che va con esso. Ma si ha il doppio tipo pra-ska pra-ka,
intorno al quale si vegga per ora la sec. nota al § 40, 6. Nò il lituano
prasz-atc, richiedo, fa prova per un indo-irano prag = 'prak , poiché
lo sz lituano può essere il continuatore di uno sk (oltre che di uno ks),
anteriore. E ancora si confronti la nota che segue.
** Si potrebbe immaginare la serie fonetica -sk '-ks-s; ma questa
avrebbe contro di sé il non vedersi alcun documento per la fase di
-sk indo-irano nel verbo. La stessa difficoltà si opporrebbe all'infelice
ipotesi dell' Ebel, Zeitschrift s. e, XIV, 247: 'prask praks-tum pras-
-tum, contro la quale protestano inoltre: prag-na- prdg-d vig-na-
(V. la nota che precede) e le analoghe forme dello zendo. - Allato
a las e a hhds può facilmente venir la tentazione di porre anche is,
§ 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO. 229
Rimane ancora il caso di semplificazione per dileguo del primo
elemento di 5^ [^Jl] iniziale. E, in generale, come già conosciamo,
fenomeno tutt' altro che raro, nelle nostre lingue, questo sfron-
darsi della formula s + ^- {s susseguito da esplosiva in principio
di parola); ma possono risalire ad età rimotissime anche le fi-
gure spoglie del s, e del resto il vanto dell'antichità maggiore
non è poi sempre incontestato alla varietà che ne è provveduta.
Ne riparliamo a suo luogo, e intanto ora cerchiamo qualche
lucido esempio per K- sanscrito a cui stia oppure stesse allato
sk- [gh-] indo-irano:
4. Spetta il primo posto alla serie sanscrita: hju hjdv-a-tai, muo-
versi, dipartirsi, uscire, cadere a gocciole, cadere, Rjdu-tnd-,
mossa, impresa, fatica, gRjut gRut Jijut gUjdu-t-a-ti ecc., cadere
a gocciole, stillare, -gJijùt -gMt, stillante {rgv., Ili, 21, 3. 4:
staukà ghrta-gìiùta: , goccio stillanti-grasso; tùbhjà gliautanti
staukàsa:, a te stillano goccio); con la quale va paragonata la
serie zenda: su sav-a-tè^ muovere (perso: a-s[i]jav-a-m, io mo-
veva, andava), sug -su-ga-i-ti (neìVOld zand-pahlavi glossary:
sao-stt'i-ti), andare, dipartirsi, skjao-thna- (s. Rjdu-tnd-), azione,
opera *. Lo sk- originario sarebbe ancora intatto nelle risposte
europee: skev-jan got., far cammino, sky-t-ati paleo-bulg., andar
attorno, vagare **; e qui trattasi manifestamente di uno gli in-
do-irano che vien perdendo la sua sibilante nel sanscrito (cfr.
madhu-gRùt nel sscr. ved., e madhu-Kjut- nel class., che stilla
che si alterna nella conjugazione con ìRh {ìRRha-ti), desiderare, si che
entrambe le figure si riducano in etimologia ad una sola. Senonchè,
si ha pur nello zendo la doppia figura is ed ig {ig >= sscr. mh), e si
aggiunge il parallelo indo-irano: s. us e z. us (da vas) allato a s. uRh
e z. ug, splendere. Di piti nella Introduz. alla morfoL, s. vv.
* Circa l'esatta ragion fonetica della serie zenda, si vegga la nota
a pag. 227. Citano anche un sscr. JlJiju Jihjdv-a-tai, andare, non però
esemplato, che avrebbe ad essere pari a ìiju Rjav-a-tai\ in quello si
avrebbe gR con la normale elaborazione pracritica, in questo T afe-
resi di g.
** Cfr. PoTT, Warzel-icorterbuch, I, 694.
230 § 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINARIO.
mele). In secondo luogo si può addurre lo ghand sanscrito
che appare nello gJiand-ra-, splendido, di alcuni composti , come
àgva-gliandra- (vedico), per cavalli splendido, puru-gkandrd-
(ved.), molto-splendente, e nel participio dell'intensivo: Kani-
-gHad-at' (ved.), risplendente, allato allo Hand, pure sanscrito,
di liand-rd-, rilucente, biondo, luna, Luno, dove il latino ri-
sponderebbe per eand-eo (12,2.), e il greco sembra risalire a
'skand (v. ^av^o-;) *. Avremmo finalmente il seguente gruppo
di vocaboli, che debbon rivenire a variazioni di una stessa
radice: sscr. Mrman-, pelle (ma qui pur l'equivalente zendo
Rar[e]man- risponde col semplice H ) , lat. cor-iu-^m scor-tu-m,
gr. -/op-io-v (*<7xop- *<7Xop-> cfr. 41, 1.), membrana (peritoneo),
secondina, slavo shova, cortex, pellis, corium **.
* Cfp. Benfey, Zeitschrift s. e, VII, 126, Orient u. occid., Il, 754,
Sdma-veda gloss., pp. 126, 305, dove anche sì citano esempj di gkandra
isolato, i quali però non mi vogliono sembrare conclusivi. Di gRandra
in principio di composto sarebbe troppo scarso indizio lo HavSpà[A>](; da
noi citato a pag. 202 in n. Non sapremmo poi dirci persuasi dello
'gJiar a cui lo stesso autore vorrebbe ricondurre il sscr. ìiar, muo-
versi, versare intorno a qualche cosa, fidandosi dell'oscura voce sscr.
dgharja^, raro, mirabile, e di assai dubbj riflessi europei (ffxxt'pw ecc.,
-cfr. pag. 87), comechè il Bollensen prometta di venirgli in ajuto con
qualche esempio di gkar ch'egli presume di ripristinare per /tar nel
testo vedico (Orient u. occid., II, 473 n., e Giornale della società orien-
tale germanica, XXII, 583). E di certo il Benfey passa un po' il segno
quando afferma che gR si riduca con molta frequenza a h sscr. (sehr
liaufig, Zeitschrift s. e, VITI, 81); nò si può bene intendere la fiducia
con la quale il chiaro uomo assevera, non aversi e lat. rimpetto a /;,
sscr. se non dove questo sia per 'gR, sentenza, del resto, che anch' egli
vuol sicuramente limitata a e iniziale (Zeitschr. s. e, VII, 59, cfr.
Or. u. occ, II, 754). Comunque, riraan sempre, come già a suo luogo
fu per noi indicato, che gli esempj sicuri , in cui schiettamente si ab-
bia: k origin. «= R indo-irano ■= e lat. « x gr., sono rari assai (cfr. § 12»
e pp. 84, 86, 87).
** Qui siamo veramente a kar skar, tagliare, scorticare, v. § 10, 3,
e Vlntrod. alla morfei., s. vv. Il paleo-bulgar. ha anche kora (cor-
§ 41. ALTRE VICENDE DELLO sk ORIGINAIIIO. 231
E COSÌ si chiuda per ora la nostra indagine intorno alle vi-
cende dello sk originario, le risultanze della quale non sarà
forse inutile di vedere riassunte nel quadro che segue.
sk originario.
sk indo-irano.
Z.fM0,6;41,l. s.sk,i0,6; 41 ;skh,
41,l;A«,ib.;A^,ib.
sii indo-irano.
z.gJl-,-QÌl,40,6; s. -gli, gK-, 40, 6;
-i?,41,2. 41,4;;?;ì,39;4()
inf.;-p,42,3;[-/,
ib.]; ^-, 41,4.
germ. sk, 39.
I Ut. sA, S3r, 39; 41,3 in n. j
g. ax, 39; 41,1; lat. se, 39.
ai, 41, 1; ital. sco, *sce ié, 41,2.
y,, 41, 1,4. venez. *sge gè.
rumeno ste *.
tex) allato a skora; né da queste voci slave, che accennano ad a
radio, origin., sarà da dividere il lituano skur-à, pelle ( Curtius, p. e.,
sec. ed., p. 154: sku-r-à, p. 446: skur-à). Il lat. scor-tu-m è felice-
mente aggiunto dal Curtius ai termini che il Kuhn ha raccostato
nella Zeitschr. s. e, IV, 14. Cfr. Pott,' Wurzel-wórterb., IIj 152-3.
* È normale: ste sti runi. per sce sci lat.; quindi p. e. i rum. stiu,
scio, kresti hreaste, crescis crescit (cresci cresce), muske muste, mnsca.
muscae, ecc. Si tratterà verara,ente, per limitarci alla combinazione
coir e, di ske, 'skje, ste; la qual ultima alterazione sì dovrà ascrivere
a influsso slavo, come ben vide il Diez, Gramm. d. roman. sprach.,
8. -SC-, poiché il' prodotto slavo di skj è st (cfr. Schleicher, Formen-
lehre des kirchenslavischen, p. 154, Miklosich, Vergleichende gramma-
tik der slavisch. sprach., I, 188, 202); e sarà fenomeno da aggiungere
a quelli che ha raccolto il Miklosich, Z)ie slavischen elementeiM rumu-
nischen, p. 11 e seg. La sentenza del Diez è probabilmente sfuggita
anche allo Schuchardt, il quale ha avventurato una sua ipotesi circa
il fenomeno di cui tócchianao (Vòkalisnius des vulgàrlateins^ 1\.165),
232 § 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE.
§ 42. L'alfabeto sanscrito facendo succedere all'ordine delle pala-
tine quello delle consonanti linguali, ora ci porta ad una se-
zione del nostro studio, nella quale più ancora ci sarà d'uopo
discorrere di fenomeni peculiari all'India che non ci accadesse
nell'indagine testé compiuta intorno alla tenue aspirata del-
l'ordine palatino. Ma pur qui trattasi , dall' un canto, di vicende
a cui vanno incontro elementi ariani, e però di vicende che im-
portano, oltreché all'istoria dell'individuo sanscrito, anche alle
ragioni comparative di tutta intiera la famiglia, e trattasi, dal-
l'altro, ditali fenomeni, la considerazione de' quali ha un'uti-
lità che oltrepassa in più. direzioni i ristretti confini del capitolo
a cui arriviamo. Laonde non vorremo schivare pur la scarsa
fatica di qualche rapido cenno etnografico intorno all' India, che
torna indispensabile alla lucida intelligenza del nostro discorso.
La letteratura, l' istoria e V etnologia ci mostrano la gente, e
quindi la favella ariana, diffondersi per la penisola gangetica
nella direzione da aquilone ad austro; e come dell'inoltrarsi de-
gli antichi EUeni nella direzione da oriente ad occaso è per
avventura l'indizio più chiaro l'aver questi collocato all'estremo
loro occidente l' ultimo confine del mondo dei vivi , cosi la pau^
rosa regione che i morti frequentano * è per gli Ariani del-
l'India la plaga australe, e ad austro è il loro Acheronte e la
reggia del loro Plutone **. Essi imbattevansi in popolazioni abo-
rigene, cui probabilmente trovavano tanto più spesse quanto
più s'inoltravano verso mezzodì; e se riuscirono, nel corso de'
secoli, a spargere la propria civiltà e la propria favella per
tutta quanta la immensa penisola, la sovrapposizione loro non
è però di gran lunga bastata ad eclissare in ogni parte gli strati
* ... paraitdHaritdm hhlma digam {ràmàjana, ed. Sohleg., II,
LXIIl, 14).
** V. Studj orient. e linguist., I, 197-9. Pei Dravidi (dràvida-),
cioè per gli aborigeni dell'India australe, il mezzodì sarebbe stato
all'incontro la regione della libertà, della salvezza, della pace; v.
Caldwell, a comparative grammar of the dravidian or south-indian
family of languages^ London, 1856, pag. 72 in n.
§ 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE. 233
anteriori. La famiglia degl' idiomi sanscritici dell'India cuopre
bensi l'intera sezione boreale, che è l'Indostan, e si protende
eziandio nella australe, che è il Dekhan, cosi a levante come
ad occaso; ma nella maggior parte di questa hanno tuttora
incontrastato predominio quelle favelle aborigene onde si com-
pone la famiglia che addomandano dràvidica, e son precipua-
mente: il tamil, il telugu, il cannada (canarese), ed il mala-
jdlam *. Ed anche rimontando verso il nord, rinveniamo in
contiguità del territorio che tuttora è dravidico, e sparse in
ispecie qua e colà pure per entro al territorio sanscritico, altre
genti o tribù di razza e di favella non-ariana, le quali non fu-
rono ancora a sufficienza esplorate, perchè si possa fermamente
dire se affinità intercedano, o quali, tra di esse ed i Dravidi.
Ora, nelle lingue dravidiche, che sono le più diffuse ed in-
sieme le meglio note fra le favelle non-ariane dell'India, ricor-
rono con molta frequenza le esplosive linguali: t, d, e la nasale
corrispondente: n, alla fisiologia delle quali arriva fra poco il
nostro discorso. Il sanscrito, alla sua volta, ci offre non di rado
i medesimi suoni, e pur le esplosive aspirate: ih e dh, in voci
od in elementi che son di patrimonio ariano; e il dominio di que-
ste consonanti, considerata sempre la loro presenza in voci od
elementi di ariana favella, si viene notevolmente accrescendo
negli idiomi sanscritici dell'India seriore e della moderna. Lo
zendo, all'incontro, il greco, il latino, il celtico, il gotico e il
litu-slavo, a queste linguali dell'India sanscritica rispondono
costantemente per mere dentali; né mostrano, ne' loro sistemi
fonetici 0 ne' loro alfabeti, una distinta serie di suoni che fac-
cia riscontro alle esplosive ed alla nasale dell' ordine linguale
dell'India**, Quindi la conclusione, ormai antica, che queste
* Cfr. Caldwell, o. c, p. 4 e segg. Strano che anche quest'au-
tore, ib. 29, metta il Colebrooke fra coloro che volevan derivate le
lingue dravidiche dal sanscrito. V. Studj oricnt. e linguist., I, 264.
** Circa le linguali nell'alano, v. intanto Trumpp, nel Giornale
della società orientale germanica, XXI, 26 e segg. ; e intorno all'ele-
mento linguale nel belucio: Lassen, nel Giornale per la conoscenza del-
l'oriente, IV, 423, 425, e i Beitràge s. e, III, 228.
234 § 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE.
linguali (o cerebrali, come erroneamente si sono pure chia-
mate*), si abbiano nel sanscrito per influsso degl'idiomi abo-
rigeni a cui esso è venuto a sovrapporsi; la quale sentenza
ora però apparirebbe, da ulteriori studj, per più di un verso
minacciata. Senonchè, pur confessando che ci muoviamo su
d' un terreno ancora difficile, noi stimiamo che le dubbiezze si
avranno in fine a dileguare, sì che pure in questa parte, comò
spesso avviene, la prima intuizione del sapere si mantenga verace.
Contro la sentenza che noi difendiamo, pare imprima che
surga una difficoltà di ordine etnografico. Poiché, attribuendo
le linguali sanscrite alla reazione del substrato aborigeno, si
suppone che agli idiomi eclissati dalla favella ariana fosser co-
muni le linguali dei Dravidi; e questo è, si può obiettare, tal
supposto, che peranco non va confortato da indizj abbastanza
sicuri, stante l'oscurità in cui tuttora si ravvolgono le genti e
le favelle non ariane dell' India boreale e centrale **. Ma, dall' un
canto, nessun etnografo vorrà pur certo negare che le favelle
dravidiche debbano un giorno avere occupato ben più ampio
territorio che oggi non facciano; e dall'altro (né questo é tutto),
l'alterazione della parola ariana nell'India apparisce prodotta,
per più altri capi, da tali predisposizioni etnologiche, le quali
anch'esse ci fanno arguire che fosse dravidica la favella a lei
soggiaciuta, o alla dravidica affine ***. Del rimanente, questa
* Il termine sanscrito: mùrdhanja (da mùrdhan, testa) direbbe : testa-
le. V. ora intorno ad esso: Whitney, Tdittirija-Pràtig., ad II, 37.
** La recente opera dell' Hunter: A comparative dictionary ofthe
[non-aryan] languages of India and High Asia (London, 1868), della
quale non vuoisi negare il pregio, non basta tuttavolta dì gran lunga
a diradare sufficientemente questa tenebra.
*** Sì consulti Vindice sotto Pracrito e Dravidiche [lingue']^ e qui
intanto ci sia concesso d'interrogare la favella dravidica intorno a
due difficili particolari, l'uno di grammatica, l'altro di lessico san-
scrito. - Incominciamo dal grammaticale. Piìi addietro vedemmo
(pp. 40 e 100 in n.), che s, e di solito anche g, e pur lo g Cz) del
tipo marg mrs-td, abbiano per loro sostituto, in determinate posture:
§ 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE. 235
obiezione etnografica non si vede sostenuta pur quel tanto che
t o d. Si aggiunge il fenomeno di linguale per h, come in puspa-lih-,
ape [lecca-fìori], che darebbe al nominativo: puspa-lit (-liei; del tipo
in cui parrebbe aversi insieme una metatesi d'aspirazione, p. e. -dhrut
o -dhrud nomin. di -druh-, infesto, come se si trattasse di 'druzh,
V. Vlnd. s. V. e s. zh), fenomeno al quale già alludemmo (p. 176)
come ad una vicenda che concorre a provarci, per una fase ante-
riore, quella pronuncia di h che noi rappresentiamo per z. Abbiamo,
vale a dire, la sostituzione di esplosiva linguale per le quattro fri-
cative affini: ff s z z. Ora, come si dichiarerà questa sostituzione?
Non c'è manifestamente alcuna ragione etimologica per questa lin-
guale che venga a far le veci di k (g), g (z), gh (h) originario o s
ìndo-irano; e col dire che a s si sostituisca la corrispondente esplo-
siva, e g z z si pieghino alla analogia di /, ben si descrive il fe-
nomeno, ma non se ne dà punto ragione. La qual ragione, che non
vedo pur cercata da alcuno, si potrà all' incontro avere nel modo in
cui il tamilo risponde allo s del sanscrito. Il tamilo, lingua dravidica
siccom'è, va pressoché sprovveduto di sibilanti; e nelle parole che
questo precipuo membro della famiglia australe piglia a prestanza
dal sanscrito, s suole ridursi a d (fricativa dentale sonora), e s a. d
o -tt-. Così : tam. kimburuda- «= sscr. Mmpurusa-, nome dì certe crea-
ture mitologiche ; tam. mdnida- = sscr. mdnum, uomo ; tam. iridi- ■=
sscr. rsi-, un Risei; tam. idaba- '= sscr. rsabha-, toro (prence); tam.
vittunu- = sscr. visnu-, Visnu ; tam. kiruttina-, kittina- ^ sscr. krsna-,
Crisna (cfr. Ariel, nelJournal asiatique, genn. 1847, pp. 16,20; Cald-
WELL, o. e, pp. 110, 123,139; Yinson, nella Revue de linguistique,
III, 82-3,302). Nella sostituzione ài d t a. s ecc. che il sanscrito ci
mostra, si potrebbe quindi vedere un altro effetto di quella causa gene-
rale dì cui piti innanzi nel testo sì tocca, cioè della favella aborigena
che in determinate congiunture soppianti con suono suo proprio un
suono avversato della lingua a cui soggiace. - Veniamo ora al par-
ticolare lessigrafico. La voce sanscrita che in figura classica è
lauka- (luogo, libero spazio, spazio mondiale, mondo), figura conva-
lidata dal riflesso lituano : laùka-s, campo, l'aperta campagna, è nel
Rigveda, quasi esclusivamente: idaukd-. Intorno a questa forma si
è ormai studiato di molto (vedine: Rig-Veda-Sanhita, The sacred
hymns ofthe brahmans transl. and explain. hy Max Mùller, I, lxxi-v;
236 § 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE.
si potrebbe*; laddove qualche breccia hanno pur potuto fare
BoEHTLiNGK-RoTH, s. lauka):, ma due cose mi pajono sfuggite all'at-
tenzione dei chiari uomini che hanno ad essa rivolto il loro acume.
La prima è, che il l iniziale si può dire a dirittura estraneo all'i-
dioma del Rigveda; poiché, se togliamo i seguenti eserapj: laksmi lau-
pàgd laugd dpa + ni + lajantam làja lihugà à-labh- anv-à-labh^ i quali
non ricorrono se non nel decimo mandala, che è il meno antico, e
ancora Iduman che ha il suo correttivo nel piti usato rduman, e l'i-
solato ni alipsata, che a rigore non va tra gli esempj di l iniziale
ed è corretto da rip, vera forma rigvedica del rispettivo radicale,
noi saremmo veramente ridotti, se io ho bene spogliato il Lessico di
Pietroburgo, all' incerto laudha e ai due isolati sostantivi làngala e
lahsd, che pajono essere due ajra^ \zy6[t.z^x (v. ancora la Lez. XIII, e
cfr. il lessico del Benfey al Samaveda, che non dà alcun esemplare
per l iniziale). La seconda è, che Vulauka- del Rigveda coincide colla
normale alterazione tamila del sanscrito lauka {loka), che è uluga-fm],
ulàgu, il tamilo classico non tollerando l iniziale, e prefiggendovi co-
stantemente un u (Caldwell, 1. e, 56, 108, Vinson, 1. e, 302; cfr.
GuNDERT, nel Giornale della società orient. germ., XXIII, 524-5). Ora,
piuttosto che accumulare ipotesi per rinvenire, a dispetto della forma
del sscr. classico e della lituana, una ragione etimologica dell' m- del
rigvedico ulauka-, non vorremo noi credere che ulauka fosse forma vol-
gare per lauka, forma, cioè, che aveva ceduto alla riazione di una
favella aborigena, e tanto più facilmente vi aveva ceduto, quanto piU
stava isolato nel dialetto del Rigveda questo vocabolo con l iniziale?
Che se vogliam sùbito confortarci con un esempio analogo, vale a dire
con un altro caso di alterazione vedica, il quale sappia di dravidismo
e rimanga estraneo al sanscrito classico, ricordiamoci di pad- per pad-
(piede; cfr. § 46) in padbhis, pad-mga- (e pad-gròhi-). - Le voci
o radici dravidiche assunte a far parte del lessico sanscrito vanno
naturalmente considerate anch'esse nella questione intorno alla qua-
lità degli idiomi che al sanscrito son soggiaciuti (v. intanto Caldwell,
1. e, p. 439 e segg.); ma chi si pone a rintracciarle, deve certamente
usare di una critica piti ferma che non sia quella del Gundert testò
citato, il quale vuol p. e. assoggettare ad etimologia dravidica il san-
scrito putra-, figlio, dimenticando, fra l'altre, lo zendo puthra-.
* Pure il Caldwell, il quale contesta, non però con molta energia,
§ 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE. '2'.il
alcune obiezioni od affermazioni di ordine diverso, alle quali ci
conviene ora passare *. Si è dunque primamente contestato,
sulle generali, che mai un popolo si faccia ad assumere elementi
fonetici della lingua d'un altro; si è inoltre voluto attenuare
la differenza che corre tra suono dentale e suono linguale; e,
messo innanzi il fatto incontrovertibile, che il passar delle den-
tali originarie in linguali sanscrite avvien precipuamente entro
a' confini di determinate combinazioni fonetiche, si è voluto so-
stenere che molti fenomeni congeneri occorrano pur nelle lingue
ariane dell'Europa, insieme però concedendosi che la linguale
fosse estranea al primitivo sistema fonetico degli Arj, e che solo
l'orecchio degli Arj dell'India, al pari di quello dei Dravidi,
abbia saputo ben discernere tra suono dentale e suono linguale.
Ma quanto già dicano, per sé sole, queste due concessioni
insieme combinate, può ognuno vedere, E quale si è poi in realtà
la pronuncia delle consonanti linguali, che tutti concordemente
pongono affatto la stessa negli idiomi ariani dell'India e nei
dravidici? Le più antiche indicazioni convengono a capello con
ripetute indicazioni moderne, si che non possa rimanere, per
questa parte, alcuna ragionevole dubbiezza. Dicono, dall' un
canto, quasi tutti i Pràtigàkhja (le grammatiche dei Vedi), che
le linguali si ottengono colla punta della lingua ravvolta al-
l'indietro ^'^; e i missionarj italiani, dall'altro, ai quali, per la
che siavi identità fra l'elemento dravidico e quell'elemento aborigeno
che ha avuto parte nella formazione dei vernacoli pracritici, e solo
ammette che vadano congiunti tra di loro per una certa affinità ge-
nerale, crede tuttavolta che il sanscrito abbia mutuato le linguali dalla
favella dei Dravidi, della quale stima che un giorno fosse estesa per
tutta l'India. V. Top. cit., a pp. 23, 37-44, 69-72, 76 n., 111-13, 117,438-9.
* Alludo principalmente allo scritto del dott. Giorgio Bììhler, On
the origin of the sanskrit linguals (Madras literary journal, 1864)
che però ho la sfortuna di non conoscere se non dall'articolo che gli
ha dedicato l'Or. u. occid.. Ili, 379-83. Cfr. Max Mìiller, nella sua
gramm. sanscr. (traduz. ted.), § 22, 5.
** Concordano cioè in questa descrizione i pràtigàkhja del jar/us
238 § 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE.
ragione della natfa favella, ogni fisiologo concederà di leggieri
una particolar competenza nello stabilire la diversità che in-
terceda fra le pure dentali ed altri suoni che possano entrare
in paragone con esse, cosi per esempio descrivono la tenue lin-
guale degli Indiani: « aliter, quam per t, haec a nobis latinis
explicàri nequit, nec describi potest; quamvis longe sit diversa,
ejusque pronunciationem assequi necessarium sit. profertur lin-
gua pauUulum inversa, et palatura leniter percutiente, quo blese
pronunciatur »; oppure: « huius litterae sonus, sicuti et trium
sequentium [ih, d, dh), idem prorsus est; est autem Europeis
admodum difficilis, ac pronuntiatur inversa omnino retrorsum
lingua, adeo ut interiorem palati summitatem attingat »; dove
del t dentale, cosi indostano come dravidico, all' incontro direb-
bero: « a nostro t non differt », oppure: « ut t latinorum * ».
Ed ormai ci soccorre eziandio la riprova del fisiologo; poiché
il Briicke affermi, nella sua analisi della media aspirata lin-
guale indostana, che l'elemento esplosivo ne sia quel d o t, \\
quale si ottiene colla punta della lingua ricurva all' in su e
aderente alla più alta parte della volta palatale **. Ora, la dif-
bianco, del jagus nero, e dell' atharva. Quello del rg-v. non ha una
descrizione generale; ma della media dice (I, 11; ed. Regnier, Jour-
nal asiatique, février-mars 1856, p. 170, 178,215), che si formi, se-
condo y àìiàrja Vaidamitra, alla radice della lingua ed al palato;
la quale osservazione coinciderebbe con quella del fisiologo Brììcke
{Grundzùge der physiologie ecc., p. 36, 2), che la punta della lin-
gua atteggiandosi nel modo che è richiesto per la produzione di que-
sti suoni, la parte inferiore della lingua medesima si fa convessa in
avanti e tocca in parte il palato.
* Alphabet. brammhanicum (v. pag. 108 in n.), p. 29; Alphabet.
grand.-malab. (v. p. 207 in n.), pag. 82-3. E cosi Guglielmo Jones
(1. e. a p. 206 in n.): This class is pronounced with an inflexion of
the tongue towards the roof of the mouth, which gives an obtuso
sound to the consonant.
** Cfr. Sitzungsberichte der philos.-Mstor. ci. der kais. [wien.]
akademie der icissenschaft., XXXI, 224 (dove buth-tha sta per isbà-
§ 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE. 239
ferenza tra linguali e dentali, che ha nell'istoria della lingua
conferma amplissima (§ 46), vorrà essa, di punto in bianco, so-
pra qualche vaga indicazione, essere ridotta a proporzioni tanto
esigue, da dirsi poco men che impercettibile *, e vorremo noi
glie in luogo di bud-tha) e Grundziige ecc., p. 36. E la distanza fra
linguali e dentali non scema già, ma anzi si accresce, se le dentali
indiane veramente si formano, come il Briicke nel primo de' luoghi
citati asserisce, a quel modo di cui toccammo a p. 161. La identità
fisica fra dentali dravidiche e dentali sanscrite è anche espressamente
affermata dal Caldwell, 1. e, p. 107; e per la special qualità di den-
tali, a cui testò alludevamo, starebbe il fatto, che il tamil e il ma-
lajalam ci dieno, in luogo di fZ, la fricativa dentale d.
* V. i luoghi citati alla n. * di pag. 237. Il Bììhler avverte, che
gì' Indù sostengano, proferir gli Inglesi con pronuncia linguale le loro
(proprie) dentali, e che nell'India si trascrive: government e director
(cfr. landra, Londra, nel less. di Pietrob.). Soggiunge, che il tamilo
arriva al punto di trascrivere solitamente gl'inglesi t d per t d,
quando nella parola occorra un r, oppure ad essi preceda una sibi-
lante 0^,0 finalmente la dentale sia aggruppata con altre conso-
nanti; e così anche trascriva per d il d iniziale cui sussegua i. Circa
la prima affermazione, basta, e' mi sembra, ammettere che le dentali
indiane non rispondano proprio a capello alle inglesi {cfr. la nota che
precede) e ricordare che la prevalenza della pronuncia linguale si fa
nell'India sempre maggiore, per renderci capaci della sentenza e della
trascrizione degl'Indù, senza che perciò si turbi il nostro parere circa
la vera entità delle linguali indiane. E passando all'altro punto, se
i Tamili non trascrivono le dentali inglesi colle loro linguali altro
che quando occorrano gl'incontri dei quali toccherebbe il dott. Biih-
ler, se, vale a dire, essi non fanno linguali le dentali inglesi altro
che pressappoco nelle congiunture medesime in cui si fa linguale in-
diana là dentale del patrimonio originario, ciò manifestamente viene
a dire, dall' un canto, che la dentale inglese rimane in molti casi
dentale tamila, e, dall'altro, che il tamilo renda per linguale la dentale
inglese, non perchè in questa egli senta una linguale, ma sì perchè a
linguale egli la riduce. Dagli assalti del tedesco G. Buhler difende del
resto la peculiarità delle linguali indiane un altro tedesco, Bììhler
anch'esso (M. Buhler) e anch'esso venuto nell'Indie, il quale, a prò-
240 § 42. ORIGINE E FISIOLOGIA DELLE LINGUALI SANSCRITE.
confondere queste linguali specificamente indiane, con certe fasi
fonetiche immaginarie, le quali si vogliono stabilire per anelli in-
termedj di evoluzioni che si son compiute altrove e non istanno
in alcuna connessione istorica con le evoluzioni indiane a cui mira
il nostro discorso (cfr. §§ 46, SI)? Noi di certo noi sapremmo; né
vale a sm^uoverci quant' altro resta ai contraddittori. Poiché, ma-
nifestamente, punto qui non si tratta di elementi fonetici che un
popolo abbia assunto dalla lingua di un altro; ma si di tali suoni,
i quali, proprj essendo degli aborigeni, cioè, pur nel nostro caso,
proprj essendo del più numeroso degli elementi onde viene a com-
porsì il nuovo individuo nazionale, soppiantano per avversione
naturale, massime in date congiunture, altri suoni più o men vi-
cinamente ad essi consimili della lingua che con la miglior civiltà
si sovrappone (§§ 43-46), si che questa traccia della lingua che
soccombe si faccia per noi via via più chiara, man mano che i mo-
numenti letterarj, o la parola parlata, piuttosto che l'appartato
linguaggio del popolo assimilatore, ci offrano lo schietto portato
della fusion delle due genti, h'ù della Gallia propria e della ci-
salpina, per Vu lungo de' Romani, é tra' più facili esempj analo-
ghi, e non il meno calzante.
Ma più di tutto può far meraviglia il vedersi addott£|«^in fa-
vore della generazione spontanea delle linguali sanscrite, la
presenza di s in altre favelle della famiglia. Imperocché bene è
vero che la grammatica sanscrita colloca lo s tra le linguali
(p. 17), ed è eziandio, almeno per certe congiunture, manifesto,
che l'antica pronuncia indiana di quest'elemento dovesse cor-
rispondere alla postura alfabetica a cui alludiamo (§§ 43, 44).
posito delle due trascrizioni dì uno stesso nome di luogo indiano:
Kaultray t= Kateri , ci dice (Giornale della società orientale germa-
nica, III, 109), essere » t d li peculiari suoni indiani, nei quali spunta
a un di -presso un leggero l inglese » . Si vegga ancora, pure per altre
trascrizioni di varia età, il § 46. Intanto, per trascrizione indiana
di suoni inglesi , si aggiunga il notevole lata ■= Lord, Benkey, Gior-
nale testò citato, VII, 411-12.
ERRATA.
Pag-. 25, 1. 5: summa^ 1. samma.
96, 1. 8: descritta, 1. descritto.
•' 122, 1. 4: Èrebo., 1. Èrebo*.
" 125, I. 11: gd-Ma^ 1. gd-Mha.
" 169, 1. 4: originarie sanscrite, 1. originarie e sanscrite.
- 173, 1. 31: aspiranti, 1. spiranti.
•> 192, I. 32: vtcpet, 1. v|<pst.
" 202, 1. 18: verso alla, 1. verso la.
» 211. L'ultimo esempio che è sotto al num. 2, si porti ultimo
sotto il num. 3.
iP^
ANNUNZIO.
La sottoscritta Libreria Editrice annunzia di avetre
stato il diritto della versione tedesca delle Lezioni^ii
logia com'parata del sanscrito, del greco e del latin
nella Regia Academia scientifico-letteraria di MiU
Gr. L Ascoli.
Halle, 3 marzo 1870.
Libreria dell'Orfanotrofio i
dlung des Waisenhanses
TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE BERNARDONI, MILANO.
BINDIKG . ■ MAR 2 0
PA Ascoli, Graziadio Isaia
583 Lezioni di fonologia
A73 comparata del sanscrito
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